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Fondazione Ezio Tarantelli CISL

Report e la Cisl, che cosa succede davvero?

 L'intervento di Pietro Bertoli

 

Visto il lancio della trasmissione Report sulla Cisl, da tanti tanto attesa da altri magari anche supportata, si capisce che in mano dei giornalisti di Report non c’è molto più del nulla.

Beghe da condominio che nulla portano se non a consumare tristi e meschine vendette personali, stritolando in questo sbranarsi un’organizzazione gloriosa in cui militano spesso con autentico sacrificio personale e con spirito di servizio tante persone che quotidianamente sono presenti nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro, senza scandali, semplicemente al fianco dei lavoratori.

Questo metodo della continua ricerca del pubblico ludibrio su questioni che sono da regolarsi internamente la dice lunga sulla qualità di certo gruppo dirigente: per comportamenti contrari a Statuto e Regolamento ci sono i probiviri; contro i provvedimenti dei probiviri, c’è la giustizia ordinaria.

Questa modalità è solo sintomatica della battaglia senza quartiere condotta da chi, non riuscendo ad avere idee da far valere, mette in campo una concezione tutta personalistica della gestione dell’organizzazione, quasi che la Cisl fosse proprietà del segretario di turno o del segretario di categoria che, in quel momento, si reputa più influente.

Cui prodest la denuncia del Lonati quando poi afferma che nel 2018 si era dimenticato di rinnovare l’iscrizione al sindacato? Come è possibile che un dirigente sindacale che ha trascorso tutta la sua vita nel sindacato possa dimenticarsi l’iscrizione?

In qualsiasi associazione, l’iscrizione è il primo requisito per poter partecipare della vita e delle iniziative della stessa. In molte categorie del sindacato, sebbene non esplicitamente richiesto dal Testo Unico sulla Rappresentanza, non si accettano neanche le candidature per le elezioni RSU senza l’iscrizione, figuriamoci se si può essere segretario generale senza essere associato.

Non importa che si chieda “la grazia” perché ci si è ridotti l’indennità, se non si è iscritti, per definizione, si è fuori dall’associazione.

Al di là degli obblighi di legge, non è una cosa di cui potersi dimenticare soprattutto se, come afferma, si è dedicata un’intera vita a questa associazione trascurando persino gli affetti familiari.

Una nota a margine sul fatto che, oltre all’indennità ridotta, spesso abbia dovuto mangiare per pranzo solo un panino…in quanti, segretari e operatori, presi dall’attività incalzante spesso non hanno neanche tempo di pranzare o di cenare, fanno le nottate, vivendo perennemente in vertenze e in contatto con delegati e iscritti?

L’attività del sindacalista, come ben sanno le famiglie dei sindacalisti, è una vocazione, un’attività spesso di volontariato, un’attività di servizio cui si è chiamati perché riconosciuti, in primis, dai colleghi di lavoro, in grado di rappresentare le esigenze dell’altro, di chi ha meno strumenti per farlo da sé.

Non è idealismo o utopia, l’aspettativa dal lavoro garantita oggi dallo Statuto dei Lavoratori (una volta non c’era neanche questa tutela) è non retribuita perché si tratta si un’attività di servizio di utilità sociale che, oltretutto, non prevedrebbe un impegno a tempo indeterminato quanto piuttosto un “prestito” temporaneo dal luogo di lavoro al sindacato.

Anche per questo i contributi in aspettativa non retribuita sono figurativi: la collettività sostiene l’onere del costo previdenziale senza versamenti in cambio di un servizio reso alla collettività, perciò intrinsecamente a tempo determinato.

Anche per questo, nello Statuto è previsto un limite al numero massimo dei mandati. E’ certa una distorsione, sempre più frequente nel tempo: sindacalisti che non hanno mai visto un posto di lavoro, la cui vita dipende criticamente dal mantenimento di qualche poltrona. E’ questo il primo grande tradimento al sindacalismo, che accompagna il baratro cui assistiamo, dalla cooptazione dei “fedeli” al discredito del merito e delle competenze.

