skip to Main Content

Lucarelli

Selvaggia Lucarelli, le gogne mediatiche e gli influencer markettari

Non solo Selvaggia Lucarelli. Che cosa si agita nel torbido mondo di giornalismo farlocco, influencer markettari e aggressioni mediatiche. Il corsivo di Battista Falconi

 

La straziante vicenda della ristoratrice lodigiana Giovanna Pedretti che si è suicidata è una specie di mondo alla rovescia, per citare il fortunato titolo del generale Vannacci. Lo sport del giorno (domani l’obiettivo cambierà) è il tiro contro Selvaggia Lucarelli che, questo il senso della narrativa odierna, avrebbe indotto il gesto rivelando il falso mediatico di cui la povera donna sarebbe responsabile: una finta recensione discriminatoria contro gay e disabili, usata forse per farsi pubblicità.

Se così stessero le cose, non si comprende quale sia l’istigazione. Né come il dubbio sull’autenticità non abbia sfiorato la pletora di commentatori che avevano elevato la vicenda a esempio morale, tra i quali moltissimi rappresentanti della stampa. E qui, nella fretta con cui l’informazione rilancia presunte notizie senza verifica, sta un primo vulnus. I più o meno noti giornalisti che sui loro profili e nei loro commenti avevano sparso miele e fiele sull’aneddoto, ora sparano accuse contro Lucarelli senza chiedere neppure scusa per l’omissione di controllo. Se lo si facesse notare loro, lo scriviamo per esperienza diretta di un episodio analogo di qualche tempo fa, probabilmente contrattaccherebbero, accusando l’interlocutore di difendere l’effettivamente poco simpatica Selvaggia.

Qui sta l’altro vulnus: personaggi come la blogger prosperano per le loro capacità mediatiche, la sfacciataggine, l’uso indiscriminato della provocazione, il piglio da paladini della verità, la stessa aura di cui si ammantano Sigfrido Ranucci e Antonio Ricci. Chi li ama li segue, chi li odia chiede di fermarli, rarissimamente si entra nel merito, specialmente quando gli inchiestisti assaltano bersagli grossi, cercano di far crollare le torri più alte. È andata così anche con Chiara Ferragni, rea di una caduta di stile e di una comunicazione ambigua che improbabilmente, al vaglio giudiziario, confermerà gravi reati meritevoli di condanna. Il lavoro dell’influencer è infatti prossimo alla pubblicità, dove i doveri di trasparenza sono molto sfumati (se Balocco i soldi li ha versati, il legame tra vendita dei pandori e donazione c’è stato).

Per questo ora si parla di normare meglio: la pubblicità, i social, la comunicazione, ma anche le fake news, l’agenda setting. E la beneficenza. Questione sorta anche quando Selvaggia Lucarelli ha attaccato la raccolta fondi organizzata dagli amici del ragazzo amputato da uno squalo in Australia: detratto il tono spocchioso dell’obiezione, l’anarchia in merito è effettivamente pericolosa. Ma dal calderone, anche qui, difficilmente uscirà qualcosa. Si veda il servizio del Tg1 contro cui tuona la stessa sinistra che si straccia le vesti alla prima voce della destra critica contro l’informazione Rai, si veda la proposta regolativa di Federico Mollicone di Fratelli d’Italia, stigmatizzata come tentativo censorio nel momento in cui l’Ue sta per partorire un Act contro la diffusione di false notizie. Quando forse basterebbe esaminare meglio quelle vere: possibile, per esempio, che si riduca a dettaglio il suicidio del fratello della povera donna, che non ci si interroghi sul suo stato di sofferenza precedente e indipendente dalla recensione e dalla risposta? Oppure che stupri, molestie e cosiddetti femminicidi si riducano all’ovvia condanna di chi li commette, senza dare uno sguardo al coacervo di dolore nel quale avvengono?

Il perenne e sbrigativo j’accuse è un ottimo modo per mettere le mani avanti ed evitare l’autocritica. L’Ordine dei giornalisti non ha mai risolto la contraddizione in termini per cui abilita a una professione, peraltro molto sfuggevole rispetto al diritto di opinione e parola concesso a qualunque cittadino, senza la garanzia di un titolo di studio corrispondente. E il mestiere di chi vende notizie si riduce a quello caricaturato nelle battute: spiegare quello che non si è capito, dire che è morto un tizio che non si sapeva fosse vivo.

I pubblici, la “gente”, le “persone”, noi tutti insomma, assecondiamo poi la moda e la lusinga mediatica senza più opporre il filtro della riservatezza, del pudore, del diritto al silenzio. Suscita fastidio il microfono dell’inviato di Report piazzato sotto il naso di persone non indagate ma citate in atti giudiziari, suscita rabbia quello degli inviati che tormentano amici e presunti tali di vittima o carnefice all’ennesimo fatto di cronaca, ma lascia perplessi anche il genitore del ragazzino ammazzato da poche ore che risponde davanti alle telecamere.

Tutti avranno, abbiamo qualche buona ragione e proprio qui sta il vulnus decisivo, perché a ostacolare il raggiungimento della presunta verità non sono i torti. Si guardi per esempio, salendo al globale, la guerra in Medio Oriente: il sionista ricorda l’aggressione del 7 ottobre, il filopalestinese replica lamentando le condizioni di vita a Gaza, così via si retrocede verso l’irraggiungibile madre di tutte le colpe. Polemiche sul fascismo, su Acca Larentia, sulle elezioni regionali o europee, non fanno eccezione alla regola.

Back To Top