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Bentivogli Fabbrica Futuro

Come sarà la Fim-Cisl senza Bentivogli?

"Mi lascia perplesso chi, proprio nella Cisl, vive l’addio di Marco Bentivogli come una liberazione". Il commento di Mario Sassi

 

Credo che aver individuato Roberto Benaglia come successore di Marco Bentivogli alla guida della Fim-Cisl sia una scelta importante e corretta. Conosco Roberto, ho fatto con lui un lungo pezzo di strada comune e ne ho sempre apprezzato la professionalità e l’impegno. So che affronterà questa sfida con lo spirito di servizio che lo ha sempre contraddistinto.

Così come ho sempre avuto un grande rispetto per i sindacalisti come Marco Bentivogli. Appartiene a quella specie di  personaggi rari e fuori dagli schemi tradizionali che compaiono ciclicamente nella storia della Cisl. In genere hanno un carattere particolare. Vivono l’esperienza sindacale in modo totalizzante, anticipatrice, maniacale.

Marco, poi, è cresciuto letteralmente a “pane e sindacato” essendo figlio di un altro grande sindacalista. Stessa dedizione e impegno,  pur con un altro carattere, come Franco Bentivogli. Sono leader solitari che nascono in quella “fungaia” di talento e passione che, nonostante tutte le critiche possibili, resta comunque la Cisl.

Pur afflitta da tutti i mali sempre presenti e in agguato dove operano anche perniciose burocrazie autoreferenziali, spesso troppo chiuse in sé stesse, la CISL (e le sue pur diverse articolazioni)  resta una grande scuola di vita e di impegno sociale per molte persone. Difficile non riconoscerglielo.

Al di là delle categorie che la compongono, gelose dei loro confini, delle differenti tradizioni contrattuali e organizzative  che la animano,  ti capita spesso di incontrare personaggi diversi, dotati di un carisma particolare e che a volte sembrerebbero fuori posto con il resto della confederazione ma che ne costituiscono la particolarità, l’unicità e la forza. Che la rendono comunque diversa dalle altre organizzazioni sindacali.

Personaggi che però consentono quegli strappi in avanti, culturali e anticipatori, altrimenti impossibili. Marco Bentivogli fa parte di questa tradizione. Per alcuni insopportabile, etnocentrico come solo un metalmeccanico sa esserlo.

È indubbio che in tutte le organizzazioni di rappresentanza coesistono spinte contrapposte. Cambiamento e conservazione non sono parole vuote. C’è chi interpreta il cambiamento e l’innovazione necessaria  e chi difende lo status quo pensando che devono essere sempre gli altri a cambiare. E poi c’è chi si accontenta di accettare la logica della famosa rana nella pentola sul fuoco.

Ma oggi il cambiamento non è richiesto  solo nelle singole categorie. Il Paese non cambierà se i corpi intermedi non riusciranno a mettere a fattor comune strategie e azioni concrete. E questo vale sia per la parte sindacale che  per quella datoriale.

Ma mentre Confindustria con il suo nuovo Presidente Carlo Bonomi lancia un segnale forte di volontà  cambiamento proprio a partire dal modello di relazioni industriali e dal necessario rinnovamento del sistema contrattuale non sembra che da parte sindacale  ci sia un’analoga consapevolezza condivisa unitariamente.

Teorizzare semplicemente i rinnovi dei contratti nazionali o invocare fantasiosi nuovi modelli di sviluppo in questa situazione significa contribuire a far precipitare il Paese in una prospettiva di contrapposizione proprio nel momento meno opportuno.

Per questo mi lascia perplesso chi, proprio nella Cisl,  vive l’addio di Marco Bentivogli come una liberazione.  La confederazione di via Po, a mio parere,  ne avrebbe tratto un grande beneficio promuovendo  un suo ingresso in segreteria confederale ma credo che per lui come per tutti valga il proverbio che “non si può andare in Paradiso a dispetto dei Santi”.

Ovvio  quindi un suo passo di lato. Marco Bentivogli ha ancora molto da dire e da dare. Ovunque deciderà di continuare il suo impegno. Nell’ultimo libro “Contrordine Compagni” c’è un passaggio che anticipa quasi profeticamente questa scelta così netta ma così inevitabile.

“La comunicazione è condivisione. Affinché sia autentica e produca confronto e sintesi ha bisogno di due condizioni: che si possa dire ciò che realmente ci sta a cuore, senza infingimenti, con rispetto ma con chiarezza e in un clima di ascolto; che la comprensione delle posizioni porti a ridiscutere o rafforzare, sulla base di argomentazioni valide, le posizioni di partenza. La dialettica vera ha forgiato i migliori gruppi dirigenti. La debolezza di quelli attuali ha necessità di conformismi e richiami alla fedeltà (spesso spacciata per lealtà)…Ognuno di noi dovrebbe pensare, ogni volta che sceglie o prende una decisione, quanto abbia privilegiato il coraggio, l’impegno, la curiosità, il talento, in antitesi alla cooptazione in cui a vincere è il conformismo che mortifica e la necessità di difendere dall’innovazione e dal confronto”.

Se questa capacità dialettica viene meno o se addirittura diventa quasi insopportabile accettarla come fisiologica nei  gruppi dirigenti del sindacato  qualsiasi percorso comune perde di significato. E le rispettive strade prendono inevitabilmente direzioni diverse.

Da qui l’analogia della solitudine del calabrone tanto utilizzato nei corsi di formazione sindacali per spiegare la forza della volontà. Però, come è stato dimostrato, il calabrone non viola alcuna legge fisica.  Ha semplicemente un battito d’ali molto più veloce di altri insetti di dimensioni minori. E quindi, pur in apparente solitudine, può tranquillamente volare come e dove vuole. E questo lui lo sa.

(Estratto di un articolo tratto da mariosassi.it)

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