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Papa Francesco

Metalli e non solo, ecco chi papa Francesco ha pizzicato in Africa

Giunto in Congo, prima tappa di un viaggio in Africa che lo porterà in Sudan del sud, papa Francesco ha denunciato il "colonialismo economico": il territorio congolese, in particolare, è ricco di oro, diamanti e metalli utili alle transizioni ecologica e digitale.

 

Giunto ieri a Kinshasa, capitale della Repubblica democratica del Congo, prima tappa di un viaggio di sei giorni nel continente africano, papa Francesco ha detto che l’Africa “non è una miniera da sfruttare”. Il pontefice ha anche denunciato il “colonialismo economico”, “altrettanto schiavizzante” di quello politico.

“Questo paese”, ha dichiarato il papa riferendosi al Congo, “e questo continente meritano di essere rispettati e ascoltati, meritano spazio e attenzione. Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare”.

I “DIAMANTI INSANGUINATI” DEL CONGO

“Il veleno dell’avidità ha reso i suoi diamanti insanguinati”, alludendo alle risorse naturali e minerarie presenti nel territorio congolese, come il cobalto per le batterie dei veicoli elettrici.

Oltre il 60 per cento dell’offerta di questo metallo proviene proprio dal Congo, dove si stima che il 15 per cento delle forniture venga estratta a mano, in condizioni lesive dei diritti dei lavoratori, spesso peraltro da bambini e giovani. Questo sfruttamento rappresenta, secondo il papa, “un dramma davanti al quale il mondo economicamente più progredito chiude spesso gli occhi, le orecchie e la bocca”.

– Leggi anche: Cosa fanno le società minerarie per tracciare il cobalto con la blockchain

L’AMMISSIONE DEL COLOSSO GLENCORE

La produzione di cobalto in Congo è controllata dalle aziende cinesi, che possiedono le miniere più grandi del paese, e dalla compagnia anglo-svizzera Glencore.

Di recente Glencore ha fatto sapere che pagherà 180 milioni di dollari alle autorità congolesi per risolvere un’accusa di corruzione. La società ha ammesso di aver versato tangenti milionarie anche a funzionari pubblici di altri paesi africani, come il Camerun, la Costa d’Avorio, la Guinea equatoriale, la Nigeria e il Sudan del sud.

IL “GENOCIDIO DIMENTICATO” IN CONGO

Nel suo discorso a Kinshasa, papa Francesco ha parlato anche del “genocidio dimenticato” in Congo.

Come spiega l’ISPI nel suo Daily focus, da oltre trent’anni nell’est del Congo “è in corso una guerra ‘dimenticata’” dalla comunità internazionale: è in quest’area che due anni fa venne ucciso l’ambasciatore italiano Luca Attanasio e il carabiniere che lo scortava, Vincenzo Iacovacci. La situazione di insicurezza ha obbligato papa Francesco a rinunciare alla visita prevista a Goma, capoluogo della provincia orientale di Kivu Nord.

Nel Kivu Nord è in corso un conflitto tra l’esercito governativo congolese (sostenuto militarmente dall’Uganda, il Kenya, il Sudan del sud e il Burundi) e decine di milizie ribelli (appoggiate principalmente dal Ruanda). Nella regione è dispiegata la missione MONUSCO delle Nazioni Unite, la più lunga operazione di peacekeeping delle Nazioni Unite finalizzata alla stabilizzazione del Congo.

La guerra – ricorda l’ISPI – è alimentata dalle grandi riserve minerarie contenute nella regione: oro e diamanti, ma anche metalli per le batterie come il cobalto e il nichel, “e soprattutto il coltan”, un minerale necessario per la produzione di dispositivi elettronici (tablet e smartphone) di cui il Kivu fornisce l’80 per cento dell’offerta mondiale.

– Leggi anche: Diamanti, cobalto, coltan e non solo: ecco il tesoro del Congo e chi lo gestisce

LA VISITA DI PAPA FRANCESCO IN SUDAN DEL SUD

Dopo il Congo, papa Francesco passerà a visitare – dal 3 al 5 febbraio prossimi – il Sudan del sud, un’altra nazione caratterizzata da una grave crisi di instabilità.

L’ISPI scrive infatti che gli scontri tra i due uomini forti del paese, il presidente Salva Kiir (in carica dal 2011) e Riek Machar, già vicepresidente nonché capo della fazione di ribelli SPLM-IO, stanno alimentando numerosi massacri in alcune regioni. In particolare in quelle dell’Alto Nilo, del Kordofan occidentale e negli stati federali di Jonglei e Unity.

Nel 2019 papa Francesco aveva baciato i piedi di Kiir e Machar, chiedendo la fine della guerra civile. Ma l’accordo di pace raggiunto nel 2018 non è stato attuato pienamente, ad esempio per quanto riguarda il dispiegamento di un esercito nazionale unificato, nel quale far confluire i vari gruppi armati. La situazione è problematica anche dal punto di vista prettamente politico: le elezioni previste per questo febbraio, ad esempio, sono state posticipate alla fine del 2024 “con l’obiettivo di riconfermare l’attuale presidente”, spiega il centro studi.

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