Per il New York Times, “una pandemia ancora più letale potrebbe presto arrivare”, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) pensa che “il mondo deve prepararsi a una potenziale pandemia” e alcuni esperti citati da Nature affermano di vedere “una minaccia familiare e un virus il cui decorso è difficile da prevedere”.
Si tratta dell’influenza aviaria A, causata dal virus H5N1, “da non dare mai e poi mai per scontato”, secondo la rivista scientifica.
COSA È SUCCESSO
Come Start aveva scritto alla fine del 2021 e poi ancora più volte nel 2022, in Europa è in corso la peggiore epidemia di influenza aviaria della sua storia, con il primo focolaio individuato nell’ottobre 2021 in Israele.
Tutto era partito, come accade solitamente con il virus H5N1, da decine di milioni di uccelli migratori. La malattia, infatti, è una malattia di questa specie.
Da Israele, l’allarme era stato poi lanciato da Francia e Regno Unito, che aveva messo in lockdown polli e tacchini. Anche l’Italia nel dicembre 2021, secondo quanto riferito dal ministero della Salute, stava monitorando la situazione a seguito di alcuni focolai rintracciati in volatili in Veneto, Lombardia e Lazio, a cui si erano poi aggiunte anche Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna.
PERCHÉ SE NE (RI)PARLA ORA
Ora, però, siamo a un altro livello, secondo gli esperti. Oltre a monitorare e cercare di contenere la diffusione del virus è necessario chiedersi se siamo pronti ad affrontare una nuova pandemia perché, come ricordava Calogero Terregino, direttore del laboratorio di riferimento europeo per l’influenza aviaria presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie, “i virus dell’influenza corrono (e mutano) rapidamente. Diverse pandemie, fra cui la spagnola, sono nate proprio dall’aviaria”.
A preoccupare, infatti, sono gli ultimi sviluppi, secondo cui il virus è passato dagli uccelli ai mammiferi compiendo un salto di specie, provocato dalla mutazione del virus. Come ricorda Sanità Informazione, nel Regno Unito, dal 2021 a oggi sono stati segnalati 9 casi tra lontre, visoni e volpi; nella regione spagnola della Galizia, lo scorso ottobre si è verificata un’epidemia tra i visoni di una fattoria con oltre 50mila animali come non era mai successo tra mammiferi. E ieri, la Scozia ha dichiarato la morte di 4 foche risultate positive, mentre il numero di casi nei mammiferi continua a crescere a livello globale. In Italia, al momento sembrano non esserci casi di aviaria tra i mammiferi.
Ma il virus è ormai arrivato anche fuori dall’Europa. Uno dei casi più preoccupanti è l’episodio di 585 leoni marini morti sulle spiagge del Perù.
QUALI SONO I RISCHI
I casi identificati sono un segnale che preoccupa gli esperti perché se il virus continua a trasmettersi tra i mammiferi può mutare fino ad arrivare a riuscire nella trasmissione da uomo a uomo. I casi di influenza aviaria nella specie umana infatti finora si sono sempre verificati solo tramite contatto con animali infetti, ma il caso dei visoni in Spagna è significativo perché, come ha spiegato al Nyt il virologo Thomas Peacock, il tratto respiratorio superiore di questo animale “è eccezionalmente adatto a fungere da tramite per gli esseri umani”.
Il quotidiano statunitense ricorda infatti che “nel 2006, quando gli scienziati scoprirono che l’H5N1 non si diffondeva facilmente tra gli esseri umani perché si depositava in profondità nei polmoni, Thijs Kuiken dell’Erasmus University Medical Center di Rotterdam avvertì che se il virus si fosse evoluto in modo da legarsi ai recettori del tratto respiratorio superiore – da cui avrebbe potuto diffondersi più facilmente nell’aria – il rischio di una pandemia tra gli esseri umani sarebbe aumentato notevolmente”.
Inoltre, l’articolo afferma che “se ceppi diversi di influenza hanno infettato contemporaneamente la stessa persona, i ceppi possono scambiarsi segmenti genici e dare origine a nuovi ceppi più trasmissibili”. Per esempio, “se un lavoratore di un allevamento di visoni con l’influenza viene infettato anche dall’H5N1, potrebbe essere sufficiente per scatenare una pandemia”.
I CASI TRA GLI UOMINI
Tra il 27 gennaio e il 2 febbraio di quest’anno, non si è registrato nessun nuovo caso di infezione umana nella regione del Pacifico occidentale, dichiara l’ultimo report dell’Oms, che però ricorda anche che, dal gennaio 2003 al 2 febbraio 2023, erano stati segnalati dalla stessa regione un totale di 240 casi, di cui 135 fatali, con un tasso di mortalità del 56%. L’ultimo caso, a livello globale, è stato segnalato dalla Cina, con data di insorgenza il 22 settembre 2022 e decesso il 18 ottobre 2022.
COSA DICONO GLI ESPERTI
“Sicuramente il virus H5N1, che poi causa l’influenza aviaria, ha raramente infettato gli umani. Tuttavia quando è successo la malattia ha avuto il 56% di mortalità [negli animali è il 90-100%, ndr], ovvero un contagiato su due muore. Il Covid all’inizio, in epoca pre-vaccini, aveva l’1-2% di mortalità. Quindi siamo preoccupati di quello che accade negli animali, sono malattie che prima o poi arrivano nell’uomo. Credo che pensare che possa arrivare non è sbagliato”, ha detto Matteo Bassetti, primario Malattie infettive dell’Ospedale San Martino di Genova.
Anche per lo Scottish Marine Animal Strandings Scheme, siamo di fronte a un “cambiamento di passo” nella diffusione del virus.
E secondo Nature, “il virus sembra oscillare e fluire, rendendo il fenomeno imprevedibile e preoccupante” tanto che gli scienziati affermano che “la scarsa risposta del mondo alla pandemia Covid-19 suggerisce che, qualunque cosa accada, non siamo pronti”.
COME INTERVENIRE
“Non dobbiamo aspettare, ma investire in due cose: i vaccini attivi contro H5N1, già approvati dalla Fda americana, e lavorare per essere pronti a produrne in grande quantità perché non possiamo aspettare 6 mesi per una produzione su larga scala”, ha aggiunto Bassetti. “E anche sviluppare dei test per questo virus e farli a chi è a contatto con i volatili, continuando a testarli e capire se qualcosa non va. Investire poi – raccomanda – su antivirali per averli pronti e avere delle scorte. L’obiettivo ultimo è quello di arrivare a un vaccino universale per H5N1, H3N2, H1N1 e anche Sars-CoV-2. Non è facile, ma abbiamo la tecnologia”.
Dello stesso parere è l’autrice dell’articolo sul Nyt, la quale ha scritto: “Abbiamo molti degli strumenti necessari, compresi i vaccini. Quello che manca è un senso di urgenza e un’azione immediata […] Questa volta non abbiamo solo l’avvertimento, ma anche molti degli strumenti necessari per respingere una pandemia. Non dobbiamo aspettare che sia troppo tardi”.
L’IMPATTO ECONOMICO
Oltre al terribile impatto sulla biodiversità e al rischio di una pandemia che colpisca l’uomo, l’influenza aviaria sta diventando anche un problema importante per l’industria agricola e per il rincaro di prodotti come la carne di tacchino e le uova che, negli Stati Uniti, hanno registrato un aumento del 300% insieme a una perdita di più di 44 milioni di galline da uova, ovvero circa il 4-5% della produzione.