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Biden

Perché l’anti putiniano Ferguson si interroga sulla strategia di Biden in Ucraina

Putin, Biden e non solo. Pillole di rassegna stampa a cura di Lodovico Festa

 

Su Fanpage si scrive: «Le notizie di oggi 31 marzo sulla guerra Russia-Ucraina nel 36esimo giorno di crisi. I negoziati tra Kiev e Mosca riprenderanno online da domani, primo aprile. Il ministro degli Esteri Lavrov: “Progressi positivi”. Alcune truppe si ritirano dalla centrale nucleare di Chernobyl. Colloqui telefonici tra Mario Draghi e Vladimir Putin: discussi progressi dei negoziati e acquisto del gas russo in rubli. Continuano i combattimenti nei pressi di Kiev, il sindaco denuncia: “Nessun ritiro delle truppe”. Russia annuncia il cessate il fuoco a Mariupol».

Come stanno andando le trattative tra Mosca e Kiev? Secondo alcuni stanno procedendo.

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Sul sito del Tgcom si scrive: «Zelensky non vuole scendere a compromessi: “Non vedo nulla di concreto dai colloqui”, afferma il presidente ucraino, che sulla de-escalation russa ribadisce di “non credere a nessuno”. Intanto il Pentagono segnala che le truppe russe si stanno spostando da Kiev e da Chernobyl verso la Bielorussia, ma che non c’è nessuno spostamento di militari in Donbass. Gli spiragli per un accordo sembrano richiudersi mentre i colloqui dovrebbero tornare a distanza il 1° aprile».

Secondo altri incontrano difficoltà in un clima generalizzato di mancanza di fiducia.

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Su Open si scrive: «Serhiy Leshchenko è consigliere senior del presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky. E in un’intervista rilasciata oggi al Corriere della Sera spiega quale sarà il ruolo dell’Italia come garante di Kiev nei negoziati con la Russia di Vladimir Putin. “Si lavora a un testo scritto”, spiega il consigliere. “Noi ci concentriamo sulla sicurezza dell’Ucraina, contro ogni possibile attacco nel futuro, non solo contro aggressioni militari, ma anche contro la guerra ibrida e quella cibernetica. Per questo è fondamentale il ruolo dei paesi garanti”, aggiunge. E questo perché “noi chiediamo che, se non possiamo essere membri Nato, allora ci vengano date garanzie di sicurezza solide”».

Si sarebbero comunque, intanto, fatti seri passi in avanti sulla questione della “neutralità” dell’Ucraina.

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Su Dagospia si cita un’intervista di Luigi Ippolito per il Corriere della Sera a Niall Ferguson, nella quale si scrive: «Il problema sono gli Stati Uniti: perché l’amministrazione Biden si è imbarcata in una strategia che punta a prolungare a la guerra, nella convinzione che questo porterà a un cambio di regime in Russia. La cosiddetta gaffe di Biden non era affatto una gaffe: membri dell’amministrazione hanno più volte indicato quella che chiamo la strategia cinica ma ottimista di prolungare la guerra e aspettare che le sanzioni facciano cadere Putin. Trovo però questa strategia straordinariamente rischiosa e pensata male».

Ferguson è un critico intransigente del neoimperialismo disperato di Vladimir Putin, ciò non gli impedisce di dubitare di una strategia americana non sempre ben consapevole della realizzabilità dei propri obiettivi.

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Sul Sussidiario Pasquale De Sena dice: «Mosca – ricordiamolo, insieme a Pechino – non mette affatto in discussione né le Nazioni Unite, né il divieto dell’uso della forza; anche se, naturalmente, sta violando quel divieto. Ma perché lo sta violando? Al di là della questione ucraina, lo sta facendo, come ho appena detto, per affermare che la nozione di sicurezza internazionale, così come questa è maturata negli ultimi trent’anni sotto l’egida degli Stati Uniti, deve cambiare».

De Sena, docente di Diritto internazionale all’Università Cattolica, osserva come la crisi ucraina si inserisca in una discussione più generale su che cos’è oggi la questione della sicurezza internazionale e come Russia e Cina convergano nel respingere quella che considerano un’interpretazione unilateralista della questione da parte americana.

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Su Formiche Ferruccio Michelin scrive: «Cosa succede in Israele? Il 22 marzo quattro israeliani sono stati uccisi a Beer Sheba: un attentatore li ha accoltellati e poi investiti con la sua auto. Il 27 due uomini hanno aperto il fuoco per strada a Hadera uccidendo 2 poliziotti e ferendo seriamente altre 6 persone. Il 29 marzo un palestinese con precedenti per traffico d’armi ha sparato sui passanti a Bnei Brak, quartiere ortodosso di Tel Aviv, uccidendo 6 persone».

È evidente come il “disordine internazionale” originato dall’aggressione russa all’Ucraina non rimarrà circoscritto. E gli israeliani ne sono stati consapevoli sin dal primo momento.

