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Peste Suina

Cosa farà il nuovo commissario straordinario per la peste suina?

Il numero di casi di peste suina in Italia continua a crescere così come l’apprensione, per opposte ragioni, di animalisti e allevatori. Se non si passa seriamente all’eradicazione della malattia le conseguenze economiche saranno significative. Fatti, numeri e commenti  

 

La Peste suina africana (Psa) era tornata a far parlare di sé all’inizio dello scorso anno quando, dopo il caso di un cinghiale positivo identificato in Piemonte, il focolaio si era allargato fino ad arrivare a colpire anche alcuni maiali domestici della capitale.

Nel frattempo, era stato quindi nominato Angelo Ferrari come Commissario straordinario per l’emergenza Psa, sostituito il 25 febbraio scorso da Vincenzo Caputo, direttore generale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche.

Ora, secondo l’ultimo bollettino epidemiologico diffuso dal ministero della Salute, il numero di comuni coinvolti nell’epidemia è salito a 80.

IN QUALI REGIONI È STATA SEGNALATA LA PESTE SUINA

Nel periodo dal 1° gennaio 2022 a oggi, il Ministero riferisce che il numero di animali positivi alla Peste suina africana ha raggiunto quota 633 tra i cinghiali e 5 focolai nei suini.

Le regioni in cui la malattia è stata riscontrata sono Piemonte, che con 368 cinghiali risultati positivi in provincia di Alessandria è quella con il maggior numero di casi, Liguria (139 cinghiali in provincia di Genova e altri 70 in provincia di Savona), Lazio (48 cinghiali e 1 focolaio nei suini in provincia di Roma), Sardegna (3 cinghiali e 4 focolai nei suini in provincia di Nuoro, a cui si aggiungono 4 cinghiali in provincia di Sassari e un altro cinghiale nel Sud della regione).

LE CONSEGUENZE ECONOMICHE

Ma sebbene la Psa non si trasmetta all’uomo, è altamente contagiosa e letale per gli animali – e, come diceva un anno fa l’ex sottosegretario alla Salute Andrea Costa, “per un comparto economico che fattura oltre 7 miliardi”.

E Ferrari, quando a febbraio era ancora commissario straordinario, affermava che già due mesi fa “solo per il mancato export, senza contare i danni locali, la perdita è stata quantificata da Assica in 20 milioni di euro al mese, che schizzerebbero a 60 milioni nel momento in cui si verificasse il passaggio dal suino selvatico a quello di allevamento”.

“Se poi disgraziatamente la peste suina dovesse entrare in un’area ad alta produzione coinvolgendo, ad esempio, le aree di produzione del prosciutto di Parma o del San Daniele, potremmo avere una perdita economica fino a 2 punti di PIL. Ma il danno – proseguiva – sarebbe incalcolabile, nel caso in cui obbligasse alla sospensione delle produzioni Dop”.

All’inizio di aprile, Agronotizie osservava che “già oggi, sebbene il virus sia presente solo nei cinghiali, Svizzera, Cina, Giappone, Taiwan e Kuwait hanno chiuso le loro frontiere alle produzioni provenienti dall’Italia. Se saranno coinvolti gli allevamenti, i danni sarebbero devastanti, con ripercussioni per l’intera economia del Paese”.

E IL NUOVO COMMISSARIO COSA DICE?

Caputo ha parlato di una situazione “molto complessa” che deve essere affrontata con una “strategia olistica”, che non si limita alle reti applicate – su decisione di Ferrari – in Liguria e Piemonte. Al Fatto Alimentare ha dichiarato che è già “stato fatto tantissimo soprattutto in termini di prevenzione”, con manuali delle emergenze, sistemi informativi adeguati e un piano di sorveglianza.

“Dobbiamo invece cambiare passo in termini di gestione del cluster in Piemonte e Liguria e invertire la tendenza epidemiologica”, ha aggiunto. All’inizio del mandato, Caputo aveva detto anche che “qualche volta il mondo del volontariato della caccia può rappresentare uno straordinario strumento di bioregolazione qualora venga ben coordinato dalla parte pubblica con regole di ingaggio molto chiare”.

Il commissario straordinario sembrava infine essere in linea con il suo predecessore circa la caccia in zona infetta, come invece chiesto dai cacciatori ma che potrebbe allargare le zone a rischio. Dunque, più abbattimenti fuori dalla zona rossa, mentre all’interno, le deroghe sui divieti ad attività outdoor, concessi dalle Regioni Piemonte e Liguria per venire incontro alle proteste dei territori, dovrebbero lasciare il posto a una nuova stretta.

RISORSE PER L’ERADICAZIONE

La realtà però, secondo quanto dichiarato a febbraio da Ferrari, è che tra le pressioni degli allevatori che chiedono una significativa riduzione del numero dei cinghiali e quelle degli animalisti che, al contrario, non approvano, mancano le risorse economiche per l’eradicazione della malattia, che Caputo spera di realizzare nel giro di tre anni.

“Mancano all’appello più di 10 milioni di euro per proseguire con le attività di prevenzione e di eradicazione della malattia”, avvertiva Ferrari.

“Con le risorse messe precedentemente a disposizione, circa 10 milioni di euro, abbiamo posto più di 120 km di barriere, rispetto ai 144 previsti (pensiamo che in Belgio, nostro Paese di riferimento strategico, sono stati posti 350 km di reti), ed effettuato gli espropri necessari […] Ma ora – spiegava l’ex commissario – i fondi disponibili sono finiti e, per concludere i lavori previsti, per riparare le barriere che hanno subito degli sfondamenti e per coprire i costi assicurativi, abbiamo chiesto al Governo, come già al precedente, 6.700.000 euro, ai quali vanno aggiunti 4 milioni per posizionare le nuove barriere necessarie a causa dell’espansione della malattia, come è stato richiesto dal Gruppo operativo degli Esperti del Ministero della Salute”.

Infine, concludeva Ferrari: “Bisogna anche pensare a un ristoro per quegli allevatori che sono fermi da un anno e a risorse strategiche per favorire la biosicurezza negli allevamenti. Insomma, occorre un ulteriore sforzo se vogliamo arrivare all’eradicazione della peste suina”.

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