Lo scorso giugno il ministero della Salute ha annunciato un piano per ridurre le interminabili liste di attesa. Sei mesi dopo però poco o nulla è cambiato tanto che anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel messaggio di fine anno, ha sottolineato l’urgenza di ridurle per garantire il diritto alla salute sancito dalla Costituzione.
COSA PREVEDE LA RIFORMA DEL GOVERNO
Esami anche il sabato e la domenica, un Cup unico regionale per controllare le agende di tutti gli ambulatori pubblici e privati-convenzionati, una piattaforma nazionale di monitoraggio e l’istituzione di un ispettorato per verificare il rispetto delle norme. Ma anche un sistema per disdire facilmente le prenotazioni e lasciare il posto a qualcun altro e il divieto di sospendere l’attività di prenotazione.
Inoltre, se il cittadino non viene soddisfatto entro i tempi previsti (72 ore in caso di prestazione urgente, 10 giorni se in classe breve, 30-60 giorni per visite ed esami diagnostici, 120 giorni per quelli programmabili) deve automaticamente trovare risposta in una struttura privata convenzionata o nell’ambito dell’attività professionale svolta dal medico all’interno dell’ospedale.
Questa, in breve, la strategia messa nero su bianco dal governo per dare un taglio netto alle liste di attesa. Tuttavia, come ha dichiarato oggi al Corriere della Sera il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, “le misure per invertire la tendenza sono tante” ed è “difficile quantificare i tempi” per vederne gli effetti.
UN BILANCIO SEI MESI DOPO
Quindi a sei mesi dall’annuncio del piano cosa è stato realizzato di tutto questo? Molto poco. Perché, come riferito lo scorso novembre dallo stesso ministro della Salute, Orazio Schillaci, durante un’interrogazione parlamentare, mancano i decreti attuativi (cinque di sei), i quali però, a detta del ministro, “sono in arrivo”.
Sempre Schillaci ha garantito che a partire da febbraio 2025 “sarà disponibile il cruscotto con gli indicatori di monitoraggio delle liste d’attesa, con i dati relativi a tutte le regioni e le province autonome”. Promessa ribadita anche da Gemmato. Finora però, stando al Corriere della sera, non ci sono dati ufficiali completi poiché le piattaforme online aggiornate dalle regioni continuano a essere di “difficile consultazione ed evidenziano una profonda disomogeneità sulla modalità di restituzione dei tempi d’attesa, rendendo molto difficile il confronto tra le diverse realtà”.
Riguardo al Cup unico regionale, inoltre, stridono le parole del ministro con quanto scrive il Corriere. Il primo, a novembre, dichiarava: “[…] i dati che stiamo ricevendo da Agenas sono confortanti, uno su tutti, come esempio, il Lazio, con realizzazione di un Cup unico, con stanziamenti mirati, con una giunta determinata ad affrontare concretamente il problema le prenotazioni sono cresciute in maniera molto significativa”. Il secondo oggi afferma: “Il Cup, centro unico di prenotazione, in certe zone d’Italia è un perfetto sconosciuto. Prendiamo ad esempio il Lazio. A oggi la metà delle agende sono state caricate nel sistema unico. A ottobre 399mila prestazioni non erano state prenotate entro i tempi di garanzia e l’ente guidato da Rocca ha stanziato 17 milioni per garantirle. Punti dolenti, colonscopia, Tac, risonanza magnetica e visite oculistiche”.
I SOLITI VECCHI PROBLEMI
A pesare sono le solite questioni mai risolte: la carenza di medici e infermieri – che in molti casi passano al privato o si trasferiscono all’estero per avere migliori stipendi e condizioni di lavoro più sicure -, la disorganizzazione di alcune aziende sanitarie, la malagestione delle risorse e apparecchiature e strutture che risalgono al dopoguerra.
Ma anche, osserva il Corriere, “la medicina difensiva”. “L’Italia – afferma il quotidiano – spende circa 13 miliardi per rimborsare il costo di visite ed esami diagnostici evitabili, prescritti in modo inappropriato, in eccesso. Una pratica legata alla volontà da parte del medico di tutelarsi dalle denunce dei pazienti. Ogni anno sono 350mila le cause penali intentate contro la categoria, il 97% terminano con assoluzione”.
E per concludere, a novembre, anche la Corte dei Conti, in merito alla riduzione delle liste di attesa, rilevava “criticità nella metodologia adottata, basata su dati autocertificati da parte di Regioni e Province autonome che appaiono non omogenei”. In particolare, la delibera sottolineava “il mancato utilizzo di flussi informativi nazionali e di sistemi informativi strutturati, allo stato non disponibili”, oltre che le difficoltà incontrate dal ministero della Salute nello svolgimento delle attività di coordinamento e monitoraggio, sia sul versante della verifica dell’avvenuta programmazione, sia per quanto attiene alla capacità delle autonomie territoriali nel comunicare tempestivamente il grado di raggiungimento degli obiettivi da esse programmati. Infine, l’utilizzo degli oltre 2 miliardi di euro investiti tra il 2020 e il 2024 “appare esiguo”.
AGGIORNAMENTO TARIFFARI SOSPESO E RINUNCIA ALLE CURE
Ciliegina sulla torta a fine 2024: la sospensione (poi revocata) del decreto che, dopo 8 anni di attesa, stabiliva i nuovi tariffari per le prestazioni garantite dal Servizio sanitario nazionale. L’Avvocatura di Stato è infatti intervenuta per evitare “un blocco del sistema di prescrizione, prenotazione ed erogazione, con conseguente disservizio all’utenza e ritardi nell’erogazione delle prestazioni e, in ultima analisi, con un impatto sulla salute dei pazienti”, i quali troppo spesso non hanno la possibilità di curarsi.
Come ha infatti ricordato Mattarella citando i dati della relazione 2024 del Cnel, il 7,6% della popolazione, ovvero 4,5 milioni di cittadini, rinuncia “alle cure e alle medicine perché prive dei mezzi necessari”.