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Giorgetti

Russia sovietica?

I Graffi di Damato

 

Cerchiamo adesso, cari amici giornalisti e politici, di non esagerare pur con tutta la solidarietà che meritano gli ucraini e il loro presidente Zelensky, riuscito fra i pochi, se non l’unico, vista la situazione dell’italiano Beppe Grillo, a passare sul serio dalle dimensioni di un comico a quelle di uno statista, o di un “guerriero per caso”, se vogliano fermarci alla definizione di Bernard-Henri Levy. Cerchiamo, dicevo, di non esagerare nel ripercorrere all’indietro “la giungla della storia” che Mario Draghi ha preso in prestito, parlando in Parlamento, dall’americano ma greco di nascita Robert Kagan.

Nello stesso Parlamento, particolarmente alla Camera, ho sentito un esponente della maggioranza inveire contro i “soldati sovietici” nella martoriata Ucraina. Non parliamo poi dei salotti televisivi di ogni colore e proprietà, dove si discute disinvoltamente della “Russia sovietica” di Putin senza che nessun conduttore abbia nulla da interrompere o precisare, magari solo per ricordare che l’Unione Sovietica è finita da un bel po’, anche se Putin di certo ne proviene con la non indifferente o insignificante esperienza dei servizi segreti.

Non ho mai votato in vita mia per il Pci e sigle successive, tentato una volta sola dal Pd di Walter Veltroni ma dissuaso rapidamente dalla scelta dello stesso Veltroni, in tempo prima del voto, di apparentarsi elettoralmente con Antonio Di Pietro piuttosto che con i radicali, ma sono convinto che la Russia sovietica anche nella sua tragicità fosse non dico migliore ma sicuramente diversa da quella di Putin. Che non vuole esportare nessuna rivoluzione, con tutte le tragiche illusioni che ogni rivoluzione porta con sé, ma solo importare territori, come gli zar ai quali non a caso Putin non disdegna di essere paragonato, facendosi aprire le porte dei saloni del Cremlino da guardie imponenti rispetto alle quali i Corazzieri del nostro Sergio Mattarella sembrano dei poveracci da Porta Portese.

Cerchiamo di non esagerare neppure nella tragicomica caccia al russo apertasi anche in Italia, fra teatri, biblioteche e simili perché c’è un limite a tutto, anche al ridicolo. In cui, peraltro, mi spiace davvero, sia caduto anche un giornale raffinato come Il Foglio, in più col ritorno ormai consolidato di Giuliano Ferrara al lavoro dopo avere rimesso a posto il cuore, titolando in rosso direi d’ufficio “L’Inferno attorno a Putin”, che però subito sotto, in nero, viene segnalato come uno che “si trattiene”, perché “i russi bombardano le città ucraine ma non vanno fino in fondo”. Il che significa che “si negozia sottobanco”, ancora più o ancor più continuativamente che sopra il banco ufficiale. Sotto terra intanto finiscono le vittime prevalentemente civili della guerra o corrono a nascondersi i vivi, tra cunicoli, cantine, gallerie, stazioni metropolitane ed altro, per salvarsi dalle bombe, o portarvi i malati in fuga dagli ospedali. Che orrore, che tristezza, che vergogna. Questo Putin – ripeto – addirittura “si trattiene”. Pensate un po’ quando deciderà di non trattenersi più, se chi gli sta “attorno” nell’Inferno del Cremlino gliene darà il tempo.

Andrei piano con le esagerazioni anche nel trattare o riferire sugli sviluppi della politica interna italiana. A proposito della quale posso capire la soddisfazione con la quale, alternando nero e rosso, Marco Travaglio riferisce sul suo Fatto Quotidiano che “dopo la finta unità nazionale sulle armi all’Ucraina, M5S e Lega sfidano di nuovo Draghi” e “la maggioranza torna a scontrarsi sulle cose che contano”, come “il catasto”. Comprendo un po’ meno come Draghi, con tutto quello che sta accadendo in Europa e nel mondo, si lasci rappresentare così anche da un giornale a lui certamente non ostile come Il Riformista di Piero Sansonetti: “Draghi avverte: riforma del catasto o è crisi”. Boom.

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