Quando non si hanno più veri programmi, che fare? C’è uno stratagemma al quale la nostra sinistra, per aggirare l’interrogativo di leninista memoria, ricorre sempre, e soprattutto nelle fasi in cui vede la partita ormai persa: l’accusa di “fascismo” al centrodestra. Viene scagliata come un anatema in sequenza, a seconda del numero dei voti presi dai leader avversari, vissuti come nemici da delegittimare: contro Silvio Berlusconi, “il Cavaliere nero”, fondatore del centrodestra; Matteo Salvini, il “cattivissimo” che superò il 34 per cento alle Europee, da mandare a processo; Giorgia Meloni, il premier attuale, presidente di FdI, che diventa il bersaglio principale dopo la vittoria alle Politiche del 25 settembre 2022. In un attimo, secondo l’orologio della politica, Meloni non è più quella dirigente giudicata, invece, “seria” quando era all’opposizione.
I leader del centrodestra o destracentro, insomma, agli occhi della sinistra, che anche quando è andata al governo non ha mai superato la soglia di un terzo dei consensi dei votanti, hanno ogni volta quel brutto difetto di vincere. Scattano, dunque, subito le sirene dell’allarme fascismo. Un evergreen, contro cui si scaglia Daniele Capezzone, con un brillante e scorrevole pamphlet, anche ironico ma non per questo non “incazzato”, dal titolo chiaro: E basta con ‘sto fascismo, sottotitolo: Cari compagni, ci avete rotto… (Piemme edizioni). Perché “è finito il tempo di darvi sempre ragione, un po’ per sudditanza, un po’ per quieto vivere”.
Come in un eterno riflesso pavloviano ogni programma degli avversari, osserva Capezzone, viene piegato all’ormai logoro schemino che rimette in pista il fantasma del fascismo morto 80 anni fa. Ma “il fascismo non deve morire”, come Misery non deve morire, il titolo del film che con amara ironia cita Capezzone, ex parlamentare, ex presidente di Commissione a Montecitorio (“Affari comunitari e Esteri” e “Finanze”), giornalista, saggista, opinionista Mediaset, ora direttore editoriale di Libero Quotidiano, con Mario Sechi direttore responsabile.
E così, come spiega l’autore facendo qualche esempio, ogni proposta di contenimento dell’immigrazione diventa disumanizzazione, ogni proposta di riforma costituzionale per lo snellimento dei processi decisionali, a cominciare dal presidenzialismo, diventa roba da raffigurare con fez e stivaloni. Il Pci con i vignettisti d’area aveva cominciato a farlo con il premier socialista Bettino Craxi, negli anni 80. Era quella stessa sinistra che “aveva giustificato con i suoi massimi dirigenti l’invasione sovietica a Budapest nel 1956”; che era ancora “incatenata a Breznev” mentre odiava negli 80, “con tutte le sue forze Reagan e la Thatcher” e “lapidava Craxi”. E ancora, negli anni successivi “lapidava in sequenza Berlusconi”. Quella sinistra che “disprezzava l’opzione del riformismo a sinistra e quello della libertà a destra”.
A Capezzone occorre riconoscere di essere uno dei non molti intellettuali italiani anche sul fronte del centrodestra o destracentro che non dimenticano mai la figura di Craxi, inserendola nel novero dei grandi a livello internazionale sul fronte liberale e riformista, colpito dai cugini-coltelli perché di sinistra anti-comunista.
Per tornare allo “schemino” evergreen a sinistra, l’autore del libro, appena uscito già in vetta nelle classifiche Amazon, fa una diagnosi senza speranza: cari compagni siete “in preda di un disturbo ossessivo-compulsivo, ormai fuori controllo”. Ma, si chiede Capezzone, si potrebbe obiettare che, comunque, il centrodestra ha vinto. Risposta: certamente, ma questo non ha impedito e non impedisce alla sinistra di “avvelenare il clima”, dopo aver mandato il segnale secco del tentativo di delegittimazione per cui “con voi niente dialogo”. Capezzone non manca di ricordare anche recenti esperienze vissute sulla sua stessa pelle come la ridicola accusa di fascismo a un ex radicale, liberale davvero come lui. Anatema scagliato anche contro i ragazzi di FdI dai quali fu invitato a un convegno alla “Sapienza” di Roma.
Capezzone non risparmia critiche alla stessa destra, perché “vittima di un vecchio complesso di inferiorità” per cui “intellettuali e anche dirigenti politici, rispetto ai quali Meloni è davanti mille miglia” hanno avuto il difetto di certa “lagna sull’egemonia culturale” e quello dei “malcelati rancori verso l’Anglosfera”. Tant’è che, per Capezzone, intellettuale politicamente scorretto e, quindi, senza peli sulla lingua, “certe feste di Atreju” , detto “con rispetto”, sono quasi “apparse come feste dell’Unità”, intrappolate in quel messaggio “subliminale” del vecchio copione della sinistra, fatto dal “teatrino” di contrapposti e “occasioni mancate”, seppur “non si sappia quali”.
Ma Capezzone fa soprattutto sottilmente notare che del complesso di inferiorità in realtà soffre la sinistra con la sua ossessione per cui non riesce a definirsi “anticomunista”. E, a questo proposito, cita un meme sui social, “strepitoso” con Freud “corrucciato” che chiede al paziente sul lettino: “Ma questi fascisti li vede spesso? Sono nella stanza qui con noi adesso?”. Saggio consiglio dell’autore di E basta con ‘sto fascismo al centrodestra o destracentro: “Non farsi distrarre: l’obiettivo deve essere occuparsi della società italiana, dell’economia, delle riforme necessarie. In una parola: della realtà e non delle narrazioni mediatiche”.