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Vi spiego egoismi e furbizie della Germania (non solo sui vaccini)

Pensare a un'Europa non guidata dalla Germania è fantasia. Ma guidare quel che resta del vecchio continente è complesso: impone di contemperare i propri interessi nazionali con l’esercizio della leadership, che può richiedere anche momenti di sacrificio. Ma Berlino non è la prima volta che preferisce l'egoismo (come nel caso dei vaccini...).

Purtroppo, nei momenti più drammatici della storia europea, i tedeschi hanno sempre mostrato il peggio della loro presenza. Lo diciamo con profondo rammarico, assistendo alla piccola furbizia che si è appena palesata. Quell’accordo se non proprio clandestino, almeno riservato, per l’acquisto in proprio dalla Pfizer altri 30 milioni di dosi del vaccino anti-COVID. Le giustificazioni fornite, dopo la levata di scudi e le proteste, non hanno convinto. I tempi tecnici della produzione, infatti, restringono le possibilità di offerta complessiva. E di conseguenza le commesse private sono inevitabilmente destinate a “spiazzare” quelle pubbliche.

Il rammarico nasce guardando al futuro. Nel tempo che verrà, l’unica cosa non certa, ma probabile, sarà una globalizzazione diversa dal passato. Quella che abbiamo finora sperimentato é finita sulle secche della pandemia, né più né meno come la prima globalizzazione – quella dell’inizio del ‘900 – che terminò sotto i colpi di fucile della Grande guerra ed il diffondersi della “spagnola”. Una fase, quella che verrà, necessariamente diversa dal passato. Nel day after del ritorno delle libertà, la dialettica economica, finanziaria e politica sarà tra le grandi aree del Pianeta: quella anglo- sassone (il ruolo della Brexit); quella asiatica, con Cina e Giappone destinati a regolare i loro rapporti su basi diverse; quella indiana, quella russa ed infine quella europea.

E pensare ad un’Europa non guidata dalla Germania è pura fantasia. Ma guidare un continente, o quel che resta del vecchio continente, è cosa difficile e complessa. Impone di contemperare i propri interessi nazionali con l’esercizio della leadership, che può richiedere anche momenti di sacrificio. Forse gli Stati Uniti erano obbligati a partecipare al secondo conflitto mondiale? Certo che no. Ma lo fecero: consapevoli degli errori commessi all’indomani conferenza di pace di Parigi, in quel lontano 1919. E scelsero di intervenire, nuovamente, nonostante il sacrificio di tanti giovani, nuovamente mandati a morire sui campi di battaglia contro un nemico lontano.

Né l’Occidente, nel suo complesso, nei confronti della Germania, si è mai tirato indietro. Le ha concesso la moratoria dei debiti di guerra, contribuito a far nascere dalle ceneri del vecchio Stato autoritario una democrazia liberale, l’ha difesa anche militarmente quando l’orso sovietico ne minacciava l’esistenza. Lo ha fatto per un interesse superiore. Certamente. Per reggere il confronto con la Russia bolscevica, nel corso della guerra fredda. Ma l’ha fatto in quella sintesi tra valori diversi che invece una Germania, non del tutto emancipata dal proprio passato, ha difficoltà a realizzare.

Per questo è stata grave la decisione di procedere in solitaria nell’acquisto del vaccino. Sia perché in violazione degli impegni sottoscritti (articolo 7 dell’allegato alla decisione della Commissione europea n. 4192), sia per il retroterra che un simile atto lascia intravedere. Del resto che bisogno c’era. Forse i 31.145 morti tedeschi sono stati più numerosi dei 72.370 morti italiani? Forse la Germania non aveva suoi rappresentanti nella Commissione europea, che ha trattato per tutti i Paesi membri il problema? Forse Ursula von Der Leyen non ha più la cittadinanza di quel Paese? Ed Angela Merkel non aveva il compito di presiedere, proprio in quei frangenti, il semestre europeo? Tanti, come si vede, gli errori commessi. Non è la prima volta che questo succede. Colpa anche degli altri Paesi europei che, in passato, hanno preferito chiudere un occhio, o meglio tutti e due, ed evitare polemiche. Un quieto vivere che ha legittimato il perseverare diabolicamente negli errori.

Senza andare troppo lontano nel tempo, basti pensare alle modalità seguite nel portare avanti il processo di riunificazione nazionale. Erano gli anni ‘90. Allora la vita economica europea era organizzata intorno allo SME: il sistema monetario. Le singole valute nazionali erano inserite in una rete regolata da rapporti di cambio predeterminati, con oscillazioni concordate e poche eccezioni: 2,25 per cento lo standard, il 6 per Italia, Gran Bretagna, Spagna e Portogallo. Il pivot del sistema era il marco tedesco, governato dalla politica monetaria della Bundesbank. Che, fin da allora era in grado di garantire alla Repubblica federale, nonostante le proteste soprattutto americane, un surplus costante della bilancia dei pagamenti.

L’unificazione del Paese pose un delicato problema politico nei rapporti territoriali tra le due Germanie. I cittadini dell’est non potevano essere considerati figli di un Dio minore. Il rapporto di cambio tra le monete previgenti non poteva pertanto che essere paritario. “One to One”. Come se le relative strutture produttive fossero non dissimili. L’equazione fu risolta solo grazie ad un forte intervento dello Stato. Furono erogati miliardi di marchi sotto forma di sussidi, che rischiavano, tuttavia, di alimentare una forte inflazione.

Per contrastare la quale la Bundesbank alzò i tassi di interessi ben oltre il punto di massima tolleranza, determinando la crisi dell’intero sistema monetario. Le conseguenze, a partire dalla forte svalutazione della lira e della sterlina, non furono solo economiche. In Italia, su quel fallimento, iniziò il picconamento del vecchio sistema politico ad opera di “mani pulite”. I francesi, invece, non eccepirono. Si limitarono a farsi garantire una protezione finanziaria sufficiente a superare la crisi. La Gran Bretagna subì i contraccolpi, ma da allora si accentuò quel sentimento anti europeo, che proprio in questi giorni, ha portato alla stipula dell’accordo di divorzio.

E in Italia? Nessuno disse niente. La cosa passò sotto silenzio. I vecchi partiti di governo avevano ben altro a cui pensare, assediati com’erano dal cerchio mediatico – giudiziario. Il PCI di allora, dopo il crollo dell’”impero del male”, era alla ricerca di una ri-legittimazione internazionale. Quindi, anche volendo, impotente ad avanzare una qualsiasi critica. Rimaneva la tecnostruttura di Banca d’Italia, ma la gestione della svalutazione della lira, al termine di un lungo quanto inutile dissanguamento, non era stata tra le migliori. E quindi tutto passò in cavalleria. Contribuendo a consolidare nelle élite tedesche l’idea della propria onnipotenza.

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