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Vi spiego perché ci sono troppi ottimismi su Conte 2 e Bruxelles. L’analisi di Salerno Aletta

L'analisi dell'editorialista Guido Salerno Aletta

 

La crisi politica ferragostana è stata ben definita “la più pazza del mondo”, così riecheggiando il titolo di un vecchio film di Walt Disney in cui un Maggiolino Volkswagen andava in giro autonomamente, combinandone di ogni colore. Che si sia trattato di un passaggio di mano inatteso, privo di quelle solide riflessioni strategiche che in genere si preparano in vista delle elezioni politiche generali, è dimostrato dal proliferare dei punti programmatici nel corso della trattative. Lo stesse Beppe Grillo ha ironizzato in proposito, rilevando che andavano raddoppiando come i punti-premio della Standa: sono passati da 10 a 20, poi a 26, concludendo a 29.

DOSSIER IMMIGRATI PER L’ITALIA

Eccezion fatta per la gestione degli immigrati che continueranno ad essere raccolti dalle navi delle Ong, affidata stavolta alle prudenti cure di un Ministro degli Interni proveniente dalla carriera prefettizia, la cifra programmatica che emerge è quella degli auspici, frammisti al bonario continuismo. Non solo è tutto vago, con i consueti richiami all’Europa per quanto riguarda i vincoli di bilancio, la coesione territoriale, gli investimenti, e la politica sull’immigrazione. Chiedere un’Europa più inclusiva, vicina ai cittadini non significa nulla: è lo slogan di chi sogna ad occhi aperti.

I NODI INDUSTRIALI DI FRANCIA E GERMANIA

Non bastano gli aggettivi enfatici posti ai temi consueti: nascondono invece la mancanza di riflessione e di prospettive sulle questioni industriali che stanno maturando in Francia ed in Germania, e che riguardano il ruolo di ciascun Paese nella divisione internazionale del lavoro e la partecipazione alle filiere di creazione del valore. Non basta dunque richiamare l’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile: è un semplice sentito dire.

IL PROGETTO DI FONDO SOVRANO EUROPEO

Manca completamente il raccordo con le prospettive di evoluzione dell’Unione che si sono manifestate in questi anni, e che rappresentano il crinale su cui ci si dovrà muovere: dall’esercito europeo alla creazione di campioni industriali capaci di competere a livello globale con i player americani e cinesi. Il Financial Times ha dato notizia, in proposito, del progetto di costituire un Fondo Sovrano Europeo, con ben 100 miliardi di euro di dotazione, che dovrebbe concentrarsi sull’acquisto di partecipazioni a lungo termine in “società con sede nell’Ue in settori strategicamente importanti”.

IL FUTURO DELLE POLITICHE EUROPEE

Le priorità di investimento dovrebbero essere “lo sviluppo di settori strategici” e “la costruzione e il rafforzamento dei leader dell’innovazione del futuro”. È ben chiaro, a questo punto, che ci si trova ad una svolta nelle politiche europee, non solo nella politica della concorrenza, ma anche nelle relazioni tra Stati ed imprese: salta il divieto agli aiuti di Stato, che non servono solo ai salvataggi, ma soprattutto alle ristrutturazioni ed alle riconversioni, come gli interventi pubblici che si fecero in Italia, seppur con grande ritardo, dopo la crisi petrolifera del ’73. Al vestitino del “market oriented” non ci crede nessuno.

DOSSIER MES

Visto che la finanza del progetto si baserebbe sulla leva di fondi pubblici forniti dai governi dell’Ue, c’è da capire se si tratta di una ennesima operazione di trasfusione di sangue a danno dell’Italia, come è stato per il Mes. Ci siamo impegnati a partecipare al 12% del suo capitale, che complessivamente ammonta a 700 miliardi di euro: di questi, 80 miliardi sono versati direttamente dagli Stati, che comunque garantiscono la parte restante, rinvenuta sul mercato obbligazionario. Mentre per coprire la nostra quota di capitale ci siamo già finanziati a debito, su cui paghiamo fior di interessi, i proventi sono stati usati per salvare dal fallimento le banche spagnole e rimborsare così quelle tedesche e francesi loro creditrici.

LA QUESTIONE DEL NORD

Il sistema produttivo italiano è assente: così come il Nord è sparito dalla compagine di governo, le associazioni imprenditoriali continuano ad invocare solo il taglio del cuneo fiscale. Considerando una leva analoga a quella del Mes rispetto al capitale fornito direttamente dagli Stati, si arriverebbe ad una disponibilità che si avvicina ai mille miliardi di euro: una cifra enorme, con cui verranno finanziati investimenti stratosferici, localizzati chissà dove. Le imprese italiane capaci di integrarsi in un contesto globale verranno acquisite: da subfornitori indipendenti, capaci di offrire prodotti a chiunque sul mercato, diventeranno semplici partecipate sottoposte a direzione e controllo.

Di tutto questo si tace. È un silenzio d’oro, ma non per l’Italia: non solo siamo in vendita, ma stavolta finanzieremo noi stessi i nuovi padroni. Il cambio di governo giunge ancora una volta a proposito, come nel ’92.

(2-fine; la prima parte si può leggere qui)

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