I medici non ci sono e i soldi per pagarli nemmeno, a quanto pare. Allora perché non importarne di stranieri, com’è già successo con i professionisti cubani arrivati per salvare la sanità calabrese, piuttosto che retribuire adeguatamente quelli che già ci sono o ripiegare sui costosi gettonisti? Ecco l’ultima idea dell’assessore al Welfare della regione Lombardia, Guido Bertolaso, pronto a partire per il reclutamento in Argentina e Paraguay.
BERTOLASO DALL’ARGENTINA AL PARAGUAY…
“Ho già incontri fissati con le autorità locali. Se riusciamo a chiudere, per la Lombardia potrebbe essere una buona opportunità. Con l’arrivo, entro la fine del 2024, di molti infermieri stranieri: il mio auspicio è tra 400 e 500”. È quanto detto da Bertolaso in un’intervista a Repubblica, dicendosi pronto a volare in Argentina e Paraguay per reclutare professionisti sanitari da impiegare in Italia.
L’assessore ha spiegato di voler coinvolgere gli infermieri negli ospedali ma “anche nell’assistenza domiciliare integrata e nelle case di comunità”.
Argentina e Paraguay, ha precisato Bertolaso, sono i luoghi designati perché “questi Paesi hanno buone scuole, con curricula simili a quelli europei. E si tratta di nazioni che, culturalmente e dal punto di vista della lingua, sono vicine all’Italia: l’obiettivo quindi è portare qui i professionisti, organizzando anche corsi di formazione, e farli lavorare nelle nostre strutture per 4-5 anni. È una buona opportunità per noi, ma anche per gli operatori, che possono fare esperienza in strutture di alto livello tecnologico come le nostre”.
…FINO A WASHINGTON PER IL RIENTRO DEI CERVELLI
Ma i progetti di Bertolaso non finiscono qui. Dopo Argentina e Paraguay ha in programma di andare a maggio negli Stati Uniti con il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, con l’intento di “stimolare” i professionisti “andati all’estero a rientrare”. Ad attenderli un incontro a Washington “con 200 medici italiani che lavorano negli Usa”.
“Il mio obiettivo è far sì che il nostro sistema sia attrattivo, affinché i colleghi tornino in Italia e, in particolare, in Lombardia, dove si trova quasi la metà degli Irccs (Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico) italiani”, ha aggiunto l’assessore.
IL CASO DEI MEDICI CUBANI IN CALABRIA
La Calabria, che in questo campo ha già esperienza, è più che soddisfatta dell’aiuto che sta ricevendo dai medici cubani, ma tuttavia non pensa sia la soluzione a tutti i mali. Rubens Curia, medico calabrese e portavoce di “Comunità competente”, una rete informale di associazioni e comitati di cittadini, li ha paragonati all’aspirina: “Fa scendere la febbre, fa sentire meglio, ma non cura: per curare ci vogliono terapie che agiscano in profondità, alle radici del problema”.
I medici cubani, ricorda Il Post, lavorano in Calabria ormai da quasi due anni, grazie a un accordo tra la regione e una società partecipata dal governo dell’Avana, firmato a luglio del 2022 per 497 medici cubani in tutto. Al momento in Calabria ce ne sono 270 e l’accordo prevede che restino fino al 2025.
La collaborazione è stata però al centro anche di polemiche circa le condizioni di reclutamento, lavoro e retribuzione a cui, secondo alcune Ong, i medici cubani sarebbero stati sottoposti. “[…] si contesta il fatto che degli oltre 4mila euro mensili corrisposti dalla regione Calabria alla società partecipata Comercializadora de servicios médicos cubanos, ai medici cubani ne arrivano circa 1.200 ciascuno”, riferisce Il Post. “Si contesta anche che i medici vengano obbligati a partecipare alle missioni all’estero e che chi le abbandona rischi la prigione e la revoca della propria abilitazione alla professione”.
Gli intervistati però hanno definito queste accuse infondate e riferito che “i medici cubani guadagnano quanto un medico italiano” – senza specificare quanto – e che sono venuti in Calabria volontariamente.
METTERE UNA PEZZA
Importare professionisti, tuttavia, anche per Bertolaso difficilmente potrà risolvere la grave carenza di personale attuale e futura del Servizio sanitario nazionale (Ssn). “Come sappiamo, il blocco delle assunzioni negli anni ha provocato un mancato turnover che si riflette nelle carenze attuali. Stesso discorso per la mancata programmazione universitaria – ha aggiunto -. Le stime ci dicono che il problema sarà cogente fino alla fine del 2026: i prossimi anni, quindi, saranno ancora complessi. Per questo un’altra strada è puntare sugli specializzandi”. Come ipotizzato di recente anche dal ministro della Salute, Orazio Schillaci.
A tal proposito, ricorda l’assessore, “con i ministri Bernini e Schillaci abbiamo proposto un emendamento al Dl Pnrr per permettere agli specializzandi di lavorare non più solo negli ospedali universitari, ma anche nelle altre strutture. Questo avrebbe due vantaggi: per i giovani colleghi ci sarebbe la possibilità di fare di più sul campo, mentre il sistema avrebbe l’opportunità di impiegare gli specializzandi, per esempio, anche negli ambulatori, per sfoltire le liste di attesa”.
STOP AI GETTONISTI (?)
Per Bertolaso l’idea di importare i medici andrebbe anche a risolvere in parte il ricorso ai cosiddetti gettonisti, ovvero medici e infermieri reclutati dalle strutture sanitarie pubbliche tramite cooperative, che vengono (profumatamente) pagati per le singole prestazioni, nonostante non vi sia alcun controllo e capiti che tra coloro vi siano persone che lavorano per 24 o più ore di seguito senza osservare le ore di riposo o giovani medici neolaureati senza alcuna esperienza.
La Lombardia, in testa insieme alla Toscana per numero di gettonisti, aveva presentato una delibera per porre fine a questo fenomeno, tuttavia, il Tar – su ricorso presentato dalla società GapMed – l’ha sospesa “stabilendo in sostanza che un ospedale che si trovi in una condizione di urgenza potrà ancora fare ricorso ai liberi professionisti pagati a gettone”, spiega Nurse24, che aggiunge: “Lo prevede anche il decreto Schillaci, che non esclude le esternalizzazioni in casi di necessità ed urgenza, anche se ponendo certi limiti”.
“Io non voglio fare nessuna crociata contro le cooperative”, ha dichiarato a Repubblica Bertolaso. “Come Lombardia abbiamo applicato, per primi, una norma varata da Roma che prevede che le esternalizzazioni dei servizi sanitari si debbano concludere. Certo, secondo me è ingiusto avere nello stesso ospedale professionisti che lavorano gomito a gomito, ma con guadagni diametralmente diversi, uno con lo stipendio del servizio pubblico e l’altro con le tariffe a ‘gettone’. Ma non voglio fare una battaglia contro nessuno”.
“E faccio un appello: si rinunci ai ricorsi e si lavori insieme, senza ‘vendette’ o penali. Le cooperative possono diventare agenzie interinali i cui medici, alle condizioni che diamo ai libero professionisti, possono lavorare con noi”, ha concluso.
Secondo l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), nel periodo dal 2019 all’agosto 2023, “affittare” professionisti sanitari è costato a ospedali e policlinici 1,7 miliardi di euro. Le regioni che hanno speso di più sono state Lombardia (56 milioni di euro), Abruzzo (51 milioni di euro) e Piemonte (34 milioni di euro).