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Engineering Regione Lombardia

Che cosa non cambierà per i medici di famiglia

I fondi del Pnrr e la riforma della sanità potrebbero non essere sufficienti per migliorare il lavoro dei medici di famiglia. Ecco perché

 

Senza nuove assunzioni di medici di famiglia, la parte del Pnrr destinata alla sanità rischia di essere un flop. I professionisti del settore e le associazioni che li rappresentano continuano a ripeterlo. In un’intervista a La Verità lo ha ribadito oggi anche Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo).

LA RIFORMA DELLA SANITÀ E IL PNRR

I medici di famiglia, protagonisti della medicina del territorio, non sono ottimisti riguardo al loro futuro e alle promesse vuote di una riforma che dovrebbe essere garantita dal Pnrr. Il malcontento è tornato a farsi sentire all’inizio del mese quando l’1 e il 2 marzo il Sindacato medici italiani (Smi) e il Sindacato italiano medici del territorio (Simet) hanno indetto uno sciopero in cui i camici bianchi hanno denunciato la necessità che vi siano più medici sul territorio.

Per rafforzare la medicina territoriale il Piano prevede le Case di comunità ma lo stesso Anelli le ha definite “soltanto degli involucri, delle strutture murarie”. Il vero problema, sottolinea il presidente Fnomceo è che “resta inalterato il fabbisogno dei professionisti che dovrebbero attestarsi in 1 medico ogni 1.000/1.300 assistiti”.

Ad oggi, secondo Smi e Simet, nel nostro Paese sono più di 3 milioni i cittadini senza medico di famiglia.

PROMESSE TRADITE

Anelli ha ricordato che l’attuale programmazione era stata fatta sul rapporto ottimale di 1 medico ogni 1.000 cittadini, “ma il rapporto è cambiato con lo spostarsi della curva pensionistica”.

Oggi il rapporto è di circa 1 medico ogni 1.250 assistiti e, in alcune regioni, si arriva addirittura a 1.500.

“Gli interventi del governo hanno oggettivamente svuotato quell’imbuto formativo che è stato da noi evidenziato, quindi quest’anno il numero di medici professionisti disponibili a partecipare alle prossime turnazioni e che hanno effettuato il concorso è quasi pari al numero di borse messe a concorso”, ha dichiarato Anelli.

LE RESPONSABILITÀ DELLE REGIONI

Il numero uno di Fnomceo ha spiegato che anche a livello regionale qualcosa non ha funzionato se fino a qualche anno fa la regione Lombardia “dichiarava un fabbisogno di medici di medicina generale sostanzialmente simile a quello della Puglia, avendo invece il doppio della popolazione”.

I vuoti nell’assistenza lasciati da chi va in pensione, infatti, dovrebbero essere previsti e colmati dalle regioni che ogni anno comunicano al ministero della Salute il fabbisogno di professionisti che necessitano per il turnover.

IL RISULTATO DEI TAGLI E NON SOLO

Si è giunti a questa situazione, portata all’esasperazione da due anni di pandemia, non solo per i tagli e le “scellerate scelte fatte nel passato” che “hanno portato a un blocco, per esempio, delle assunzioni negli ospedali o a un fondo previsto per l’assunzione del personale fermo al 2004”, ma nel caso della medicina generale, sottolinea Anelli, “più si risparmiava in termini di personale, più le regioni facevano quadrare i loro bilanci”.

Non avendo previsto, infatti, dei fondi per l’assunzione di personale amministrativo e di studio, i medici “si sono trovati da soli a svolgere mansioni che avrebbero richiesto le competenze di altre professioni nel bel mezzo di una emergenza di massa e perfino in una situazione di carenza”.

LA SOLUZIONE

Secondo Anelli l’unica via per uscire da questo vicolo cieco in medicina generale “bisogna definire il rapporto ottimale tra numero di pazienti e medici” e “poi è necessario definire come poter consentire più agevolmente ai diplomati e ai medici di medicina generale di entrare realisticamente nel mondo del lavoro, snellendo la burocrazia e le lunghe attese”.

Anche Costantino Troise, presidente del sindacato Anaao Assomed, aveva già detto che senza nuove assunzioni il Piano “non reggerà”: “Se non si investe in capitale umano tutto ciò che andiamo a mettere nella sanità rischia di dare un vestito nuovo a una struttura vecchia”.

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