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Perché non sono ottimista sul Mes e sul pacchetto evocato da Conte. Il commento di Polillo

La risoluzione della maggioranza di governo approvata sul Mes. Le rassicurazioni di Conte. Le spinte della Germania. E le incognite su Unione bancaria e titoli di Stato. Il commento di Gianfranco Polillo

 

Da italiani, speriamo che, alla fine, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, abbia successo nella trattativa con Bruxelles. Che la “logica di pacchetto”, da lui più volte evocata, possa realizzare quel piccolo miracolo. Vale a dire battere le posizioni tedesche, che vorrebbero porre un limite al montante dei titoli pubblici che le banche possono detenere. Che la proposta di dover tenere conto del rischio, misurato dagli spread, sia riposta in un cassetto. Che si vada alla nascita di un titolo europeo, da tutti condiviso e partecipato, per garantire un investimento più sicuro per gli investitori, diventi realtà. Che si arrivi alla garanzia unica europea sui depositi bancari. Che il ventilato nuovo bilancio per l’Eurozona possa creare quello sviluppo che, da molto tempo, non solo latita. Ma ha sempre più le sembianze di una chimera.

Se questi saranno i risultati, l’aver comprato il tempo necessario – nobile arte della politica economica – per consentire agli altri partner europei di convertirsi lungo la strada di Damasco, sarà stato un buon investimento. Lo si vedrà tra poco (un paio di mesi) quando le dilazioni concesse andranno ad esaurimento. Ed allora quella firma, finora ritardata, seppure tra il dire e il non dire, dovrà essere apposta.

Da modesti conoscitori delle cose europee, tuttavia, non possiamo nascondere il nostro pessimismo. C’è innanzitutto il rumore di fondo di un dibattito che non è stato compreso a Bruxelles. Sono mesi che del problema si è discusso alla presenza degli italiani. Qual era il mandato della delegazione del Bel Paese? Perché le obiezioni, poi esposte con la virulenza dei giorni passati, non sono mai emerse? Disinteresse, infingimento? Giochi di palazzo? Che si friggano. Game‘s over.

Si potrà discutere degli allegati. Modificare le norme sul “single limb”. Per ridurre il rischio di possibili assalti speculativi. Ma quelle sulla santificazione del Fiscal Compact non saranno toccate. Nonostante le giuste critiche di Paolo Gentiloni, in veste di Commissario europeo. Che dovrà comunque vedersela con il suo “capo”: il falco Valdis Dombrovskis, tutt’altro che tenero nei confronti dell’Italia.

Resta da vedere cosa succederà del resto. Difficile che la proposta tedesca sulle banche possa passare. Premia solo Berlino. I Bund stanno diventando merce rara, al punto da recare pregiudizio allo stesso quantitative easing della Bce. Schäuble, nel sostenere quest’ipotesi, benché non avesse titolo per farlo, ha solo cercato di giocare d’anticipo, al fine di evitare il rischio dell’assicurazione obbligatoria sui depositi. Soldi tedeschi per difendere l’altrui lassismo.

Del resto i Paesi del rigore hanno un asso nella manica. Dalla loro è il generale inverno. Il rialzo degli spread al minimo sentore di crisi. Quindi inutile infierire. Ma anche una ragione in più per non rischiare i soldi dei propri contribuenti. Ed allora l’ipotesi più probabile è quella di un pari e patta. Nessun aggravio sulle banche e nuovo rinvio per il completamento dell’Unione bancaria. Del resto, con tutto il rispetto, non c’era riuscito Mario Draghi ad imporre un cambiamento di rotta, ci può riuscire Giuseppe Conte?

Vedremo, comunque, come andrà a finire. La posta in gioco è elevata. Nonostante i mal di pancia, le rivolte interne, un malessere fortemente avvertito, per il momento, il governo è uscito, ammaccato ma indenne, da questo suo piccolo Vietnam. Non una vittoria, ma una semplice tregua fin quando non dovrà tornare a Canossa e dimostrare che il credito, che gli è stato concesso, aveva un suo perché.

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