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Capezzone

Le bombe di Capezzone

"Bomba a orologeria. L'autunno rovente della politica italiana" (Piemme) di Daniele Capezzone letto da Paola Sacchi

 

Daniele Capezzone, editorialista del quotidiano La Verità, opinionista tv, ma anche ex politico e parlamentare del Pdl, di Forza Italia, già alla guida della commissione Finanze di Montecitorio, da intellettuale libero qual è – anzi “liberale classico”, come si definisce – non risparmia critiche anche al centrodestra nel suo nuovo libro Bomba a orologeria. L’autunno rovente della politica italiana (Piemme).

Ma usa un’espressione significativa e tranchant che forse più di tante rende l’idea della demonizzazione e “fascistizzazione” da parte della sinistra degli avversari, dal primo governo Berlusconi in poi. “Rituali di degradazione”, è la definizione che scolpisce duramente la reazione della sinistra dal 1994 in poi. Rituali cui il Pd non è sfuggito neppure questa volta.

A Capezzone, che ha scritto il libro quest’estate a campagna elettorale ancora in corso, appare “un’insensatezza” descrivere il nostro come un “Paese allo sbando senza Mario Draghi”. “Per quanti errori e inadeguatezze siano imputabili al centrodestra, mi pare insopportabile questa idea di spazzarlo via, di scatenare una campagna di indegnità morale”, scrive Capezzone, il cui libro precedente è Per una nuova Destra (Piemme).

Ci sono in Bomba a orologeria le pagine buie della caduta dell’ultimo governo Berlusconi nel 2011, le “ingerenze estere”, la “ferita alla democrazia” contro il verdetto popolare di quello che è stato finora (prima di quello nascituro, dopo il voto del 25 settembre) l’ultimo governo “eletto”. Capezzone riconosce i meriti di quell’esecutivo nell’ambito di una visione liberale contro “innalzamenti fiscali”, ma sostiene anche che, pur osteggiato sul piano giudiziario e dalla burocrazia europea, avrebbe dovuto osare di più e non restare sulla “difensiva”.

Bomba a orologeria inizia con il giorno finale del governo Draghi. Il 20 luglio, ore 9,30, c’è un microfono che, dice il premier iniziando il discorso al Senato, “non funziona”. Immagine metaforica, quasi di presagio di quello che sarebbe accaduto da lì a poche ore verso le fatidiche cinque della sera. Capezzone, pur riconoscendo “indubbia autorevolezza” internazionale all’ex presidente della Bce, gli attribuisce però anche “imperizie parlamentari” che potrebbero a sua volta farlo criticare per “populismo”, quando di fronte al parlamento fece leva sugli appelli della società civile perché lui restasse. Insomma, (ricordo della cronista) quello che Maurizio Gasparri (FI) con una battuta definì rischio di “populismo snob”.

Capezzone stigmatizza che il discorso del premier attaccò soprattutto il centrodestra (“già schiaffeggiato” dall’incontro del giorno prima di mattina tra il premier e Enrico Letta) più che il vero autore della crisi, ovvero i Cinque Stelle di Giuseppe Conte che uscirono dall’aula, non votando il decreto Aiuti, dove era inserito il termovalorizzatore, scelta cruciale per Roma. Ma a Draghi l’autore del libro fa soprattutto una critica di politica economica su una scelta “assistenzialista”. Capezzone definisce “una follia gli 80 miliardi in 10 anni stanziati per il reddito di cittadinanza alla grillina”. “Per capirci – scrive – un taglio fiscale di quella dimensione, sia pure spalmato su tanti anni non si era mai visto”. Dure critiche anche alle politiche da “ultrà del lockdown” e del green pass, con drammatiche conseguenze economiche. Mentre “l’autunno e l’inverno che si preparano saranno letteralmente devastanti dal punto di vista economico e sociale (e non solo per la benzina, le bollette, i prezzi dei beni alimentari: ma per una generale tendenza all’impoverimento), eppure alcuni non lo comprendono affatto e altri preferiscono esorcizzare i cattivi pensieri immaginando che i cerotti e i microinterventi si rivelino sufficienti”, è l’amara considerazione del libro che avverte la politica sul rischio di una nuova “rabbia popolare”, di cui il forte astensionismo elettorale è già un segnale.

La politica internazionale con lo snodo cruciale del 24 febbraio, quando Putin sferrò l’aggressione all’Ucraina, è parte fondamentale del volume. L’autore è ferreo nella sua posizione atlantista, a difesa della libertà contro tutte le autocrazie e dittature, con il pericolo cinese in agguato, cosa che però non significa non riconoscere “l’estrema debolezza” del presidente Usa Joe Biden e gli errori, a cominciare dalla “fuga” da Kabul, di aver dato l’immagine di un Occidente indifeso, nel quale probabilmente Putin, non certo per giustificarlo, si è insinuato. Con Donald Trump, secondo Capezzone, questo non sarebbe successo.

L’autore invita il centrodestra a sciogliere zone di “ambiguità” nella politica estera, riconoscendo a Giorgia Meloni di aver subito schierato FdI sull’atlantismo, ma Capezzone non ha dubbi sul fatto che l’Italia abbia perso un appuntamento cruciale con le elezioni nel 2019. Rivolge una garbata critica al presidente Sergio Mattarella per la scelta, seppur costituzionalmente corretta, di non sciogliere le Camere. E ricorda la dottrina del costituzionalista Costantino Mortati secondo cui “una ragione classica per lo scioglimento anticipato delle Camere sta proprio nella sopravvenuta disarmonia tra corpo parlamentare e corpo elettorale”. Era anche quella un’Italia pure nelle Regioni e nei Comuni a maggioranza di centrodestra, allora a trazione leghista. Proprio in questi giorni, aggiungiamo noi, in un’intervista a La Stampa, anche il fondatore e ex segretario della Pd, Walter Veltroni, per ragioni ovviamente diverse da quelle di Capezzone, ha riconosciuto che bisognava andare a votare nel 2019.

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