Le accuse esplicitamente espresse dalla tesi di Report, su quanto “probi” siano i probiviri, quindi, muovono i passi da assunti deboli e si rivelano in realtà per quello che sono: il rancoroso tentativo di vendetta di chi non è riuscito, pur utilizzando nell’organizzazione gli stessi metodi che qui fa denunciare, a sostituirsi all’attuale gruppo dirigente Cisl.

I probiviri confederali sono poco “probi”? E quelli delle varie categorie, invece?

I meccanismi che con finta ingenuità il Lonati indica (in quanti congressi li avrà votati lui stesso?) sono analoghi: chi ha indicato i candidati poi eletti nei probiviri della Fim ad esempio? Questi sono risultati più “probi” di quelli confederali? E’ stato fatto tutto in regola in quel caso ad esempio?

Un regolamento di conti interno buttato in pasto alla Tv significa solo buttare fango addosso a chi lavora con onestà nel sindacato, a chi è in prima linea, alle tante Rsu e ai tantissimi iscritti.

E’ buttare fango, e non ce ne è davvero bisogno, sull’intera organizzazione, ultimo baluardo di rappresentanza democratica nello scenario italiano.

E’ non sapere più custodire quella preziosa anomalia che è (stata) la Cisl, il “sindacato nuovo”, il sindacato che è nato in discontinuità con le esperienze sindacali di ogni colore.

Il sindacato nato autonomo da Stato e partiti (autonomia politica), che fa del contratto e non della legge l’arma per la difesa dei lavoratori (autonomia giuridica); che rifiuta gli steccati ideologici, rifiutando anche un’unità sindacale basata su correnti ideologiche; che propone e sviluppa la via dell’associazionismo dove la rappresentanza è data da chi vuole farsi rappresentare con consapevolezza e vuole partecipare alla vita dell’associazione, scegliendo e giudicando i propri dirigenti.

E’ un vero e proprio “recupero di storicità” che serve (come diceva Marongiu, già Presidente della Fondazione Pastore) che serve soprattutto per capire che queste pantomime, esercitate al di fuori del meccanismo interno secondo le regole stabilite da e con gli iscritti, affosseranno magari qualche dirigente, ma la macchia andrà su tutta l’organizzazione e, cosa più grave, si rischia di recidere quel prezioso radicamento democratico che la libera associazione nel sindacato garantisce.

Attraverso l’associazione in sindacato, infatti, si realizza il radicamento del lavoro nella società civile, garantendo la protezione e la promozione al bene più prezioso di un lavoratore, il lavoro e la dignità che da esso discende.

C’è una complicazione infatti tra il “fatto sindacale” e il “regime democratico”, al punto tale che è impossibile la sussistenza del primo al venir meno del secondo (come affermava Mario Romani, professore di Economia e stretto collaboratore di Pastore nella costituzione della Cisl) e così del permanere del secondo in mancanza del continuo sviluppo del primo.

Il regime di democrazia politica si caratterizza per l’esistenza e l’azione dei partiti politici i quali esprimono, al pari dei sindacati, la dimensione intermedia del pluralismo democratico proprio delle società civili che hanno accolto e valorizzato l’esigenza associativa come fatto di libertà e di partecipazione alla costruzione del bene comune (Mario Grandi).

Non saper condurre le proprie battaglie e trasferirle su questo piano ha quindi più di una implicazione: la più grave, gettare una pesante ipoteca sulla tenuta democratica del Paese rischiando, nella generalizzazione, di buttar via uno dei più fecondi, preziosi e concreti costruttori di democrazia che è ed è stata la Cisl.

Un pensiero a chi ancora vi opera con rettitudine perché sappia ricostruire sui saldi valori espressi dallo Statuto, non un nuovo sindacato, ma il “sindacato rinnovato”, autentico interprete di quella domanda di sindacato, di giustizia e di democrazia che non morirà mai.

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