skip to Main Content

Mes

Ecco come Conte dice Nì ora al Mes

Che cosa ha detto sul Mes il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in un passaggio della sua informativa al Senato sull'emergenza Coronavirus.

“Rifiutare la nuova linea di credito” che fa capo al Mes “significherebbe fare un torto ai Paesi, che pure sono a noi affiancati in questa battaglia, e che intendono invece usufruirne. Resto però convinto che all’Italia serva altro”.

E’ quello che ha detto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in un passaggio della sua informativa al Senato sull’emergenza Coronavirus.

Conte ha ricordato, tra gli elementi del pacchetto che l’Ue sta approntando, “l’attivazione di una linea di credito dedicata alle spese sanitarie ed erogata dal Meccanismo europeo di stabilità, l’ormai strafamoso Mes”, su cui “si è alimentato, nelle ultime settimane, un dibattito che rischia di dividere l’Italia in opposte tifoserie. Insieme ad altri otto Paesi membri, l’Italia ha lanciato una sfida ambiziosa all’Europa, invitandola a introdurre nuovi strumenti per affrontare e superare al più presto questa crisi. Alcuni di questi Paesi, che hanno condiviso questa nostra impostazione, hanno dichiarato da subito, penso alla Spagna, di essere interessati al Mes, purché non abbia le rigide condizionalità applicate in altre circostanze, ma solo la condizione che l’utilizzo del finanziamento sia per far fronte alle spese sanitarie, dirette e indirette”.

ESTRATTO DELL’INTERVENTO DI CONTE AL SENATO:

La sfida che ci attende non può essere affrontata efficacemente ricorrendo soltanto a politiche nazionali, visto che il virus non conosce confini e sta pervasivamente incidendo sui tessuti economico-sociali di molti Paesi.

Affinché tutti i Paesi possano superare l’emergenza sanitaria, ricostruire la propria società e la propria economia, è necessario che le Nazioni sappiano mettere in campo una risposta coordinata, solidale.

L’ho ribadito in tutte le opportune sedi istituzionali – a livello di G7, G20, Consiglio europeo -, l’Unione europea e l’Eurozona non possono permettersi di ripetere gli errori commessi durante la crisi finanziaria del 2008. Allora non si riuscì ad affrontare in modo coordinato, unito e solidale uno shock comune, si decise addirittura un consolidamento fiscale affrettato e ingiustificato che, amplificando le divergenze fra i Paesi, produsse un secondo shock di natura asimmetrica nel 2010-11, portando – come sappiamo e ricordiamo – alla crisi dei debiti sovrani, condannando l’Europa a una recessione più prolungata e a una ripresa più lenta e più debole rispetto alle altre maggiori aree economiche del mondo.

È un rischio che adesso non ci possiamo permettere di correre, poiché il fallimento nel produrre una risposta adeguata e coraggiosa porterebbe – inevitabilmente – grave danno allo stesso progetto europeo.

L’Eurogruppo dello scorso 9 aprile ha preparato un rapporto per la risposta economica dell’Unione all’emergenza sanitaria ed economica che, oltre a tenere conto dei progressi compiuti, predispone un pacchetto di strumenti a disposizione degli Stati membri composto da quattro elementi principali.

Innanzitutto, viene costituito un fondo di garanzia europeo presso la Banca Europea degli Investimenti, la BEI, dotato di 25 miliardi di euro, che dovrebbe consentire l’attivazione fino a 200 miliardi di euro di finanziamenti per gli investimenti all’interno dell’Unione.

Il secondo elemento del pacchetto è il cosiddetto piano “Sure”, uno strumento di assistenza finanziaria che potrà erogare fino a 100 miliardi in linee di credito dedicate alle misure di sostegno al reddito dei lavoratori temporaneamente privi di impiego.

Questi due elementi, seppure ancora insufficienti, già si caratterizzano per un finanziamento con garanzie comuni, e quindi a tassi di interesse bassi, per spese e investimenti da effettuare nei Paesi membri.

Sul terzo elemento del pacchetto, ovvero l’attivazione di una linea di credito dedicata alle spese sanitarie ed erogata dal Meccanismo europeo di stabilità (l’ormai stra-famoso Mes), si è alimentato, nelle ultime settimane, un dibattito che rischia di dividere l’Italia in opposte tifoserie.

