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Nuova Destra Capezzone

Su quali basi costruire una nuova destra?

Conversazione di Paola Sacchi con Daniele Capezzone, autore del saggio "Per una nuova Destra - anti-tasse, pro-libertà, dalla parte dei dimenticati dalla sinistra" (Piemme)

 

Daniele Capezzone non è solo un giornalista e opinionista tv. È stato anche, come dice lui con lieve autoironia vista la sua ancora giovane età, nella vita precedente un politico, a lungo deputato, presidente di Commissione. Il suo nuovo libro “Per una nuova Destra – anti-tasse, pro-libertà, dalla parte dei dimenticati dalla sinistra” (Piemme) è anche un po’ preveggente. Lo ha scritto prima che il dibattito politico si focalizzasse così tanto sul centrodestra. Scritto in modo elegante, scorrevole, ci spiega perché alla destra manca anche un po’ “Clint”.

Capezzone, il suo non è il classico saggio politico, magari anche un po’ noioso. Ci sono excursus anche cinematografici sulla lezione di “Clint” (Eastwood) e la “sua inquietudine per la libertà e per l’individuo”, il campione Usa anti-tasse Grover Norquist, i maestri del liberalismo classico. Dalle libertà sotto tiro pure in camera da letto a un accentuato clima dirigistico in epoca Covid, anche un po’ preveggente. Quale destra o centrodestra per tornare a vincere?

Mi fa piacere di non averla annoiata: c’è chi ritiene – non si capisce perché – che i lettori di un saggio politico o politologico debbano necessariamente soffrire ed espiare chissà quali peccati… Invece, si può cercare di dire cose sensate anche in modo accattivante e non respingente. Dopo di che, venendo alla sostanza, il succo è chiaro: enorme rispetto per il centrodestra che c’è, ma anche l’amichevole constatazione di ciò che manca, e cioè un’anima più liberale, specie in economia. Possibile che di tasse si parli così poco, proprio mentre i contribuenti sono sottoposti a una raffica fiscale devastante? Poi non c’è da stupirsi se alcuni elettori si sentono un po’ abbandonati…

Pur, come scrive lei, con simpatia e rispetto, non esita – sintetizzo – a consigliare al centrodestra di smettere di fermarsi alla “lagna” perché la sinistra ha occupato da molto tempo tutti i centri di potere culturali. Come diventare più costruttivi?

Occorre costruire un’egemonia (usiamola, la parola “maledetta”) alternativa a quella della sinistra. Avere molti voti è cosa ottima per la destra, ma non sufficiente. Occorre costruirsi autorevolezza e presenze nelle istituzioni, nei gangli del potere meno visibile. E anche concedersi un lusso dimenticato da troppi anni: un franco dibattito di idee. Sa cosa diceva la Thatcher? “Win the argument, and then you can win the vote”. Prima si vince la battaglia delle idee, e così si conquistano anche i voti.

Nel titolo è scritto “Destra”, non centrodestra. Pensa che il “mitico” centro, in realtà più che una formula che suona ormai politichese, ora sia rappresentato in carne e ossa da quelle partite Iva, piccole e medie aziende che chiedono libertà di impresa, sburocratizzazione?

Nel mitico “centro” vedo un assembramento di eletti e un vuoto di elettori. Quanto invece a partite Iva e autonomi, sono loro l’oggetto principale del mio libro: ma a loro devi parlare di “meno tasse”, non certo di formule politiciste, e meno che mai di aggregati neocentristi.

Nel sottotitolo del suo libro c’è scritto, dopo “anti-tasse” e “pro-libertà”, “dalla parte dei dimenticati dalla sinistra”. Non a caso in varie elezioni la destra, o centrodestra, ha già preso molti voti anche dalla stessa sinistra. Che però la potrebbe accusare, secondo i suoi vecchi schemi, di contraddizione tra individuo e popolo.

La lezione di Trump nel 2016 e più recentemente di Boris Johnson è questa: la destra vince se cattura voti anche nel mondo del lavoro dipendente, tra i colletti bianchi e i colletti blu. Una linea politica più dinamica conviene a tutti: alle imprese, certamente, ma pure ai lavoratori dipendenti. Questi ultimi la sinistra se li è dimenticati: preferisce parlare solo alle élite dei centri urbani…

Da sinistra si continua a usare il termine “sovranista”, in modo fisso, quasi come marchio di infamia, ma, intanto, gli scenari mondiali sono cambiati. Forse, il punto è la difesa dell’interesse nazionale, di una destra che, come scrive, guardi con nettezza all’Atlantico?

La sinistra usa quella parola come un insulto, ma la destra non deve cadere in queste trappole semantiche. Serve invece un’operazione “fusionista” a destra: tenere sotto la stessa tenda elettorale (come fanno i repubblicani Usa e i conservatori Uk) spezzoni di culture diversissime: destra nazionale e destra liberale, cattolici e laici. Uniti da poche cose: un candidato premier e alcuni essenziali punti programmatici. Su tutto il resto, evviva le diversità di opinione.

Destra liberale, anti-tasse, ma anche più libertaria, lei suggerisce. Come attuare “la lezione di Clint”?

Clint è inimitabile. Ma anche qui da noi ci vuole un’iniezione conservatrice e insieme libertaria. Vedo troppa enfasi sulla “protezione”. E al contrario, troppi vivono con ansia l'”exercise of liberty”, che è invece ciò di cui abbiamo bisogno come l’aria. Chi, come me, sta fuori dalla politica attiva (ma dentro il dibattito pubblico, grazie alla Verità, a Radio Globo, alle mie presenze televisive e ai miei libri) ha questo specifico obiettivo: rimettere in agenda quei temi, quello spirito, e aiutare a far crescere nuove leve e potenziali nuovi dirigenti che credano in questi obiettivi.

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