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Berlino

Perché l’Italia e l’Ue sbagliano a sottovalutare la Slovenia

Della Slovenia si parla poco, ed è un errore: è un paese dai tanti indicatori economici positivi, dotato di una robusta capacità industriale. L'approfondimento di Alessandro Napoli.

Appena quindici minuti separano la città italiana di Trieste dal suo confine orientale, un tempo turbolento, oggi finalmente più tranquillo. Gorizia e Nova Gorica, oltre a somigliarsi nel nome, condividevano fino a un paio di decenni fa un muro divisorio, una sorta di mini Muro di Berlino, anche se molto meno massiccio e spaventoso. Poi quel muro è venuto giù con l’ingresso della Slovenia nell’Ue e poi nell’area Schengen, le città si sono riabbracciate, nel 2025 saranno assieme capitali europee della cultura e anche Trieste si è riavvicinata al suo doloroso confine. Cento chilometri percorribili su una comoda e moderna autostrada la dividono (oggi si potrebbe dire la avvicinano) alla capitale slovena Lubiana.

Eppure di questo vicino di casa, affacciatosi sulla scena europea dopo la disintegrazione della Jugoslavia, se ne sa ancora poco, al netto delle curiosità di natura turistica. Cogliamo dunque l’opportunità di guardarlo (e raccontarlo) più da vicino.

SLOVENIA: UN PAESE BEN POSIZIONATO NELLE MEDIE EUROPEE

Gli sloveni, almeno quelli che risiedono in Slovenia, sono appena poco più di due milioni. Vivono in un paese prospero, al cinquantottesimo posto nel mondo quanto a Pil per abitante (34.100 dollari, poco al di sotto di quello della Repubblica Ceca e per nulla lontano da quello dell’Italia, ma decisamente al di sopra di quelli di Portogallo e Grecia). Siete fra quanti storcono il naso quando si usa il Pil per misurare il benessere di un paese? Bene, se si va a guardare il valore dell’Indice di sviluppo umano, la posizione della Slovenia nella classifica internazionale è addirittura nel drappello di testa, ventunesimo posto. Etnicamente compatto, con una minoranza italofona sulla Primorska (il Litorale) e una magiarofona nell’Oltremura, è anche un paese giovane, giunto all’indipendenza solo nel 1991 sfilandosi dalla Repubblica Federativa di Jugoslavia con una “guerra” indolore che durò solo dieci giorni: la piccola e compatta difesa territoriale contro l’Armata Popolare Jugoslava (Jna).

Diventata indipendente, la Slovenia tiene molto alla sua identità di paese alpino: gli sloveni si paragonano a svizzeri ed austriaci, non ad altri vicini come croati ed italiani. Svizzera e Austria sono il loro benchmark. Per secoli, gli sloveni non hanno neppure seriamente pensato di essere sloveni. “Con le autorità e nelle città parlavamo tedesco, nel villaggio e in casa quello che chiamavamo dialetto”, dicono i vecchi che conservano la memoria di tempi andati o che la memoria l’hanno raccolta dai loro padri e dai loro nonni. Il prete celebrava la messa in latino e l’omelia in “dialetto”. Italiani e croati continuano a scherzarci sopra: “Quelli sono tedeschi che parlano una lingua slava”.

“TEDESCHI” DI LINGUA SLAVA

D’altra parte fino alla prima guerra mondiale l’identità nazionale si ricostruiva nelle campagne, perché la città dove si concentrava il maggior numero di sloveni non era nella Slovenia storica: era Trieste. Non c’erano vere e proprie “città” nella Slovenia storica. Dopo la fine della prima guerra mondiale, l’adesione al nuovo “Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni” non fu un atto di fede panslavista, ma la ricerca di un nuovo ombrello di protezione dagli “irredentisti” e dai “massoni senza Dio” (cioè dagli italiani), visto che quello dell’impero asburgico era venuto meno.

Lubiana è la capitale. Una piccola capitale (poco meno di 290.000 abitanti), efficiente e – come si dice oggi – eco-friendly. In pochi chilometri sei fuori dal centro, cominciano i boschi e i sentieri sui quali la domenica e d’estate si affollano sloveni di tutte le età, ossessionati dal dover praticare sport. Che poi si fermano a mangiare in trattorie all’aperto, autentica passione dello sloveno medio. Ma in mezzo al paesaggio più rurale, fra boschi e campi di granturco che sembrano pettinati come una coiffure delle più accurate, fra i villaggi e le pievi di campagna, quando meno te l’aspetti, ecco comparire capannoni industriali.

INDUSTRIA PUNTO DI FORZA

L’industria è stata e resta un punto di forza di questo paese e concorre a formare il 32% del valore aggiunto. A mano a mano che il paese allentava i legami con il resto del mondo slavo del Sud, l’industria si trasformava, innovandosi e internazionalizzandosi. È questa, ad esempio, la storia della Tomos, antica fabbrica di motociclette e di automobili su licenza basata a Capodistria e gradualmente privatizzata, leader nel mercato delle due ruote a motore in Olanda e conosciutissima negli Usa. Ma è anche la storia della Elan di Begunje, sci, snowboard e barche a vela, la prima in Europa ad aver utilizzato la fibra di vetro, sia per gli sci sia per le barche. C’è spesso molta ricerca e sviluppo sotto i successi di queste compagnie. Ricerca e sviluppo made in Slovenia, fra prati, campi e villaggi prima che nella capitale.

IL CASO DELLA MULTINAZIONALE GORENJE

Ma in campo industriale il caso di successo più eclatante resta quello di Gorenje, una multinazionale di taglia inaspettata per un paese così piccolo. Gorenje produce elettrodomestici bianchi. Ai tempi della samoupravljanje (l’autogestione), quando cioè quel paese che allora si chiamava Jugoslavia provava a sperimentare un modello di socialismo diverso dal capitalismo di Stato sovietico, Gorenje era solo una grande fabbrica che produceva elettrodomestici. Punto. Gorenje oggi sarebbe irriconoscibile da parte di chi l’aveva conosciuta a quei tempi. Ha acquisito aziende e stabilimenti in tante parti del mondo, ha sviluppato e applicato tecnologie assolutamente innovative, energy saving e amiche dell’ambiente e soprattutto ha puntato sul design industriale, altro bernoccolo degli sloveni: strategica la collaborazione con Pininfarina.

Una multinazionale slovena molto popolare presso il grande pubblico dell’Europa sud-orientale è anche Mercator (ipermercati). Si può dire che stia all’Europa sud-orientale come Carrefour sta alla Francia o Tesco al Regno Unito. La maggioranza delle azioni è ora nelle mani della croata Agrokor, ma “la testa” resta a Lubiana.

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