L’Europa non deve ritrovarsi nuovamente a chiedere scusa, nei confronti di nessun Paese, come è successo in passato, quando ha imposto alla Grecia programmi particolarmente severi. Di qui la mia posizione di assoluta cautela: di fronte alla sfida epocale che abbiamo di fronte, non si può pensare che la risposta possa essere affidata a interventi modesti peraltro sul piano finanziario e per di più basati su un accordo intergovernativo come il Mes, pensato per gestire crisi assai diverse, riguardanti singoli Paesi, imputabili a squilibri di natura economica. Per questo è stato concepito, in virtù di decisione prese nel passato. Per come è stato concepito è uno strumento che ha sin qui espresso linee di finanziamento caratterizzate da forti condizionalità macro-economiche e che per di più ha consentito di dosare l’imposizione di misure fiscali al soggetto finanziato via via sempre più stringenti, tutte cose che io ritengo inaccettabili data la natura di questa crisi.

Insieme ad altri otto Paesi membri, l’Italia ha lanciato una sfida ambiziosa all’Europa, invitandola a introdurre nuovi strumenti per affrontare e superare al più presto questa crisi. Alcuni di questi Paesi, che hanno condiviso questa nostra impostazione, hanno dichiarato da subito – e voglio anche dirlo esplicitamente: la Spagna – di essere interessati al Mes, purché non abbia le rigide condizionalità applicate in altre circostanze, ma solo la condizione che l’utilizzo del finanziamento sia per far fronte alle spese sanitarie, dirette o indirette che siano. Rifiutare la nuova linea di credito significherebbe fare un torto ai Paesi, che pure sono a noi affiancati in questa battaglia, e che intendono invece usufruirne.

Resto però convinto che all’Italia serva altro.

All’ultima riunione dell’Eurogruppo è stato compiuto un deciso passo avanti in questa nuova direzione: nel paragrafo 16, relativo all’utilizzo del Mes, è stata proposta come sapete una nuova linea di credito, chiamata “pandemic crisis support” e adattata alla natura simmetrica dello shock legato al Covid-19, soggetta alla sola condizione dell’utilizzo del finanziamento per le spese sanitarie e di prevenzione, dirette e indirette. Per capire se effettivamente sarà così, bisognerà però attendere l’elaborazione dei vari documenti relativi ai termini di finanziamento, che verranno predisposti per erogare questa nuova linea di credito.

Su questo versante mi attendo ulteriori peraltro chiare prese di posizione anche in seno al Consiglio Europeo, e in ogni caso siamo disponibili a lavorare con i Paesi direttamente interessati a questa nuova linea di credito affinché, anche in sede regolamentare, comunque non siano introdotte condizionalità di sorta, macro-economiche o anche più specifiche.

Quanti oggi esprimono dubbi e perplessità su questa nuova linea di credito a mio avviso, a mio personale avviso, contribuiscono a un dibattito democratico e costruttivo, e sono io il primo a dire che bisognerà valutare attentamente i dettagli dell’accordo.

Solo allora potremo valutare in via conclusiva se questa nuova linea di credito pone condizioni, quali condizioni pone, e solo allora potremo discutere se il relativo regolamento può essere o meno conforme all’interesse nazionale, se può essere o meno conveniente e opportuno rispetto agli interessi nazionali.
Ho già dichiarato in altre sedi, ritengo che questa discussione, in un paese civile e democratico, debba avvenire in modo pubblico e trasparente, dinanzi al Parlamento, al quale spetterà l’ultima parola.

Ma la verità è che la trattativa in cui siamo impegnati in Europa è particolarmente complessa perché la risposta comune non può poggiare solo su queste misure: deve essere ben più efficace, ben più consistente.
Noi siamo ben convinti della forza delle nostre ragioni.

All’inizio eravamo soli. Nelle scorse settimane ho però proposto una lettera, un vero e proprio manifesto programmatico, che è stato sottoscritto da altri 8 Paesi, che ora sono con noi a chiedere strumenti nuovi, adatti alla situazione eccezionale che stiamo vivendo.

Il quarto elemento del pacchetto è un pezzo fondamentale della nostra strategia europea: uno European Recovery Fund, che possa finanziare progetti comuni di interesse europeo, per avviare un piano di ricostruzione fondato sugli investimenti, l’innovazione, la sostenibilità ambientale, la tutela della salute e dell’ambiente.

Il rapporto dell’Eurogruppo dello scorso 9 aprile richiama la necessità di costruire questo strumento, che l’Italia intende realizzare quanto più velocemente possibile, strutturandolo come un veicolo in grado di finanziarsi con debito comune sui mercati finanziari.

