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Libia Iraq

Vi spiego i rischi per l’Italia dalle crisi in Libia e Algeria. Parla Jean

Il braccio di ferro tra Trump e Putin sul Venezuela e il grande gioco della Russia per riottenere il rango di superpotenza globale. Le ingerenze di Mosca in Libia. Le interferenze russe sulle elezioni europee. E poi l’attacco di Haftar contro Tripoli che spiazza la politica estera italiana, i rischi per il nostro approvvigionamento energetico derivante dalla transizione politica in Algeria, finendo coi moniti Usa sul Nord Stream-2 e su Huawei. È un Carlo Jean a tutto campo, quello che ha parlato con Start Magazine.

Il braccio di ferro tra Trump e Putin sul Venezuela e il grande gioco della Russia per riottenere il rango di superpotenza globale. Le ingerenze di Mosca in Libia. Le interferenze russe sulle elezioni europee. E poi l’attacco di Haftar contro Tripoli che spiazza la politica estera italiana, i rischi per il nostro approvvigionamento energetico derivante dalla transizione politica in Algeria, finendo coi moniti Usa sul Nord Stream-2 e su Huawei.

È un Carlo Jean a tutto campo, quello che ha parlato con Start Magazine. L’ex generale transitato nell’accademia con una cattedra in studi strategici all’Università Luiss di Roma analizza i maggiori scenari di crisi e alcuni nodi strategici come i gasdotti e la costruzione del 5G. Tutti temi che tirano in ballo, direttamente o indirettamente, gli interessi del nostro Paese.

Professore, lunedì si sono incontrati il Segretario di Stato Usa Mike Pompeo e il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, e il primo ha detto al suo interlocutore che l’America vuole “l’esercito russo fuori dal Venezuela”. Come vede questo scontro tra superpotenze in atto in Venezuela?

Gli Stati Uniti stanno perseguendo una politica di difesa emisferica, cercano cioè di ristabilire la tradizionale influenza che avevano sull’intera America Latina. E, a tal riguardo, sostengono governi – in particolare quello del Brasile, ma anche quello della Colombia e del Cile – che sono fortemente pro-americani e costituiscono la punta di lancia contro Maduro e la rivoluzione bolivariana escogitata da Chavez. Tali governi aderiscono, com’è noto, al Gruppo di Lima, in cui ci sono tutti i paesi dell’America Latina, eccetto Messico, Nicaragua e Bolivia. Gli Stati Uniti sono contrari in particolare a qualsiasi ingerenza russa. Che invece si sta manifestando sotto la forma di due bombardieri con capacità nucleare che sono arrivati qualche settimana fa in Venezuela, e di circa quattrocento mercenari di una compagnia privata russa, il Gruppo Wagner, che viene utilizzata da Mosca in maniera tale da intervenire in un conflitto senza esserne ufficialmente coinvolta. Per inciso, ci sono contractors della Wagner anche in Siria e pare che ce ne siano anche in Libia.

Che gioco sta facendo Putin?

L’obiettivo del presidente russo è riprendere un rango di grande potenza mondiale. Lo riprende, tra parentesi, con un’economia estremamente debole, appena superiore a quella dell’Italia; e attraverso i rifornimenti di gas mediante gasdotti terrestri. Di qui l’interesse dell’America a diminuire la quantità di gas russo esportato in Europa, sia per diminuire la dipendenza dell’Europa dal gas russo, sia per facilitare l’esportazione di gas liquefatto americano.

Il governo italiano sembrava però guardare, almeno all’inizio, favorevolmente alla Russia. Ricordo che l’ormai ex ministro Savona sostenne l’ipotesi di fare affidamento ai fondi russi per sostenere il nostro maxi debito pubblico.

La Russia ricambierà questo interesse cercando di influenzare le prossime elezioni europee sostenendo le forze politiche più favorevoli a lei, ossia Lega e M5S.

Tuttavia in tempi più recenti abbiamo visto una conversione sulla via di Washington sia della Lega, che ha mandato il potente sottosegretario Giorgetti nella capitale Usa, sia degli stellati, il cui capo politico è stato anch’egli in pellegrinaggio a D.C.

