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Mes e Recovery Fund, così Merkel cerca di salvare l’Europa

Che cosa c'è davvero di rilevante politicamente con le ultime iniziative anti crisi in Europa capeggiate da Merkel. L'analisi di Gianfranco Polillo

Le reazioni imbarazzate degli uomini della Lega e di Fratelli d’Italia alle proposte di Ursula Von Der Leyen sono comprensibili. In Europa si è prodotta, nello spazio di poche settimane, un cambiamento radicale rispetto ad un più antico tran-tran, in cui ogni pulsione innovativa era destinata ad essere sepolta e neutralizzata da valanghe di scartoffie, vincoli, richiami ad astratti precedenti. E così via. Il pilastro intorno al quale ruotava tutto questo mondo era la Germania. Custode assoluta della tradizione. Contro la quale solo Mario Draghi era riuscito a scalfirne la corazza. Subito ripristinata all’indomani della sua uscita da Francoforte. Come si era potuto constatare, di fronte ai primi segnali di crisi del coronavirus, nel suo impegno a foraggiare l’oltranzismo olandese o austriaco.

Nessuno, in altre parole, era convito che l’iniziativa di Emmanuel Macron, (altro che regia di Giuseppe Conte) potesse avere il ben minimo successo. Del resto, la stessa Francia aveva più volte dimostrato di essere pronta ad abbandonare ogni velleitarismo, per accontentarsi di un piccolo accordo, con la sua potente vicina. Al fine di preservare l’immagine di un asse, quello franco-tedesco, in grado di governare la complessa macchina europea.

Dati questi presupposti, lo scetticismo era d’obbligo. Da Bruxelles non poteva venire nulla di buono. Poi ci si era messa pure la vicenda Mes. Con i 5 stelle che si erano trasformati in partito di lotta e di governo, rendendo più complicata la posizione dell’opposizione. Che nel criticare il progetto originario – quello delle discussioni di febbraio – aveva ragioni da vendere. Tanto che lo stesso Giuseppe Conte era stato costretto a salvarsi in corner invocando la “logica a pacchetto”. Vale a dire un intervento a tutto campo che prevedesse insieme al Mes l’Unione bancaria e il Biic (il bilancio per la competitività e la convergenza).

Ancora, come si può notare, non si parlava di Recovery Fund, per il semplice fatto che Covid-19 era ancora lungi dal manifestarsi. Del nuovo Fondo si comincerà, invece, a parlare solo in piena pandemia. È sempre per contrapporlo al Mes, che, nel frattempo, aveva cambiato pelle. Non più il vecchio istituto, pensato nel 2012, ma un Mes 2.0, caratterizzato da una nuova linea di credito (Pandemic Crisis Support) non sottoposta ad alcun vincolo di natura politico, ma con l’unico obbligo di destinare le risorse, così ottenute, per far fronte ai costi diretti ed indiretti della pandemia.

Tutto inutile. “Grazie al Recovery fund potremmo non ricorrere al Mes”, ha chiosato ancora ieri il presidente della Camera, Roberto Fico, pur essendo costretto a riconoscere che “in ogni caso, quando si parla di Mes, si deve parlare di un Mes senza condizioni e senza i problemi che pone il vecchio strumento”. Precisazione che dovrà essere tenuta nel giusto conto, se si vorrà intervenire, con tempestività, nella situazione italiana. Le ingenti risorse del Recovery saranno disponibili solo nel 2021. Quelle realmente spendibili, a breve, non superano i 12 miliardi contro i 240 del Mes. Risulta quindi evidente che, se si vorrà intervenire, tante ubbie dovranno essere ridimensionate.

Ed è qui che subentra il ruolo dell’opposizione. L’attuale maggioranza di governo avrà serie difficoltà nel richiedere un finanziamento ponte sul Mes, in attesa di poter disporre delle maggiori risorse di competenza del Fondo. Senza una spinta potente si rischierà, pertanto, di perdere tempo prezioso, in attesa che i 5 stelle possano trovare al loro interno le necessarie e complesse mediazioni. Obiettivo, comunque, non facile da conseguire: sebbene il movimento si sia progressivamente secolarizzato rispetto “dover essere” delle origini. Non mancheranno, infatti, contrasti, diversità di vedute, calcoli d’apparato che alimenteranno ritardi ed oscillazioni. Che l’opposizione potrebbe neutralizzare, per poi rivendicare un ruolo diverso nella gestione delle ingenti risorse che approderanno in Italia. Operazione tanto più meritoria se si considera i risultati, tutt’altro che brillanti, dei più recenti decreti governativi

Un cambiamento fin troppo brusco rispetto ad una precedente narrazione? Il problema è reale, ma non insuperabile. Si tratta solo di comprendere fino in fondo ciò che sta avvenendo in Europa. Le ragioni profonde di quei cambiamenti repentini ed impensabili solo qualche mese fa. Che hanno alla loro base prese di consapevolezza circa l’importanza della posta in gioco. Altrimenti non vi sarebbe stato il dietro front di Angela Merkel. Fino a rompere con le sue tradizionali alleanze per ritrovarsi a fianco di Emmanuel Macron, ma non più in una posizione di assoluta primazia. Come sarebbe risultato impensabile lo smacco subito dalla Corte costituzionale tedesca a proposito della Bce. Quel maldestro tentativo di sottoporla alla giurisdizione domestica, spossessando la Corte di giustizia. Tutti sintomi dell’estremo e disperato tentativo delle forze più conservatrici di opporsi un po’ all’ineluttabile.

Checché se ne possa dire, questi fatti sono i sintomi più evidenti delle scosse telluriche che stanno scuotendo il vecchio edificio europeo. A tutte le forze politiche italiane, di governo e di opposizione, il compito di interpretarli. Se vorranno avere ancora un ruolo e un minimo di futuro.

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