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Perché la discriminazione sui lavoratori fragili svantaggia chi non può accedere allo smart working

L'intervento di Francesco Provinciali e Francesco Alberto Comellini

Solo chi vive sulla propria pelle il vulnus normativo lasciato in eredità dal Governo uscente può descrivere la solitudine, il disagio e la frustrazione che concretamente ne derivano.

Ecco: assenza di lungimiranza, di conoscenza delle realtà diversificate nel mondo del lavoro, di bisogni e di diritti dei soggetti più deboli ed esposti al pericolo di contagio e mancanza di senso della concretezza hanno caratterizzato la soluzione politica al problema dei lavoratori fragili privi di tutele, segnatamente per il vuoto normativo che – dopo due anni di rattoppi e provvedimenti retroattivi – ha lasciato davvero senza fiato e senza speranze alcune migliaia di persone a cui non sono state prorogate integralmente le previgenti tutele, scadute il 30 giugno u.s.

Nonostante le promesse che hanno preceduto la campagna elettorale la montagna ha partorito un topolino nel cd. “decreto aiuti-bis”: il Ministro del Lavoro Orlando l’ha appunto definita una promessa mantenuta, per la quale si è speso in prima persona e ha messo sul piatto un obolo di diciotto milioni di euro, il tutto per rinnovare solo una delle due tutele sulle quali in passato – nei due anni di pandemia – i fragili potevano contare, quello smart working che è stato propagandato come brillante soluzione al problema ma che in realtà ha lasciato nei guai proprio quei lavoratori che non possono avere accesso al lavoro agile e ciò per due ragioni cogenti.

La prima è l’impossibilità oggettiva di declinare nello smart working il proprio lavoro, ci sono alcune categorie di lavoratori che non possono farlo, basti citare gli insegnanti, gli operatori scolastici, i postini, le cassiere del supermercato, i magazzinieri e tutte quelle realtà che non consentono a certe professioni di poter essere svolte da casa.

Queste persone fragili – non essendo stata rinnovata l’equiparazione della loro malattia al ricovero ospedaliero senza computo dei periodi di assenza nel comporto contrattuale – sono costrette a svolgere il servizio nella ordinaria sede di lavoro: se si ammalano, se si sottopongono a terapie delicate, se contraggono il Covid per assentarsi devono attingere al congedo del rispettivo contratto collettivo, esaurito il quale possono solo contare sulle ferie, dopo di che inesorabilmente scatta la tagliola del licenziamento.

La seconda riguarda il rischio di prossimità dei chemioterapici, degli immunodepressi e dei soggetti certificati fragili rispetto alla promiscuità del rispettivo ambiente lavorativo: proprio coloro che necessiterebbero di maggior protezione e tutela finiscono per essere sovraesposti al contagio, tenuto conto che ad oggi e nel giro di una settimana i positivi sono aumentati di oltre il 50%, i ricoveri del 30% e si viaggia su una media giornaliera superiore al tasso di positività del 20%. Si oscilla senza bussola tra provvedimenti restrittivi e liberalizzazioni, mascherine sì e mascherine no, vaccini non obbligatori ma consigliati, il tutto senza tener conto che l’auspicata normalizzazione e il ritorno ad una vita di contatti e relazioni non sono per tutti uguali. Ciò che è stato deciso ha il sapore amaro della propaganda e della beffa.

Garantire la sola opzione dello smart working non ha risolto il problema dei lavoratori fragili anzi ha creato un gap, una vera e propria discriminazione tra i soggetti che possono optare per il lavoro da casa e coloro che invece – non potendo esercitare questa facoltà – sono obtorto collo – costretti a rimanere in servizio e in caso di malattia o contagio ad attingere al proprio congedo, alle condizioni sopra specificate.

Francamente non si capisce come possa essere definita “promessa mantenuta” e archiviata come una conquista, una evidente discriminazione determinata dal tipo di attività ordinariamente svolta a fronte di una condizione patologica che spesso richiederebbe invece maggiori tutele. I decisori politici non potevano e non possono ignorare la realtà dei fragili negli ambienti lavorativi ma nel Pnrr e nei provvedimenti legislativi hanno scelto per altre priorità: i soggetti deboli ed esposti a patologie degenerative sono stati abbandonati ad un destino ingrato, per loro solo elemosine, concesse quasi con fastidio e cadute dall’alto senza approfondire le situazioni oggettive nella loro evidenza, nel prima e nel dopo, senza valutare cum grano salis le conseguenze che una soluzione rabberciata, parziale e decisamente discriminante avrebbe potuto provocare. Detto fatto: ci sono situazioni delicate che necessitavano di tutele più estese, come deciso in passato, nei due anni di pandemia e di stato di emergenza fino al 31 marzo u.s. Successivamente, un rinnovo stiracchiato fino al 30 giugno con un vuoto totale di protezioni dal 1° aprile al 24 maggio, per la tardiva approvazione della legge 19/05/2022 n. 52.

