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Quota 100

Vi racconto la giostra politica italiana fra Di Battista, Grillo, Conte e Colao

L'Opinione dell'editorialista Giuliano Cazzola

Non può avere alcuna prospettiva un Paese in cui una dichiarazione di un tal Alessandro Di Battista (Dibba per gli amici) scatena una crisi di nervi nel quadro politico ed eleva al rango di statista un comico come Beppe Grillo, l’unico che lo ha trattato come si merita, intimandogli un sonoro ‘’a cuccia!’’.

A una cosa almeno l’abbaiare alla luna di Dibba è servito: per un giorno non si è parlato degli Stati generali dell’economia, che fin dall’inizio si sono rivelati, ad essere generosi, una iniziativa prematura. Non a caso gli autorevoli esponenti delle istituzioni europee, che hanno avuto la cortesia di svolgere un intervento ‘’da remoto’’, hanno invitato il governo italiano a passare dalle parole ai fatti, perché non vi è nulla di interessante a trascorrere giornate discutendo di titoli (del tipo: riforma fiscale, innovazione, green economy, semplificazione, nuovo modello di sviluppo, ecc.).

Come ha sottolineato in una recente intervista un ‘’grande vecchio’’ della Prima Repubblica (Rino Formica) per fare politica è indispensabile ‘’un pensiero’’ ovvero una strategia, che non si improvvisa e che non si può ricostruire in poco tempo estraendola, al pari di Athena, dal capo dolorante di Zeus.

Non è per perder tempo o per risparmiare che il pacchetto di risorse (2,4 mila miliardi) che la Ue sta predisponendo si articola in un prospettiva temporale che arriva al 2027. Tutti i Paesi (compresa l’Italia con l’impegno di 75 miliardi) hanno predisposto dei piani congiunturali rivolti al sostegno delle famiglie, delle imprese e dei servizi allo scopo di assicurare quella liquidità che serve a sopravvivere e a ripartire, dopo lo shock del lockdown.

E’ bene che queste risorse congiunturali arrivino a destinazione al più presto superando gli ostacoli che ancora si frappongono. Ma la svolta dipenderà non solo da obiettivi ma da progetti comuni a livello europeo. Chi pretendesse di incassare nel giro di qualche settimana i 171 miliardi promessi all’Italia (sempreché gli amici europei di Matteo Salvini non riescano ad impedirlo) è un provocatore o uno squilibrato; perché se così avvenisse non sapremmo dove destinarli e come spenderli, salvo trasformarci in un popolo di mantenuti (che è poi una vocazione reale).

In queste settimane sono andato a rileggere la documentazione riguardante il piano Marshall del 1947. A parte i soccorsi di carattere alimentare, erano previsti in totale 13 miliardi di dollari – una cifra enorme per quei tempi – nell’arco di un quinquennio. Il Piano del Segretario di Stato di Harry Truman si rivolgeva anche all’Urss e ai Paesi europei di quell’area di influenza (allora i partiti comunisti non avevano ancora preso il potere e costituito le democrazie popolari).

La cosa suscitò un dibattito anche in quel mondo, chiuso dal niet di Stalin, dettato da motivi politici, a cui si attennero sia i governi dell’Europa dell’Est sia i partiti comunisti dei Paesi occidentali (il Pci e il Pcf). Il bello che allora sia Togliatti che Thorez usarano gli stessi argomenti (la difesa della sovranità nazionale e la subordinazione agli Usa) che oggi riempiono la bocca di Salvini e Meloni.

Ma tornando al Piano, esso non si limitava a fornire risorse ma orientava anche i mercati per la riconversione e la ricostruzione degli apparati industriali verso nuovi obiettivi produttivi: i beni di consumo durevoli a partire dall’automobile fino ai c.d. elettrodomestici bianchi. Il che ovviamente richiedeva investimenti nelle infrastrutture (le autostrade) e nell’industria di base (la siderurgia, l’energia e la petrolchimica).

Il miracolo economico (pur con tutti i suoi squilibri: l’immigrazione interna, il dualismo Nord-Sud, ecc.) si basò su queste scelte. E l’economia italiana si mise al traino delle esportazioni (la caratteristica che l’ha contraddistinta in tutti questi decenni). Ma lo sviluppo dell’Italia (a cui diede un grande contributo l’edilizia urbana) era in sintonia con un mercato che condivideva i medesimi orientamenti sul piano della domanda.

Questa volta, come ha detto Mario Monti, l’Europa il Piano Marshall deve farselo da sola. E l’Italia deve prendervi parte. Ecco perché gli Stati generali rischiano di non servire a nulla, di essere un’occasione sprecata. Non perché non vi partecipa l’opposizione (che non ha niente da dire), ma perché l’iniziativa somiglia ad un albergo dove uno trova solo quello che porta con sé. E il governo non è in grado di portarvi un ‘’pensiero’’ politico perché non ce lo ha.

Oggi è il giorno dedicato a Vittorio Calao, alla presentazione del Piano elaborato dalla Task Force da lui coordinata e alla partecipazione delle forze economiche e sociali. Potrebbe essere l’occasione per rendere utile questa iniziativa. Il Piano non si perde in visioni strategiche, palingenetiche.

Si limita a fare tante proposte concrete, condivisibili o meno, che potrebbero trovare, se condivise, spazio nella conversione del decreto Rilancio in Parlamento. Se così non fosse (e così non sarà) assisteremmo ad una occasione minor all’interno di una maior, ambedue perdute.

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