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Berlino

Gioco d’azzardo, ospitalità e malessere giovanile: i tanti volti della Slovenia

Il terziario è un settore importante per l'economia della Slovenia. Dietro al benessere, però, si nasconde l'inquietudine dei giovani della classe media. Seconda parte dell'approfondimento di Alessandro Napoli.

Il concerto delle grandi imprese in Slovenia è davvero polifonico, i casi citati nella puntata precedente (Gorenje, Mercator, Tomos, Elan) sono solo alcuni degli esempi. Sotto le grandi imprese ce ne sono molte di piccole e medie, per esempio nell’industria dell’arredamento, che poggia le proprie basi su una diffusa cultura della lavorazione del legno e che si rinnova con iniezioni di design. Poi c’è l’agroalimentare, molto orientato all’export grazie alla fama di qualità che prodotti come la birra, il vino e il prosciutto crudo sloveni hanno sempre avuto in tutta l’Europa del Sud-Est.

Quella slovena è anche un’economia (moderatamente, come tante cose slovene) terziarizzata.

L’INDUSTRIA DELL’OSPITALITÀ…

Il terziario (65% del valore aggiunto) qui significa in particolare industria dell’ospitalità, che si avvantaggia prima di tutto della posizione geografica e delle caratteristiche orografiche del paese, a due passi dall’Europa “ricca” e con al proprio interno sia le Alpi Giulie che qualche decina di chilometri di litorale mediterraneo. Sport invernali, boschi e prati, mare; una nuotata a Portorose e una passeggiata attorno al romantico lago di Bled: la Slovenia può contare su fattori attrattivi che muovono turisti dai paesi vicini a alto reddito e su un’industria dell’ospitalità che ha antiche tradizioni e quindi credibilità. Tutto in non molto più di un paio di decine di migliaia di chilometri quadrati oggi attraversati da autostrade moderne e costruite secondo criteri di rispetto dell’ambiente. L’industria dell’ospitalità richiama lavoratori da altre contrade dell’ex-Jugoslavia. Secondo il censimento del 2002, sul totale dei residenti i serbi contano per il 2%, più o meno come i croati. C’è poi una vasta porzione di residenti la cui origine è varia, all’interno della quale sono però soprattutto i bosniaci a distinguersi. La prossimità linguistica aiuta gli immigrati a integrarsi molto facilmente.

…E QUELLA DEL GIOCO D’AZZARDO

Ma quello che attrae specie nei fine settimana tanti frontalieri è l’industria del gioco d’azzardo. Nel bene e nel male, la Slovenia sta diventando il Nevada dell’Europa Centrale e società slovene comprano e gestiscono case da gioco in altri paesi con legislazioni “liberali” nel campo. Anche in questo si potrebbe dire che la Slovenia assomiglia ad Austria e Svizzera: quelle hanno fatto degli eros center una macchina per attrarre turismo frontaliero, qui lo si fa con il gioco d’azzardo.

La Slovenia è uno dei front-runners nell’Unione Europea. Negli ultimi cinque anni il suo Pil è cresciuto a tassi medi annuali del 4,5% e la crescita è trainata dalle esportazioni: l’84% della sua produzione va all’estero. Il tasso di disoccupazione è al 4,4% e per questo ha bisogno di incrementare la quota di attivi e di importare manodopera.

LO SPECCHIO PULITO DELLA CAPITALE

Lubiana è una città pulita, tranquilla ed efficiente. I rifiuti non si buttano in cassonetti mobili che possono restare aperti, ma dentro bocchettoni diversamente colorati a seconda del tipo di rifiuto che nel caso è permesso gettare (anche in questo caso torna il culto del design), ed i rifiuti spariscono sotto il piano stradale. La criminalità di strada è praticamente inesistente, anche per via di uno stretto controllo sociale. Taxi ed altri mezzi pubblici sono pulitissimi e puntuali. Dopo la fine del socialismo la città si è riempita di boutiques alla moda e di librerie. Civiltà alpina prima che mitteleuropea.

A dare il tono alla città sono le architetture civili e religiose barocche, con qualche spunto invece di tipo Secessione viennese. E poi i ponti e il lungofiume sulla Ljublijanica, semplicemente battezzato “reka”, il fiume. Lungo i suoi argini si distingue l’anima espansiva della città: è una successione di caffè con terrazze all’aperto che soprattutto i giovani prendono d’assalto.

LA RISORSA DELL’UNIVERSITÀ

Sì, a Lubiana ci sono molti giovani perché un motore della città, in tutti i sensi, è la Univerza v Ljubljani (Università di Lubiana), un magnete che attrae tanti giovani da ogni parte della Slovenia, dai paesi vicini popolati anche da sloveni e anche giovani stranieri. Gli iscritti sono, secondo quanto dice il rettorato, sessantatremila, una massa gigantesca rispetto alla consistenza della città. Di sera affollano i caffè, le librerie, i teatri, le piazze. L’università è un magnete, viene da chiedersi che cosa sarebbe Lubiana senza di lei. Fortunati questi giovani che hanno l’Università a casa loro o a quattro passi da casa.

L’università  è un fatto relativamente recente, fino al 1919 non esistevano infatti Università in cui si dessero corsi in sloveno. I ragazzi andavano a studiare a Vienna o a Praga. Negli studi di qualche avvocato e di qualche medico di oggi campeggia il diploma universitario del bisnonno, redatto rigorosamente in latino e con il nome e cognome latinizzato, mi è occorso di vederne un paio. Così era fin tanto che gli sloveni non scoprirono di essere sloveni. Ora lo sanno e ne sono fieri, almeno in maggioranza.

IL MALESSERE DIETRO L’IDILLIO

Ma dietro questo quadro idilliaco forse ci sono malesseri che non si confessano agevolmente. Mi interessava il punto di vista dei ragazzi, in fondo i veri protagonisti della vita di Lubiana (e della Slovenia). Invitai a cena i figli di alcuni amici, tutti studenti universitari, tutti rampolli della borghesia intellettuale, non della borghesia ignorante e “neopluta” che pure in Slovenia esiste (pur se meno che in altri paesi dell’ex-Jugoslavia). “Stiamo bene, l’economia cresce, la disoccupazione è bassa, non cerchiamo la luna. Ma siamo anche un paese con tassi di suicidio alti e questo significa che non siamo soddisfatti; certe volte mi viene da pensare che cominciamo ad assomigliare agli scandinavi, pancia piena e testa confusa. E poi abbiamo troppo ordine, sono anni ad esempio che tutta questa compagnia con cui stai parlando per Capodanno va via di qui, se ne va a Belgrado dove sono più poveri di noi, ma sono tristi solo raramente”.

(2. fine; la prima parte si può leggere qui)

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