Due punti di vista opposti su un tema che è molto divisivo nell’opinione pubblica.
Dino Marcozzi, fondatore ed ex segretario generale dell’Associazione Motus_E
“La tecnologia è moralmente neutra finché non la applichiamo”(William Gibson, scrittore cyberpunk)
La neutralità tecnologica, che ha dominato i palazzi della Commissione Europea e tuttora mantiene una sua forza persuasiva, è una classica applicazione della weberiana Etica dei Principi. L’etica dei principi è quella dei burocrati, delle religioni, e privilegia le procedure, i codici, la politica del non decidere e difende la “neutralità”, rinunciando così alla responsabilità di scegliere. Si dovrebbe invece tornare (sempre con Weber) a pensare anche all’Etica della Responsabilità che bada al rapporto mezzi/fini e alle conseguenze delle proprie scelte (anche tecnologiche), in una parola al vero concetto di politica.
Qualunque teorizzazione, una volta ingegnerizzata, trasformata quindi in tecnica, deve fare i conti con la realtà, con i problemi applicativi, con la gestione, con il controllo.
L’energia nucleare sulla carta è perfetta (anche pensando all’eleganza delle formulazioni matematiche inventate da Enrico Fermi) e non emette gas-serra.
Poi però, quando la applichi, scopri la stupidità umana di progettisti e operatori sovietici che scatena l’inferno di Chernobyl o che magari in Giappone avviene uno tsunami non previsto dal progetto che produce un altro inferno.
Martin Heidegger affermava che “se considerassimo la tecnica come qualcosa di neutrale, questo ci renderebbe ciechi di fronte alla essenza della tecnica, perché la tecnica non è mai neutrale”.
Questo è il punto: bisogna comprendere l’essenza di una tecnologia prima di applicarla, afferrare dunque tutte le possibili implicazioni in modo responsabile.
Ma veniamo alla mobilità e consideriamo ad esempio il motore Diesel Euro 6temp. Con la sua ottimizzazione operativa ed i suoi apparati di riduzione delle emissioni rappresenta, a detta di molti, il prodotto meno impattante complessivamente, tra i motori a combustione interna.
Ricordiamo che l’evoluzione delle normative sulle emissioni (da Euro 1 a Euro 6) dal 1992 è stata guidata non dalle case costruttrici (che oggi se ne vantano quasi fossero delle ONG ambientaliste) ma dalle autorità europee sempre più sensibili ai problemi ambientali che i fossili producono. Certamente c’è stato un grande miglioramento ma sono aumentati i problemi di gestione e manutenzione: quanti automobilisti sanno ad esempio come si rigenera un filtro antiparticolato e, soprattutto, chi agisce correttamente nella rigenerazione? La gestione di un progetto bellissimo sulla carta può rilevarsi molto problematica e poco sotto controllo. Inoltre, parlando di emissioni, poco si sa del contenuto in nanoparticelle, soprattutto di idrocarburi incombusti che magari potrebbero essere “attenzionati” in futuro.
In definitiva i motori a combustione interna si sono rivelati non solo fonte di inquinamento ma hanno generato un accanimento tecnologico nella evoluzione e ingentissimi investimenti, forse degni di miglior causa.
Il tutto per continuare ad estrarre contenuto energetico e CO2 accumulati in milioni di anni per bruciarli e restituire rapidissimamente nell’atmosfera.
L’uomo, da 100 anni a questa parte si sta comportando come un ragazzo affetto da ludopatia che trova per caso la scatola coi i risparmi di una vita del nonno e che li brucia alle slot in un pomeriggio.
Il petrolio è un bene preziosissimo e ormai pervasivo, dagli abiti, ai farmaci, passando per i fertilizzanti: quado mangiamo un pomodoro, pensiamo che gli azotati che lo hanno aiutato a crescere vengono dal petrolio.
Ma l’ultima cosa che si deve fare col petrolio è bruciarlo.
L’accanimento nel bruciare fossili passa naturalmente anche per il Metano o Gas Naturale, come se caratterizzandolo naturale significasse pulito (chissà perché non si parla mai di Carbone Naturale o Uranio Naturale).
Il metano è certamente meno impattante della benzina o del gasolio ma va maneggiato con cura, e non solo per la sua naturale propensione ad esplodere ma anche perché è un gas tremendamente più climalterante della CO2: ben 80 volte su 100 anni di dispersione in atmosfera, e dunque basta una piccolissima perdita dalla rete (e le perdite ci sono anche se non dichiarate) per sparare in aria il peggiore dei gas-serra.
Ovviamente il metano avrà un rilevante ruolo nella produzione di energia, per spiazzare il carbone ed essere complementare alla crescita delle rinnovabili. Ma, meno se ne manda in giro e soprattutto meno se ne brucia nelle auto e meglio è.
In definitiva oggi si insegue la complessità per mantenere in piedi tecnologie vecchie e inquinanti.
Oggi un motore a combustione interna, nella sua complessità ricorda una centrale a carbone, che per pulire i fumi l’SO2 deve demolire colline di calcare e introdurre tanta chimica (ammoniaca o urea) per abbattere gli NOx.
Un modo per minimizzare i rischi nell’applicazione di una tecnologia è dunque quello di renderla semplice.
Guardiamo ancora alla mobilità e all’energia. Consideriamo la semplicità di un mezzo elettrico o di un impianto fotovoltaico rispetto ad un’auto a combustione interna e una centrale a carbone.
Il mezzo elettrico ha una efficienza energetica enormemente superiore a qualunque modo “fossile” di generare mobilità ed è semplice, pulito e soprattutto di facile gestione.
Un impianto fotovoltaico è quanto di più semplice si possa pensare per generare energia elettrica
Per questo, come le rinnovabili continueranno a spiazzare le centrali fossili, così la mobilità elettrica, naturalmente connessa, condivisa e infine autonoma spiazzerà le auto a combustione interna.
E prima si parte, meglio è.
È ineluttabile.
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Daniele Capezzone, commentatore de La Verità e conduttore di Transatlantico presso UtopiaStudios (UtopiaLab)