Ora, con il decreto aiuti-bis, c’è solo il lavoro agile ma anche la rimozione della tutela della malattia equiparata al ricovero ospedaliero, introdotta nel lontano 2020 con DL 17/3 n.° 18 , art. 26 – comma 2.

Come scritto in esordio ci sono soggetti affetti da patologie immunodepressive, peraltro riconosciute dal DM del Ministero della Salute del 4/2/2022 che – pur rappresentando la fattispecie più esposta e bisognosa di tutele – non beneficiano di alcuna protezione.

Francamente una vergogna per un Paese che voglia dirsi civile e che abbia a cuore le sorti dei deboli e degli svantaggiati.

Va inoltre considerato che i ‘fragili’ sono ‘persone’ prima di essere lavoratori e come tali sono portatori di diritti inalienabili che precedono e prescindono dalla contingenza pandemica: qui sono in discussione principi e valori che riguardano la cultura giuridica di un Paese e le sue declinazioni nel sociale.

Le persone fragili sono oggettivamente svantaggiate e questo assunto va recepito nella sua interezza: le tutele non sono un dono ma un diritto di chi le riceve e un dovere per chi le provvede.

Ma accanto alla discriminazione che grazie alla “promessa mantenuta” del, ancora per poco, Ministro del Lavoro Andrea Orlando, stanno subendo i lavoratori fragili ne è emersa in questi giorni una seconda, per ancuni versi ancora più vergognosa per gli effetti devastanti che produce e, anche’essa riconducibile al rinnovo del lavoro agile. I fortunati (per modo di dire) beneficiari della discriminazione sono i Caregiver familiari, cioè chi si prende cura del congiunto convivente con disabilità grave o non autosufficiente. Infatti mancando una legge che regolamenti in concreto il riconoscimento della figura giuridica del Caregiver familiare, introdotto dalla legge 205/17 e dunque la fruizione soggettiva di determinati benefici anche di natura economica, e ovviamente lo Smart working per coloro che non sono fragili ma che svolgono la funzione di Caregiver familiare stabilita dalla Legge, è giunta come una mazzata sul Governo morente la decisione del Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Il Comitato ha accolto il ricorso avviato nel 2017 dal Coordinamento Nazionale Famiglie Disabili (Confad) ed ha riconosciuto “la violazione del diritto al sostegno sociale di un caregiver familiare, oltre che ai diritti delle persone con disabilità”.

In sostanza in Italia abbiamo una legge ma il Parlamento e il Governo in scadenza in questi anni non hanno prodotto nulla per rendere effettiva questa legge, bastava cioè una norma che traducesse in percorsi amministrativi quello che la legge aveva riconosciuto al Caregiver familiare. Ora in soldoni l’Italia (tutti noi) deve pagare un cospicuo risarcimento ma il danno di immagine come Paese che ha violato i diritti umani resta come un marchio a fuoco. Ora l’Italia deve controdedurre al Comitato e chiarire cosa intenda fare. Resta la delusione politica di ben tre ministri delle disabilità, Lorenzo Fontana nel Governo Conte I, Alessandra Locatelli nel Conte II ed Erika Stefani nel Governo Draghi, quello dei migliori, che non hanno fatto nulla per i Caregiver familiari e per evitare questo pesante giudizio, nemmeno un piccolo sforzo per stimolare il Parlamento a portare a compimento il pessimo testo del Movimento 5 Stelle che era comunque in Esame al Senato ma che, non avendo completato nemmeno la prima lettura, è decaduto.

Ora non resta che sperare che il Governo che si insedierà prenda in mano non solo il dossier dei lavoratori fragili assumendo decisioni che vadano oltre il 31/12 p.v. superando la discriminazione tra chi può accedere al lavoro agile e chi invece ne è precluso ma, soprattutto, individui la via più accelerata possibile per completare, come del resto è scritto a chiare lettere nel programma di Fratelli d’Italia, la normativa in materia di Caregiver familiare così da dare risposta a questi primi due delicati dossier sulla disabilità. Magari scegliendo un ministro delle disabilità che non sia solo politico ma un tecnico, perché il problema non sono le idee politiche ma il tradurle con competenza in norme utili alle famiglie e alle persone con disabilità e, in ultima analisi al Paese. Dove vive bene una persona con disabilità vivono bene tutti.

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