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Ucraina

Vi racconto cosa Putin non ha capito dell’Ucraina

Putin immaginava che l'Ucraina fosse un paese completamente diverso da quello che si è rivelato. L'articolo di Pierluigi Mennitti da Berlino.

Veronika è una freelance producer ucraina di 26 anni, sbarcata da qualche ora sul binario 8 della stazione centrale di Berlino, dove è stata accolta dal folto gruppo di volontari che ininterrottamente assiste i profughi in arrivo da Leopoli. Il tempo di rifocillarsi e ritrovare un minimo senso di equilibrio e la prima richiesta è stata quella di avere un collegamento Internet. Veronika si meravigliava anche che, nella principale stazione ferroviaria incontrata sulla linea che dall’Ucraina portava a Occidente, non ci fosse a disposizione un collegamento wi-fi gratuito, come a Varsavia, dove aveva fatto una fermata intermedia. A lei internet serviva davvero, perché nel laptop che si era portata dietro, aveva ancora un lavoro da consegnare a un committente inglese: doveva assolutamente farlo a maggior ragione adesso che avrà bisogno di soldi per affrontare la sua nuova avventura da rifugiata in terra straniera.

La storia mi è stata raccontata da una delle assistenti tedesche inserite, grazie alla sua conoscenza di inglese e russo, nelle squadre di volontari impegnate in quello che è divenuto uno dei retrovia europei della guerra russo-ucraina, la stazione ferroviaria in vetro e acciaio a due passi dalla cancelleria di Berlino. Di recente costruzione, completata per i mondiali in Germania del 2006, ma ancora priva di un servizio Internet gratuito.

Nei prossimi giorni Veronika e le centinaia di migliaia di profughi avranno altre urgenze quotidiane e ben più serie incertezze da affrontare che quelle di un affidabile collegamento internet in Germania. Ma l’aneddoto racconta uno specchio di quell’Ucraina in fuga dal proprio paese che per la sua modernità contraddice l’immagine che Vladimir Putin e il suo cerchio magico devono aver covato in tutti questi anni, nel chiuso delle stanze di un potere sempre più autoreferenziale. Un paese cresciuto nonostante l’altalena economica degli ultimi due decenni e l’instabilità politica di una democrazia viziata dalla prepotenza dei poteri oligarchici, che si sono contrapposti fra di loro e sovrapposti a rivoluzioni e restaurazioni, giocando con i destini del loro stesso popolo. Un paese in cui una classe media si è comunque fatta avanti, allacciando rapporti sociali ed economici sempre più solidi con quel che chiamiamo Occidente, perché alla fine le società vanno sempre più avanti della politica e dell’economia, a volte anche nonostante l’una e l’altra.

Se mai Putin e i suoi si fossero presi la briga di farsi almeno un viaggio nell’universo urbano della nuova Ucraina, forse ci avrebbero pensato due volte a intraprendere una guerra stile Cecenia nel cuore dell’Europa. Ma forse sarebbe bastato che avessero dato un’occhiata proprio alla serie televisiva che ha avuto come protagonista Volodymyr Zelensky, quando ancora faceva l’attore comico, e alla modernità “occidentale” proiettata da quella commedia a puntate, specchio di un paese sempre più lontano dalla paccottiglia ottocentesca oggi in voga al Cremlino. “Gli ucraini sembrano oggi orientarsi più verso l’idea che una nazione non sia basata su una chiara storia del passato, quanto su un’azione diretta verso il futuro”, ha scritto lo storico americano Timothy Snyder, grande esperto di Europa centro-orientale.

Certo, il ceto medio giovane e creativo delle grandi città, da Kiev a Leopoli, da Odessa a Dnipro, fino al remoto est di Kharkiv e Mariupol è solo una parte dell’Ucraina. Poi ci sono le estese contrade rurali, a ovest e ancor più a est, dove il russo è la lingua principale e Mosca era considerata una sorta di capitale gemella assieme a Kiev. Ma oggi anche lì l’umore è cambiato, almeno dal 2014, quando Putin si annesse la Crimea. Bastava anche qui accedere a un po’ di informazione presa fuori dalle mura: magari un rapporto d’ambasciata o un cablo dei servizi russi che riportasse ai dirigenti del Cremlino i risultati di uno studio dell’Università svizzera di San Gallo, che descriveva il rapido smottamento dell’opinione pubblica delle regioni orientali ucraine verso l’ombrello della Nato dopo la presa della Crimea e la guerra in Donbass. Prima di allora, la maggioranza degli ucraini era in maggioranza contraria a entrare nell’Alleanza Atlantica, poi i rapporti si sono capovolti.

Ma di fronte a un circolo di potere che si restringe e si chiude, anche gli ambasciatori e le spie racontano al capo quel che il capo vuole sentire. La comunicazione su quel tavolone infinito del Cremlino deve essersi fatta sempre più difficile, i consiglieri sono diventati sempre più afoni, quando – come ha dimostrato l’umiliazione del capo dei servizi in diretta tv – non se la facevano semplicemente sotto. Il risultato è che Putin ha avviato una guerra sproporzionata, immaginando di poterla chiudere in pochi giorni e quindi di mettere sul tavolo il fatto compiuto di un paese occupato con un governo fantoccio. A due settimane di distanza è chiaro invece che la guerra può vincerla, forse, solo a costo di una marcia in stile ceceno. E che il pavido Occidente una sveglia se l’è data. Perché arriva prima o poi un momento in cui anche le democrazie sono in grado di dire: il troppo è troppo, ora basta. E quel momento sembra arrivato.

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