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Tutti i dubbi in Cina e Usa sulla guerra commerciale Trump-Xi

Il Punto di Marco Orioles

 

Il complesso negoziato sino-americano sul commercio agita i mercati mondiali e turba il sonno della dirigenza cinese. Da Pechino a New York, passando per Tokio e Londra, comincia infatti a mordere il timore che le trattative in corso tra Stati Uniti e Cina per raggiungere un’intesa sulle questioni commerciali, e mettere una pietra sopra la guerra dichiarata e combattuta a testa bassa dall’amministrazione Trump contro le pratiche “sleali” dell’ex impero di mezzo, possano non raggiungere i risultati sperati.

Nel mese di dicembre, i mercati finanziari hanno registrato ovunque una significativa flessione. E tutto ciò a dispetto del messaggio di speranza insito nel bilaterale che il presidente cinese Xi Jinping e quello americano Trump hanno avuto il primo del mese a margine del G20 di Buenos Aires. Un bilaterale che si era concluso con un compromesso tra i due partner, con la Cina che ha promesso concessioni alla controparte sulle richieste che questa ha avanzato, e gli Usa che, in cambio di questo passo in avanti, hanno sospeso l’aumento delle tariffe previsto per l’inizio dell’anno.

Molti analisti tuttavia dubitano che Cina e Stati Uniti possano davvero trovare un’intesa. Uno scetticismo giustificato dalle diverse interpretazioni che le due parti in causa sembrano aver attribuito al significato stesso di un accordo. Troppa, infatti, la distanza che separa i moniti americani dalle concessioni che la Cina è disposta a fare senza penalizzare il suo sviluppo. In ballo ci sono questioni delicate come il furto di proprietà intellettuale e i trasferimenti tecnologici forzati, denunciate a gran voce dagli americani per lo scorno dei cinesi che, se non vogliono soccombere a colpi di ritorsioni Usa, dovranno necessariamente fare un passo indietro.

Questa tensione, unita alle conseguenze devastanti dei dazi elevati dagli Usa a danno della Cina e dalle contromisure di quest’ultima, che ha ripagato il partner con la stessa moneta, ha messo in fibrillazione i mercati, eroso la fiducia degli operatori finanziari e spinto le istituzioni internazionali a rivedere al ribasso le previsioni della crescita globale per l’ultimo quarto del 2018 e, soprattutto, per il 2019.

È la Cina, ovviamente, a pagare il prezzo più alto, con la Borsa che va a picco. Secondo i dati Bloomberg, l’indice CSI 300 ha concluso l’anno sulla soglia dei 3.000 punti, registrando un calo del 25% rispetto all’inizio dell’anno. È un dato sensibilmente peggiore rispetto alle performance delle altre piazze più importanti, tutte in rosso: il Nikkei 225 ha perso nel corso dell’anno il 14%, lo S&P 500 è andato giù dell’8% e il FTSE 100 britannico ha perso il 13%. Anche sul fronte della crescita, i dati cinesi appaiono preoccupanti: il terzo trimestre del 2018, che si è chiuso con un dato del 6,5%, è stato il peggiore da un decennio a questa parte. E le previsioni per il futuro sono fosche: la Banca Mondiale prevede per il 2019 un ulteriore rallentamento, con la crescita che raggiungerà il 6,2%, il dato peggiore degli ultimi trent’anni.

Questi dati negativi sono visti con preoccupazione tanto a Pechino quanto a Washington. Che, non a caso, hanno moltiplicato gli sforzi per trasmettere all’esterno l’impressione che il negoziato sul commercio sia foriero di sviluppi positivi. Indicativa, a tal proposito, la conversazione telefonica tra Xi e Trump del 29 dicembre. È stata, come ha sottolineato il capo della Casa Bianca su Twitter, una “telefonata lunga e molto buona”. Il presidente cinese ha confermato al suo interlocutore la volontà cinese di collaborare con gli Usa per affinare il “consenso importante” raggiunto al G20 sui dossier aperti. E gli ha detto di confidare che i rispettivi “team si incontreranno a metà strada, lavoreranno sodo e si sforzeranno di raggiungere il prima possibile un accordo che sia vantaggioso per entrambi e per il mondo”. Da parte sua, Trump ha parlato di “positivi progressi” nel negoziato bilaterale. E, come ha raccontato successivamente sui social, ha detto che “l’accordo (con la Cina) sta procedendo molto bene. Se sarà raggiunto, sarà globale, coinvolgendo tutti i temi, le aree e i punti su cui c’è controversia. È stato fatto un grande progresso!”.

Tanto Xi quanto Trump hanno bisogno di lanciare segnali ottimistici. Sanno, infatti, che tanto i mercati interni quanto quelli mondiali guardano con attenzione alle loro mosse, decisive per sancire il corso economico del 2019. La posta in gioco è alta per entrambi. Lo è, soprattutto, per la Cina, che dal contenzioso con gli Usa rischia di subire una batosta. È per questo che, dal vertice, si moltiplicano i segnali di apertura e disponibilità. L’ultimo, nell’ordine, è arrivato dal portavoce del ministero degli Esteri, Lu Kang, in occasione del quarantesimo anniversario dell’avvio delle relazioni diplomatiche tra Cina e Usa. “La Cina”, ha dichiarato Lu, “è pronta a lavorare con gli Usa per implementare l’importante consenso raggiunto in Argentina dal presidente Xi Jinping e dal presidente Trump, per espandere la cooperazione sulla base di un reciproco beneficio, gestire le differenze sulla base del reciproco rispetto”.

Anche l’America, tuttavia, ha le sue gatte da pelare. La guerra commerciale ha avuto il suo impatto anche sulla sua economia, colpendo bacini cruciali dell’elettorato a stelle e strisce come i leggendari “farmers”. Lo ha fatto notare, suonando una nota dolente, il senatore democratico del Montana, Jon Tester. “Se questo continua”, ha detto Tester riferendosi alle tensioni con la Cina, “vedremo altri agricoltori fallire e l’America rurale ulteriormente danneggiata”.

 

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