Non mi sembra affatto che il M5S stia diventando filo-americano. Quanto alla Lega, adesso sta convertendosi. Nel caso del Venezuela, è allineata con l’America nel sostenere il riconoscimento di Guaidó. Ricordiamo poi che Bannon sostiene i sovranisti, dunque la Lega. Salvini è inoltre molto simpatetico nei confronti di Trump e delle sue politiche, specie quelle contro i migranti.

Certo è che questa confusione non sembra propedeutica alla tutela dei nostri interessi: si prenda la Libia, dove siamo di fatto isolati, mentre Haftar proclama addirittura il jihad.

Il jihad di Haftar è però da intendersi come guerra santa patriottica, non come guerra santa in senso islamico. Ricordiamo che Haftar non è un islamista: lui gli islamisti li ha sempre combattuti. Quando evoca il jihad, lo dice perché il suo scopo è unificare la Libia. Per cui procederà con l’occupazione rapida di Tripoli per impossessarsi dei centri di potere, in particolare la Noc e la banca centrale, approfittando del fatto che Sarraj è in difficoltà finanziarie e, a differenza di Haftar, non ha chi lo finanzi dall’esterno. Haftar viene finanziato dagli Emirati Arabi Uniti e dall’Arabia Saudita, mentre Sarraj non viene finanziato più di tanto dalla Turchia e dal Qatar. Il fatto è che si devono pagare le milizie, e se non si hanno soldi è un problema. In questo senso, Haftar ha maggiore possibilità di successo.

C’è un’altra crisi che dovrebbe preoccupare molto Roma e non solo: mi riferisco alla transizione in Algeria. Stiamo parlando, come abbiamo sottolineato anche noi, del terzo maggiore esportatore di gas verso l’Europa.

C’è grossa preoccupazione in Italia per quanto sta succedendo in Algeria perché da noi non è ancora entrato in funzione il Tap. L’approvvigionamento trans-adriatico non è dunque ancora operativo. Il fatto essenziale è che se il gas dall’Algeria e dalla Libia viene chiuso noi perdiamo circa il 30% dell’approvvigionamento. Questo è un grave problema per l’Italia, visto che con il gas facciamo funzionare gran parte delle centrali elettriche a ciclo combinato. Rischiamo dunque di dover ridurre la produzione dell’elettricità. Anche perché i gasdotti della Russia sono già pieni, lavorano a pieno ritmo, mentre quelli di Norvegia e Olanda sono quasi vuoti, la loro produzione non è sufficiente. Dovremmo quindi assolutamente puntare sui rigassificatori, coi quali attualmente copriamo circa il 12% del consumo. Dovremmo ad esempio cercare quanto prima di connetterci coi gasdotti che vengono dalla Spagna.

A proposito di gasdotti, i moniti Usa contro il Nord Stream-2 non avranno alcun effetto?

A mio avviso no. Sono peraltro moniti che erano già stati fatti ai tempi dell’amministrazione Obama contro il Nord Stream-1. Il governo americano era contrario a che la Russia aumentasse la propria influenza energetica in Europa Occidentale e, soprattutto, cortocircuitasse la Polonia e i Paesi baltici il cui Pil dipende molto dalle royalties per il transito del gas russo. Però la Merkel pare sorda ai richiami Usa.

Anche i moniti su Huawei avranno lo stesso destino?

Sicuramente. A questo punto, però, gli Stati Uniti daranno seguito alle loro minacce, procedendo con l’embargo sulla trasmissione di informazioni classificate.

Ma significherebbe la fine della Nato….

Tenga conto che nella Nato ci sono già paesi di prima e seconda categoria: i primi ricevono tutte le informazioni, anche le più segrete; gli altri invece ricevono informazioni non strategiche per gli Usa.

Quindi l’Italia sarà presto declassata ad alleato di serie B?

Rischiamo di brutto. Non contribuiscono anche le incertezze della politica estera italiana. Si prenda il memorandum d’intesa con la Cina sulla Belt and Road, che peraltro ha portato vantaggi risibili: qualche arancia della Sicilia e sperma bovino. Quella è stata un’operazione di propaganda interna, più che di rilancio della nostra economia. Tra parentesi, l’Italia esporta in Cina tredici miliardi di dollari di merci l’anno. L’aumento di due miliardi e mezzo di esportazioni che abbiamo ottenuto firmando quel documento lo avremmo avuto lo stesso.

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