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Sulla Nuova Bussola quotidiana Lorenza Formicola scrive: «Il conflitto in corso e le sanzioni contro la Russia hanno portato il prezzo del grano e dei fertilizzanti alle stelle: il blocco del Mar Nero minaccia direttamente la sicurezza alimentare di oltre mezzo miliardo di persone in Medio Oriente e Nord Africa. Egitto, Tunisia, Libano, Iraq, Algeria, Libia. Tutti stanno prendendo contromisure per evitare nuove proteste a suon di “pane, lavoro e dignità”, come fu agli albori delle primavere arabe tra il 2010 e il 2011. Secondo il World Food Programme, per alcune economie più fragili, sono sufficienti uno o due mesi per rendere l’impatto della crisi devastante. E, nel frattempo, sta per iniziare il Ramadan – il mese sacro islamico che, tradizionalmente, comporta ogni anno picchi consistenti di domanda. La concomitanza quest’anno con la vertiginosa salita dei prezzi causata dalla crisi ucraina ha certamente il potenziale di generare significativi disordini sociali».

Nessuno deve dimenticare le conseguenze esplosive che le carestie soprattutto in Nord Africa e Medio Oriente, possono provocare.

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Su Formiche Francesco De Palo scrive: «“La Russia è un membro importante dell’Opec+”, ha aggiunto Mazrouei, “e questa è un’alleanza di cui abbiamo bisogno”. Sia l’Arabia Saudita che gli Emirati Arabi Uniti hanno potenzialmente la possibilità di pompare più petrolio, ma hanno scelto di non cambiare strategia rispetto a un accordo stipulato con la Russia che contemplava un aumento mensile dei livelli di produzione ma determinato dal grado di ripresa delle economie colpite dal Covid e senza tenere in considerazione la guerra in Ucraina. Di contro, se da un lato Mosca è un membro di peso, dall’altro non sono mancate le pressioni americane al fine di allentare i prezzi che sono saliti a quasi 140 dollari al barile dopo l’invasione dell’Ucraina».

Washington vorrebbe allineare Emirati Arabi e sauditi alla sua linea politica su Mosca. Non sembra un compito facile.

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Su Open si scrive: «Lo scontro sull’aumento delle spese militari è diventato sempre più vivace, man mano che si avvicina la data di domani, quando il dl Ucraina, che ha anche recepito un ordine del giorno specifico di Fratelli d’Italia, arriverà al voto dell’aula. Nel corso della riunione col gruppo del Senato, il neoeletto leader del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte, ha spiegato che non intende sostenere questa spesa, soprattutto nell’attuale situazione di crisi economica. Il Movimento 5 stellle subito dopo ha diffuso una nota spiegando che raggiungere l’obiettivo (secondo gli accordi si tratta di spendere ogni anno il 2 per cento del Pil in ambito militare) è irrealizzabile se si punta a farlo entro il 2024. Proprio su questo argomento è intervenuto il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini: “Dal 2019 ad oggi abbiamo intrapreso una crescita graduale delle risorse sia sul bilancio ordinario che sugli investimenti, che ci consentirà, se anche le prossime leggi di bilancio lo confermeranno, di raggiungere la media di spesa dei paesi dell’Unione Europea aderenti alla Nato e poi, entro il 2028, il raggiungimento dell’obiettivo del 2 per cento”, ha spiegato all’Ansa parlando proprio di spese militari. In effetti, gli accordi prevedono che la spesa inizi a salire più stabilmente dal 2023, con il raggiungimento del 2 per cento nel 2028. Guerini ha anche aggiunto: “Francamente uscirei da un dibattito approssimativo su cifre e date. L’impegno assunto in sede Nato nel 2014 e riconfermato da tutti i presidenti del Consiglio che si sono succeduti da allora, prevedeva il raggiungimento del 2 per cento del Pil per le spese della Difesa entro il 2024. Fin dal momento in cui ho assunto la guida di questo dicastero ed anche in questi giorni ho sempre indicato sia l’esigenza di rispettare l’obbiettivo del 2 per cento, sia la gradualità con cui raggiungerlo”».

Anche in Italia si manifesta l’effetto destabilizzante della crisi ucraina su un quadro politico così disgregato come il nostro che regge solo per la scelta idealistica di una gran parte dei deputati e senatori di non rinunciare a qualche mese di indennità parlamentare.

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Su Dagospia si scrive: «Ieri, è apparso anche il nuovo Mario Draghi ammaccato dal flop post-Colle quando ha scaricato il fardello pentastellato nelle mani di Sergio Mattarella. Un Draghi stressato che senza la guerra avrebbe già mollato al suo destino il governo. Per ora, non è per niente sicuro di arrivare seduto a Palazzo Chigi al voto del 2023. Magari, una volta raggiunta la pace tra Russia e Ucraina, con i peones sicuri del vitalizio (a settembre), li abbandonerà al loro destino di scappati di casa e potrà finalmente riposarsi con la diletta moglie nel buen retiro umbro».

Draghi continua a fare il suo dovere. Anche ieri, dopo aver sistemato quel mediocre e improvvisato personaggio di Giuseppe Conte, finalmente autorizzato da una Washington che – concluso l’accordo con Berlino sul gas – lascia più libertà diplomatica agli europei, ha parlato con Vladimir Putin. Ma è evidente come la base del suo impegno politico, una volta che sciaguratamente non lo si è eletto presidente della Repubblica, si sia logorata.

 

Articolo pubblicato su Tempi, qui la versione integrale

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