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McKinsey

McKinsey e Recovery Plan, ecco il falso scandalo (e quello vero)

Fatti, polemiche e fuffa su McKinsey e Recovery Plan. Il commento di Giuseppe Liturri

 

Sabato pomeriggio è stato necessario un comunicato del ministero dell’Economia per arginare la marea montante dei tanti cascati ingenuamente dal pero, alla notizia che la prestigiosa società di consulenza internazionale McKinsey era al lavoro sul Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR).

La valutazione di questo piano da parte della Commissione e la sua approvazione da parte del Consiglio, da eseguirsi entro 3 mesi dalla presentazione, sono condizione di accesso ai tanto agognati fondi del Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza (RRF).

Da via XX Settembre sono stati costretti a scoprire l’acqua calda, ribadendo l’ovvio e cioè che “gli aspetti decisionali, di valutazione e definizione dei diversi progetti di investimento e di riforma inseriti nel Recovery Plan italiano restano unicamente in mano alle pubbliche amministrazioni coinvolte e competenti per materia”.

E specificano che “l’attività di supporto richiesta a McKinsey riguarda l’elaborazione di uno studio sui piani nazionali “Next Generation” già predisposti dagli altri paesi dell’Unione Europea e un supporto tecnico-operativo di project-management per il monitoraggio dei diversi filoni di lavoro per la finalizzazione del Piano”. Il tutto avverrà con un contratto da €25.000 (appena sufficienti per pagare qualche decina di giornate/uomo di consulenti junior).

Queste parole, ripetiamo ovvie, erano rivolte a placare una gazzarra mediatica al grido di “Tradimento! Draghi lascia scrivere ai consulenti americani le nostre politiche di investimento!”. In testa al corteo (virtuale) dei manifestanti spiccava il Fatto Quotidiano seguito a ruota da tutto il fior fiore della gauche caviar, quelli sempre pronti ad indignarsi a comando, senza sapere nemmeno di cosa si stia parlando.

Noi, che di queste cose scriviamo ormai da fine maggio 2020, appena la Commissione rese noti i primi dettagli, crediamo che chi si indigna (solo) oggi possa essere inscritto in un insieme a scelta tra quello degli ipocriti, degli ignoranti, o di quelli in malafede. Con elevata probabilità di intersezione tra i suddetti insiemi.

Il lavoro che sarà richiesto ai consulenti è la naturale e quasi doverosa conseguenza di come è stato impostato il PNRR: un insieme di linee progettuali ciascuna delle quali contiene specifici progetti che hanno risorse dedicate, tempi di attuazione e risultati attesi. Se tali progetti, così congegnati, raggiungono gli obiettivi indicati dalla Commissione secondo rigorosi parametri di valutazione con tanto di pagella finale, il PNRR passa ed arrivano i soldi, altrimenti si resta a secco. È quindi normale che, soprattutto in presenza di picchi di lavoro in vista della scadenza del 30 aprile, il ministero di avvalga di risorse esterne, non per decidere alcunché ma per eseguire, secondo le specifiche dettate dalla Commissione, le scelte fatte in sede politica.

Ed è proprio su questo punto che cade il pesante velo d’ipocrisia di chi ora si indigna per i “consulenti americani”. Dove erano a settembre 2020, quando la Commissione varò le prime linee guida per la stesura del PNRR, poi aggiornate a gennaio scorso? Se avessero letto quelle 59 pagine, oltre al regolamento del RRF, avrebbero dovuto indignarsi allora, nel leggere la quasi totale spoliazione di qualsiasi spazio di discrezionalità, di flessibilità decisionale, di autonomia nella decisione delle destinazioni di spesa.

Se il piano è quello, è poi logica conseguenza che ci sia bisogno di aziendalisti capaci di scrivere le schede di Excel richieste dalla Commissione, impostate con stati di avanzamento, obiettivi intermedi, ritorni degli investimenti. Tutto pane quotidiano per i ragazzi di McKinsey e di qualsiasi altra società di consulenza internazionale.

Lo scandalo, che avremmo voluto vedere denunciato dagli indignati della 25ma ora, è quello di aver rinunciato a qualsiasi spazio di agibilità nelle scelte politiche relative alle direttrici di investimento. Chi ha deciso che dobbiamo dedicare il 37% degli investimenti alla transizione ambientale (qualsiasi cosa voglia dire, fumo incluso) ed il 20% alla transizione digitale? E se l’Italia avesse bisogno di qualcosa in meno o qualcosa in più su altre linee, come il dissesto idrogeologico e la manutenzione del territorio? Non si può toccare palla. Abbiamo supinamente subito importanti scelte politiche relative alle destinazioni di spesa ed alle condizioni per l’ottenimento dei fondi, e da luglio al MEF stanno impazzendo per “inventarsi” progetti che incrocino le linee guida della Commissione.

È questo lo scandalo di cui nessuno parla, non quattro ragazzi di McKinsey chiamati a compilare dei fogli di Excel o scrivere qualche diagramma di Gantt per i progetti. Buoni solo per pulire la coscienza di qualche sepolcro imbiancato che a maggio 2020 aveva altro da fare.

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