Tra aggressioni e paghe spesso non adeguate, sono sempre di più i medici che scelgono di lavorare con le cooperative, andando ad accrescere il numero dei cosiddetti “medici a gettone”, un fenomeno che avalla una procedura vietata e che va contro la normativa europea sulla sicurezza delle cure.
COOPERATIVE E MEDICI A GETTONE
Con la carenza di medici che affligge il Sistema sanitario nazionale (Ssn), ospedali e pronto soccorso si rivolgono con sempre più frequenza a società private o cooperative che forniscono medici a gettone, ovvero liberi professionisti a chiamata, per coprire turni e servizi che altrimenti rischierebbero di rimanere scoperti.
Si tratta di un fenomeno iniziato prima della pandemia ma esploso dall’emergenza sanitaria in poi.
FUGA DAL SSN
Secondo un sondaggio dalla Federazione Cimo-Fesmed, su un campione di 1.000 medici, il 37,6% ha dichiarato di essere pronto a dimettersi da dipendente del Ssn per lavorare con una cooperativa. Significa circa 4 medici su 10.
Le percentuali più elevate si trovano tra i camici bianchi più giovani. È disposto a lavorare per le coop il 50% di chi ha meno di 35 anni e il 45% dei dottori tra i 36 ed i 45 anni. Cifre che, comprensibilmente, si riducono tra chi è più vicino alla pensione, infatti, tra gli over 55 solo il 28% preferirebbe lavorare a gettone.
“Il quadro emerso dal sondaggio non può non destare preoccupazione – ha commentato Guido Quici, presidente della Federazione che riunisce diverse associazioni di categoria -. È la rappresentazione plastica del disagio dei medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale che iniziano a vedere nelle coop l’unica ancora di salvezza per uscire da un sistema e da un’organizzazione del lavoro ormai insopportabili”.
Il sondaggio ha osservato, inoltre, che i più desiderosi di fuggire verso le cooperative sono i medici che lavorano nell’area dei servizi (che rappresentano il 46% di coloro che dichiarano di voler lavorare come gettonisti), seguiti da chi lavora in emergenza (42%), dai chirurghi (40%) e, infine, dall’area medica (32%).
LE REGIONI CON PIÙ MEDICI A GETTONE
Fatta eccezione per Abruzzo, Sicilia, Calabria, Basilicata, Alto Adige e Valle d’Aosta, in tutte le altre 15 regioni si fa ricorso ai medici a gettone.
Ad affermalo è un’indagine condotta per La Stampa dalla Società scientifica della medicina di emergenza e urgenza (Simeu): “In Piemonte a chiamarli è il 50% dei nosocomi, in Veneto il 70%, in Liguria il 60% e in Toscana il 50%, ma in Friuli Venezia Giulia, Marche e Molise non c’è ospedale dove non siano presenti”.
LA PAGA CHE FA GOLA
A torto o a ragione, ad attirare un esercito di medici è ovviamente la paga che non ha nulla a che vedere con quella dei colleghi contrattualizzati in una struttura pubblica.
“È un sogno – ha detto a La Stampa uno di loro, 30 anni, senza specializzazione – decido io quando e quanto lavorare e con 10 turni al mese guadagno già il doppio di un dipendente”. Per rendere l’idea, secondo quanto scritto dal quotidiano torinese, “con tre notti in un mese ci si mette in tasca lo stipendio che un medico dipendente incassa in un mese” e, altro esempio, “la Asl di Modena per un turno notturno sgancia 1.400 euro lordi alla società che vince l’appalto”.
Un paradosso considerando che la sanità non ha mai abbastanza fondi ma arriva a pagare cifre da capogiro a cooperative che operano senza regole e criteri di selezione comuni.
I RISCHI PER IL SSN
Ma questo fenomeno sta già creando gravi conseguenze. Come ha osservato Quici commentando i dati Cimo-Fesmed, “se queste percentuali dovessero trasformarsi in dimissioni reali, ci ritroveremmo dinanzi al tramonto definitivo del Servizio sanitario nazionale, svuotato di molte delle sue professionalità e affidato in buona parte a società private che nessuno regola né controlla”.
Questo, ha precisato il presidente di Simeu, Fabio De Iaco, significa andare incontro a due problemi: “innanzitutto gli alti costi per il sistema sanitario nazionale, considerando che le paghe dei medici a chiamata arrivano anche a 1.000 euro per un turno di notte, molto più di quello che recepiscono gli strutturati. E poi c’è la questione dell’esperienza: spesso i medici a gettone non hanno un’adeguata preparazione e non è raro che nei pronto soccorso lavorino neolaureati non specializzati”.
Inoltre, con lo svuotamento del Ssn, il segretario nazionale Anaao Assomed, Pierino Di Silverio, osserva che il futuro della sanità si sta orientando sempre di più verso un “modello semi-privatistico delle cure, modello che oltre ad essere anticostituzionale sarebbe anche foriero di una rivoluzione sociale e professionale”.
PERCHÉ SI PREFERISCE STRAPAGARE INVECE CHE ASSUMERE
Come ha spiegato Di Silverio, le aziende decidono di reclutare il personale medico in questo modo invece che assumere perché “da una parte l’azienda che assume a prestazione ha un vantaggio economico, dall’altro si trova di fronte all’impossibilità di assumere a tempo indeterminato a causa di un tetto alle assunzioni”.
Ostacolo che può essere rimosso solo con un decreto legge e più finanziamenti per le assunzioni nella sanità.
FENOMENO LEGALE O ILLEGALE?
L’esternalizzazione del lavoro medico in ambito sanitario era diventata illegale nel 2018 per poi essere riabilitata con l’emergenza causata dal Covid.
Adesso, però, quel livello di emergenza è passato e secondo Quici il fenomeno dei medici a gettone viene aggirato dagli ospedali rivolgendosi alle cooperative e inserendo nel bilancio le spese per i compensi sotto la voce “beni e servizi”, come le mense, e non “personale”, che appunto non può essere sforato a causa del tetto alle assunzioni.
L’INTERVENTO DELL’ANAC
La situazione è ormai talmente fuori controllo che l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) ha deciso di intervenire presso i ministeri della Sanità e dell’Economia al fine di sollecitare un decreto ministeriale che faccia chiarezza sulla questione dei “gettonisti” e dia dei criteri di congruità dei prezzi.