Sarà – questo – il tema della riunione, della videoconferenza dei membri del Consiglio europeo, prevista per il prossimo giovedì 23 aprile.

L’Italia, insieme agli altri Paesi che condividono questa medesima strategia, sostiene la necessità di una risposta coordinata e ambiziosa allo shock da Covid-19 con la conseguenza che questo nuovo strumento di finanziamento dovrà:

essere conforme ai trattati europei, perché non abbiamo il tempo di operare modifiche che comporterebbero una lunga e complessa procedura;

gestito a livello europeo e offerto a tutti i Paesi interessati, senza che possa assumere un carattere bilaterale;

dovrà essere particolarmente consistente quanto alla dimensione finanziaria, ben più consistente degli strumenti di cui attualmente si parla;

dovrà essere mirato a far fronte a tutte le conseguenze negative economiche e sociali prodotte dal Covid-19;

dovrà essere immediatamente disponibile e se pure verrà a ricadere sul nuovo Quadro Finanziario Pluriennale, dovrà essere messo a disposizione di tutti i Paesi interessati subito, è possibile farlo tecnicamente, attraverso un meccanismo di garanzie che ne anticipino l’applicazione (c.d. bridge);

non dovrà avere le condizionalità, infine penso anche in termini di cofinanziamento, di modalità di spesa, che caratterizzano gli ordinari piani di finanziamento strutturali dell’Unione europea.

Al momento abbiamo un’iniziativa della Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen che, per quanto da essa stessa mi è stato specificamente anticipato, potrebbe avere queste caratteristiche e muovere proprio in questa direzione.

Sul tavolo vi è anche una proposta francese, se ne è parlato anche nei giornali, che legherebbe il Recovery Fund a un veicolo costruito ad hoc, in grado di emettere strumenti di debito comune e di erogare fondi ai paesi membri. Noi appoggiamo questa proposta francese, avendo chiesto di integrarla rispetto alla sua originaria formulazione, in modo da rispondere più puntualmente e ampiamente ai requisiti che ho indicato e che riteniamo imprescindibili.

Da ultimo, forse avete anche avuto notizia di questo, è stata presentata una proposta spagnola che pure, ma con qualche suggerimento di variazione, potremmo appoggiare, per la conformità alle caratteristiche e alle finalità che ho più sopra indicate.

Ai Paesi che condividono con noi la medesima linea di intervento abbiamo riservatamente anticipato anche una nostra proposta, sempre in questa direzione, che riteniamo pienamente conforme ad esempio all’art. 122 del Trattato, ma a noi interessa portare a casa un risultato, non interessa in questo momento rivendicare una primazia. In questo momento riteniamo opportuno condividere quanto più possibile le proposte sul tavolo, senza rischiare di dividerci, con la conseguenza di rallentare, non ce lo possiamo permettere, il processo decisionale europeo.

Dobbiamo agire presto perché il ritardo comprometterebbe il risultato: è un rischio che l’Europa, non l’Italia, l’Europa non può correre. Dobbiamo affrettarci, senza indugio, a rafforzare la nostra casa comune, e dobbiamo ripararla in fretta per sperare di competere anche, tra le altre cose, in modo efficace con le altre economie globali. Quest’ultimo aspetto, vorrei dire, non riveste una minore importanza: al mantenimento di un equilibrato e sostenibile mercato interno fa evidentemente da corollario, nell’azione esterna dell’Unione europea, quel “level playing field”, quella parità di condizioni, che le consentirebbe di restare al passo con i grandi players globali.

Le consultazioni, e concludo, da me avute in questi giorni sia a livello G7 che G20, hanno fatto da subito emergere – cosa che non smetto mai di segnalare ai miei omologhi – la magnitudo dello spazio fiscale messo in campo, pensate, da USA, dalla Cina e dallo stesso Giappone.

Di fronte a ordini di grandezza di diversi trilioni di dollari, la risposta complessiva europea non si è ancora configurata di livello adeguato.

È per questa ragione che non potrò accettare un compromesso al ribasso. Qui non siamo di fronte a un negoziato a somma zero. Non ci saranno alcuni vincitori e alcuni perdenti. Sono intimamente convinto, parlando di Europa, che o vinceremo tutti o perderemo tutti. Il prossimo incontro europeo a livello di leader dei 27 Stati Membri dell’Unione europea non ritengo sarà quello risolutivo a questo fine, ma farò di tutto perché esprima, già il prossimo Consiglio Europeo, un indirizzo politico chiaro nell’unica direzione che vi ho espresso, l’unica direzione ragionevole.

Back To Top