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Aviaria

Perché il ritorno dell’aviaria tra gli animali non è una buona notizia nemmeno per l’uomo?

L’influenza aviaria torna a investire diversi Paesi (tra cui l’Italia), ma questa volta sembra esserci qualcosa di diverso che non riesce più a essere contenuto con gli ordinari abbattimenti. Fatti, numeri e ipotesi degli esperti

 

La metà dei tacchini ruspanti prodotti per Natale nel Regno Unito è stata abbattuta o è morta a causa dell’influenza aviaria e se si prendono in considerazione i numeri dell’intero anno le cifre sono ancora più impressionanti.

In certi Paesi inoltre iniziano a non esserci uova e pollame nei supermercati e sono stati raggiunti dall’infezione anche animali prima estranei al virus H5N1, oltre che alcuni umani, ma solo perché entrati in contatto con animali infetti.

LA SITUAZIONE NEL REGNO UNITO E NEGLI STATI UNITI

L’Inghilterra aveva già avvertito nei mesi scorsi della peggiore epidemia di influenza aviaria in corso, stabilendo addirittura il lockdown per i propri volatili pur di mettere in salvo il tacchino per le feste, ma non è comunque bastato a evitare una moria di animali.

Secondo il British Poultry Council citato dal Guardian, circa 600.000 degli abituali 1,3 milioni di volatili allevati all’aperto nel Regno Unito per Natale sono già stati “colpiti direttamente” dalla malattia e dei quasi 9 milioni di tacchini prodotti ogni anno, circa 1,6 milioni sono già morti o stati abbattuti a causa dell’aviaria.

Negli Stati Uniti, stando a Nature, il numero di uccelli domestici morti nell’ultimo anno si avvicina a un record. Per gli esperti, la situazione che si sta verificando nel Paese è “particolarmente insolita” perché dopo i casi che si erano verificati tra il 2014 e il 2016 – che erano costati 3 miliardi di dollari e la morte di oltre 50 milioni di uccelli – il virus sembrava scomparso.

I FOCOLAI IN ITALIA

Mentre in Europa si stima che la prevalenza della malattia sia la più alta mai registrata, in Italia, l’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie fa sapere che il 29 settembre 2022, il Centro di referenza nazionale (Cnr) ha confermato la prima positività per virus dell’Influenza Aviaria ad Alta Patogenicità (HPAI) sottotipo H5N1 in volatili selvatici.

Al 30 novembre, il rapporto realizzato dall’Istituto registra 27 focolai tra Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia ed Emilia Romagna, per un totale di 107 animali risultati positivi.

Fonte: Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie

I RISCHI PER L’UOMO

“Attualmente i rischi diretti per l’uomo sono molto bassi, ma è certo che dobbiamo stare molto attenti”, ha dichiarato a Repubblica Calogero Terregino, direttore del laboratorio di riferimento europeo per l’influenza aviaria presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie.

“Alcuni contagi – ha spiegato – hanno riguardato anche gli uomini: una decina fra Africa, Europa e Asia, tutti allevatori esposti al contatto diretto o personale impiegato nelle fasi di estinzione dei focolai. Molti non erano nemmeno propriamente contagiati, in nessun caso il patogeno si è trasmesso da uomo a uomo, ma restiamo in allerta”.

“Il rischio principale, che fa temere l’avvento di una nuova pandemia dopo le tre che si sono verificate nel corso del XX secolo (1918, 1957, 1968), è che la compresenza del virus aviario con quello dell’influenza umana, in una persona infettata da entrambi, faciliti la ricombinazione di H5N1 e lo renda capace di trasmettersi nella popolazione umana”, afferma l’Istituto superiore di sanità (Iss).

PERCHÉ È IMPORTANTE MONITORARE

Ancora nessun allarme concreto per l’uomo quindi, ma come ricorda Terregino “i virus dell’influenza corrono (e mutano) rapidamente. Diverse pandemie, fra cui la spagnola, sono nate proprio dall’aviaria”.

E non è un caso che il Piano pandemico influenzale 2021-2023 dia importanza al monitoraggio delle epidemie nel mondo animale perché “in genere, – si legge nel documento – i virus influenzali pandemici originano a seguito di un passaggio di specie dall’animale all’uomo, o direttamente dai volatili o tramite i suini, che hanno recettori sia per i virus aviari che umani”.

Il Piano pandemico italiano è nato, infatti, nel 2006 a seguito dell’indicazione data l’anno prima dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che raccomandò agli Stati Membri di mettere a punto e aggiornare costantemente un Piano Pandemico per i virus influenzali proprio dopo che nel 2003 il virus aviario di tipo A sottotipo H5N1 aveva causato alcune centinaia di casi umani sporadici senza però riuscire a trasmettersi efficientemente da persona a persona.

MA COME MAI È IN CORSO UN’EPIDEMIA COSÌ GRAVE?

Un tempo gli abbattimenti di uccelli domestici tenevano sotto controllo il virus, ma dall’inizio degli anni 2000, scrive Nature, la circolazione sostenuta negli uccelli selvatici è diventata la norma. Secondo la rivista scientifica, la causa – anche di questa attuale ondata – potrebbe essere attribuita a una maggiore capacità del virus di replicarsi o di infettare più specie di uccelli e non solo. Recentemente sono morte decine di pinguini infetti in Sudafrica e l’H5N1 ha raggiunto anche foche, lince e puzzole.

Questi modelli di trasmissione senza precedenti significano che “questa volta c’è qualcosa di diverso in questo virus”, ha detto Rebecca Poulson, ricercatrice sulle malattie della fauna selvatica presso la University of Georgia di Athens.

Per la virologa Louise Moncla della University of Pennsylvania di Philadelphia le spiegazioni potrebbero essere due: una è che le mutazioni genetiche abbiano aumentato la capacità del virus di replicarsi, permettendogli di diffondersi in modo più efficiente rispetto ai ceppi precedenti e un’altra ipotesi è che le mutazioni abbiano permesso al virus di infettare una gamma più ampia di specie di uccelli rispetto ai ceppi precedenti.

I ricercatori stanno verificando queste ipotesi ma finora, secondo Moncla, ci sono “più domande che risposte”.

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