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Capo Dello Stato

Ecco le pagelle di Draghi, Salvini, Meloni, Letta e Di Maio sul bis di Mattarella

Primi effetti e scenari su partiti e leader politici dopo la rielezione di Mattarella al Quirinale. Il commento di Lodovico Festa

 

“Draghi o il caos”, scrivevamo Giulio Sapelli e io. Nell’elezione del presidente della Repubblica ha vinto il caos. Pur governato di fronte a un’opinione pubblica sconcertata, ma non affrontato.

Decisivi la parte centrale dell’establishment (diviso tra “responsabili” che chiedono “solo” un rinvio del ritorno della “politica” e “radicali” che in qualche modo vorrebbero sbarazzarsi di questa fastidiosa funzione) e l’area parlamentare della pagnotta, cioè l’istinto, reso disperato dal buio della politica, di conservare un anno di indennità e/o di avere il tempo necessario per tentare di essere rieletti.

Determinante, per impedire una crisi ancora più devastante, il mondo cattolico ancora vero collante del’Italia, pur senza avere assimilato la lezione di Camillo Ruini che chiedeva ai fedeli di trovare un terreno comune per potersi dividere tra conservatori e socialdemocratici. Il cattolicesimo in questi giorni in parlamento ha parlato ancora una lingua democristiana dal glorioso passato ma sradicata e dunque innanzi tutto strumento dei “pagnottisti”.

L’opinione pubblica fa bene ad apprezzare il sacrificio imposto a Sergio Mattarella di continuare a svolgere il proprio ruolo, ma dovrebbe riflettere sul come il “seppellire” i problemi con la rielezione di Giorgio Napolitano nel 2013 ha peggiorato la situazione. Anche perché l’errore di Napolitano e Mattarella è omologo: avere affrontato le varie emergenze cercando di sospendere la politica invece di usare i poteri presidenziali per ridarle quella centralità che solo il voto popolare le può attribuire. L’elezione di Mattarella tiene sotto relativo controllo l’incendio. Speriamo che sappia come rimuovere la sorgente delle fiamme.

Per il momento si è indebolito Mario Draghi che sapeva di dover esercitare un ruolo di garanzia dal Quirinale per consentire un ritorno della politica, e invece si è trovato di fronte alla coalizione establishment-pagnottisti. Già dalle prime sue dichiarazioni si capisce che ora opererà usando la bomba atomica: o vi allineate o me ne vado. Almeno fino a ottobre quando i pagnottisti si dovranno preparare a una campagna elettorale, ahimé non rinviabile.

Giorgia Meloni ha salvato la sua coerenza, ma la politica dei dispettucci con Matteo Salvini rischia di isolarla.

Salvini è alla sua quinta sconfitta (oltre al Quirinale, la crisi dell’agosto del 2019, la campagna per le regionali emiliane, per le toscane e la selezione del candidato sindaco di Milano): il suo vizio di fondo è sempre anteporre la parola al pensiero, la propaganda all’iniziativa politica. Ha ancora margini di recupero? Mah.

Silvio Berlusconi con una surreale campagna per il Quirinale e la regia del voto a Elisabetta Casellati ha disgregato Forza Italia. Infine ha trasformato la fine dei suoi sogni in rancore per gli alleati devastando la cosa più preziosa che aveva costruito nel 1994, uno schieramento conservatore che rendesse contendibile il potere politico in Italia.

Matteo Renzi ha impapocchiato Berlusconi, ha candidato Draghi, ha sostenuto Pierferdinando Casini e infine si è buttato su Mattarella. Una perfetta mosca cocchiera. Ma anche vero capo dei pagnottisti furbi.

Enrico Letta vanta la sua vittoria. Mah. Ha cercato di eleggere Draghi secondo un decente disegno riformista probabilmente non suo (magari di Emamnuel Macron). Non è riuscito neanche a parlarne veramente con i suoi. Poi si è arreso all’unico ruolo che aveva di cagnolino da guardia di pagnottisti ed establishment.

Giuseppe Conte e Luigi Di Maio si sono mossi senza una qualche visione, confermando la trasformazione dei 5 stelle da crociati della protesta morale in crocieristi della pagnotta.

Che cosa succederà avendo sprecato l’occasione riformista Draghi al Quirinale?

I pagnottisti “centristi” hanno in testa di impaludare per sempre la politica italiana con un ritorno al proporzionale che annullerebbe l’unica rozza ma efficace riforma “materiale” della Costituzione che attraverso un sistema elettorale maggioritario consentiva ai cittadini di votare per un governo non solo per un partito.

A sinistra si può sempre sperare che arrivi un leader con qualche principio (Stefano Bonaccini?) che consenta di superare l’unica funzione che ora esercita il Pd, quella già citata di cagnolino da guardia di vari establishment nazionali e stranieri.

A destra forse i nuovi scenari europei con un crescente spostamento a destra dei popolari (da Friedrich Merz a Valérie Pècresse, da Isabella Diaz Ayuso a Roberta Metsola) consentiranno ai leghisti di collegarsi con quel che resta di Forza Italia a destra, ed entrare nel Ppe.

Magari se torna una qualche vocazione al pensiero complesso, si potrebbe pensare anche a una Costituente che affronti le questioni istituzionali in campo con una logica sistemica non con gli slogan dell’avventuriero Renzi.

L’eccesso di “forse” “magari” “speriamo” “mah” in questo articolo rivela quanto personalmente sia ottimista.

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