Come previsto un mese fa, il nuovo tariffario della specialistica ambulatoriale non è entrato in vigore il 1° aprile. Un decreto del 31 marzo a firma dei ministri della Salute, Orazio Schillaci, e dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, lo ha fatto slittare al 1° gennaio 2025.
Questo significa che anche il nuovo pacchetto di livelli essenziali di assistenza (Lea), ovvero le prestazioni che il Servizio sanitario nazionale deve garantire – gratuitamente o dietro pagamento di un ticket nel Ssn o nei centri privati accreditati – a tutti i cittadini, è fermo e lascia ancora in attesa milioni di pazienti.
PERCHÉ ANCORA UN RINVIO
La decisione del governo di rimandare ancora una volta l’entrata in vigore del nuovo tariffario – che stabilisce i rimborsi che ambulatori, laboratori e centri privati accreditati ricevono per visite ed esami – arriva in seguito alle forti proteste di varie organizzazioni della Sanità privata accreditata e dei laboratori che definiscono inadeguati e insostenibili tali rimborsi.
Come spiegava a marzo a La Stampa l’Aris, l’associazione degli istituti socio-sanitari no profit di area cattolica, tra cui il Gemelli di Roma o le strutture Fatebenefratelli, solo per fare un esempio, basti pensare a una colonscopia, la cui durata è di 30 minuti, occorrono un medico e due infermieri, l’uso di tecnologie e altri materiali, più un lavoro amministrativo.
La nuova tariffa prevede 95,90 euro per questa prestazione, tuttavia, un medico costa 39 euro, due infermieri 35 euro, il ricondizionamento dell’apparecchiatura post erogazione 20 euro, la gestione della certificazione 4 euro, il risveglio 2 euro. Per un totale di 125 euro, ai quali vanno aggiunti 18 euro per la manutenzione degli strumenti tecnologici, 21 euro per l’ammortamento e 17 per i costi amministrativi. La struttura, dunque, perderebbe 85 euro.
NO TARIFFARIO NO LEA
Il rinvio pesa quindi anche sui livelli essenziali di assistenza (Lea) che restano congelati al 2001, tranne che in alcune Regioni dove i conti lo consentono e che li hanno aggiornati grazie a fondi propri come nel caso di Puglia, Marche e Lombardia.
Tra i Lea che i pazienti si vedranno negare fino al 1 gennaio 2025, il Sole 24 Ore cita “tutte le prestazioni di procreazione medicalmente assistita, l’inserimento di oltre un centinaio di patologie nell’elenco delle malattie rare, la diagnosi e il monitoraggio della celiachia, il riconoscimento dell’endometriosi come malattia invalidante, gli screening neonatali per alcune patologie come la Sma, diversi ausili informatici e di comunicazione per disabili, ma anche esami e viste per tener sotto controllo i disturbi alimentari come bulimia e anoressia che allarmano tante famiglie o l’adroterapia, un nuovo tipo di radioterapia innovativa che si avvale degli ioni carbonio o dei protoni per il trattamento di alcuni tumori”.
SI POTEVA FARE DIVERSAMENTE
Il quotidiano economico, tuttavia, ricorda che invece di scegliere la strada del rinvio si sarebbe potuto – come suggerito, tra l’altro, dalla Ragioneria generale dello Stato – procedere con l’entrata in vigore il 1° aprile delle nuove cure gratuite modificando poi in corsa le tariffe troppo basse.
CRITICITÀ
Come osserva Quotidiano sanità, il rinvio – richiesto da “un cospicuo numero di Regioni” (secondo quanto scritto nel decreto dei ministeri Salute ed Economia) – prevede però che “per una revisione delle tariffe (al rialzo) servono fondi freschi che oggettivamente in questo momento pare difficile trovare”.
“Un’ipotesi circolata tra gli addetti ai lavori, che mette però i brividi, potrebbe essere quella di utilizzare parte dei 200 mln stanziati in manovra per l’ulteriore aggiornamento dei Lea (che giace da tempo nei cassetti del ministero della Salute) dato che sono passati 7 anni dal Dpcm che ha introdotto le nuove prestazioni che però, come si è spiegato, de facto sono ancora bloccate. Insomma – conclude Qs -, forse riusciremo nel 2025 ad avere le prestazioni introdotte nel 2017 ma per ulteriori cure garantite dal Ssn il rischio è di dover attendere ancora o di avere solo qualche briciola”.