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Peste Suina Roma

Cosa sta facendo Roma per arginare la peste suina?

Decreto sulla biosicurezza, piano di abbattimenti e revisione della zona rossa sono le novità annunciate dal Commissario straordinario, Angelo Ferrari, per contrastare la peste suina nel capitale. Ma cosa ne pensano Coldiretti e Confagricoltura?

 

Roma ha un piano per il crescente timore relativo alla peste suina. È quanto dichiarato dal Commissario all’emergenza straordinaria, Angelo Ferrari, nominato dal ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf) in seguito ai casi di infezione riscontrati nella capitale a inizio maggio, ma già segnalati dal Piemonte a gennaio.

Oggi si riunirà l’unità di crisi nazionale, a cui seguirà la cabina di regia di Roma per la gestione dei casi.

PERCHÉ TANTA URGENZA ORA

Finora, a Roma, la peste suina aveva interessato solamente i cinghiali selvatici (a partire dal focolaio identificato nel parco dell’Insugherata), ma dopo il riscontro di infezione anche in due maiali domestici all’interno di un allevamento di tipo familiare con 8 capi complessivi, è diventato necessario un cambio di passo nella strategia per il contenimento del contagio.

La zona rossa istituita fino al 31 agosto, infatti, non sembra più una misura sufficiente e, tra l’altro, secondo quanto dichiarato dal Commissario straordinario “adesso zona rossa e zona di infezione verranno tutte riviste”.

IL DECRETO SULLA BIOSICUREZZA

“Il decreto sulla biosicurezza voluto fortemente dal sottosegretario Costa – ha detto Ferrari all’Agi – verrà presentato in Conferenza Stato Regioni, poi sarà subito attivo. È già stato scritto ed è già pronto. L’obiettivo del decreto è quello di poter mettere in sicurezza tutti i nostri allevamenti”.

“Oggi – ha chiarito il Commissario – dobbiamo guardare con particolare attenzione a tutte quelle norme che non sono solo igieniche ma anche formazione e conoscenza, reti, sistemi, che mettono in condizione i nostri allevamenti di rappresentare una sorta di fortino nei confronti della peste suina”.

IL PIANO DI ABBATTIMENTI

Il piano di abbattimenti, già preso in considerazione e fortemente criticato dagli animalisti che attribuiscono questa deriva a un problema di degrado urbano, è ora realtà.

“Il piano di abbattimenti – ha spiegato Ferrari – adesso prevede un cronoprogramma molto attento e gli allevamenti di suini presenti nella precedente area infetta verranno tutti abbattuti nel giro di cinque giorni”.

Il Commissario ha ricordato che l’area infetta interessa una parte metropolitana di Roma all’interno del raccordo anulare e un altro spicchio che si prolunga verso il lago di Bracciano. “Dobbiamo abbattere velocissimamente tutti i suini presenti nell’area infetta. Ieri l’Asl – ha detto Ferrari – ha stimato un numero di suini attorno ad un migliaio. Poi dovremo abbattere i cinghiali fuori dall’area infetta”.

COME AVVERRÀ LO SMALTIMENTO

Il Commissario ha inoltre spiegato all’agenzia di stampa che è stato previsto che le carcasse vengano incenerite perché “è una misura più coercitiva rispetto alla macellazione proprio per evitare che ci siano ulteriori capi infetti nei suini. Più agiamo in maniera determinata e incisiva meno speriamo che siano i danni di carattere commerciale che avremo”.

LA PREOCCUPAZIONE DELLE AZIENDE

La peste suina, spesso letale per gli animali ma non trasmissibile agli esseri umani, preoccupa soprattutto gli allevamenti. Solo nel Lazio, sono quasi 50 mila i maiali a rischio.

In loro difesa si è pronunciata Coldiretti: “Ora è necessario intervenire con la modifica immediata dell’articolo 19 della legge 157/1992 semplificando le procedure per l’adozione dei piani di abbattimento approvati dalle regioni e il rafforzamento delle competenze dell’ufficio commissariale. Il rischio è che l’emergenza si allarghi e che siano dichiarate infette le aree ad elevata vocazione produttiva, con il conseguente pregiudizio economico che potrebbe discendere per la filiera agroalimentare e l’occupazione in un settore strategico del made in ltaly”.

Come si legge infatti su Repubblica, all’estero hanno già iniziato a rifiutare i prodotti italiani.

I DATI DEL COMPARTO

Anche Confagricoltura ha espresso il proprio disappunto sulla “disattenzione con la quale l’emergenza è stata affrontata fino a oggi” e ha citato le cifre del comparto.

Il comparto nazionale conta quasi 9 milioni di capi, allevati in oltre 30 mila allevamenti. Con un export di 1,5 miliardi di euro nel 2021, il volume di affari totale (produzione degli allevamenti e fatturato dell’industria di trasformazione) sfiora gli 11 miliardi. Complessivamente, l’intera filiera genera un fatturato che è pari al 5% del totale della produzione agricola nazionale e sul fatturato dell’intera industria agroalimentare italiana.

Dal primo caso di gennaio, secondo l’associazione, i danni ammonterebbero a 20 milioni di euro al mese, ma si sarebbero potuti evitare “con misure adeguate, incisive e tempestive”.

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