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Russia Turchia

Cosa dicono e fanno Turchia, Israele e Cina sulla Russia?

Tre Stati per la mediazione internazionale tra Russia e Ucraina: la Turchia è membro Nato, Israele risente del peso di Mosca in Medio Oriente, la Cina non vuole compromessa la sua strategia economica. L'analisi di Alberto Negri, già inviato di esteri al Sole 24 Ore.

 

Chi può parlare con Putin?

Il mondo non va tutto nella stessa direzione come vogliono far credere l’Unione europea e gli Usa recapitando armi all’Ucraina e isolando Putin.

La Turchia, membro Nato, non mette nessuna sanzione a Mosca e Israele, con il suo milione di russi e ucraini in casa, corre sul filo per non inimicarsi il leader del Cremlino che da anni consente a Tel Aviv in Siria – dove Israele si è annesso il Golan con l’approvazione Usa – di bombardare i pasdaran iraniani quando vuole.

La Turchia, guardiano degli Stretti, del Mar Nero e del fianco sud est della Nato, a sua volta occupa un pezzo di Siria del Nord – dove ha massacrato i curdi alleati degli Usa contro l’Isis – e che non intende mollare. Ma dove sono le sanzioni minacciate ad Ankara dagli europei nel 2019? Vedete bene che ognuno vuole fare a pezzi le vite e i territori qualcun altro.

Questo non giustifica l’orrore dei russi in Ucraina contro i civili ma descrive soltanto quali sono gli attuali rapporti di forza. Le guerre, in genere, non ripristinano diritti ma ridefiniscono i poteri, diceva Hannah Arendt.

Adesso qualcuno comincia a chiedersi come uscirne fuori. Su Haaretz ci prova Efraim Halevy, ex capo del Mossad dal 1998 al 2002. Halevy ci dice tre cose: 1) Putin ha agitato l’arma nucleare perché l’invasione va male mentre i militari russi si aspettavano una rapida resa delle forze ucraine 2) Xi Jinping era informato da Putin dell’invasione prima ancora delle Olimpiadi, visto che i cinesi in queste settimane si sono comprati la Borsa di Kiev. Il leader cinese gli ha chiesto di fare un passo indietro ma Putin si è rifiutato. 3) Secondo Halevy per gli americani é venuto il momento, con la mediazione internazionale – magari israeliana, turca e cinese – di trovare una via di uscita alla Russia e salvare la faccia a Putin. Non perché meriti di essere salvato ma perché il conflitto minaccia di allargarsi: le forniture di armi europee e italiane sono un atto ostile anche in vista di una futura guerriglia. Girarci intorno è da ipocriti o da stupidi.

Con gli assedi alle città e i civili nel mirino dei raid la guerra sta prendendo una “piega siriana”, avverte su Grand Continent Michel Goya, ex colonnello dei marines e storico militare. Nel medio periodo, secondo Goya, l’Ucraina potrebbe diventare terreno di una guerriglia con una retrovia in Moldavia (dove sta andando Blinken), in conflitto con Mosca per la Transnistria, dove ci sono già tremila soldati russi ed è candidata a diventare il prossimo obiettivo di Putin. Siamo dalle parti della vecchia e dimenticata Bessarabia, vestigia di conflitti congelati, che fu indipendente come repubblica sovietica con capitale Odessa, poi finì alla Romania e infine all’Urss.

Più o meno come gli israeliani la pensano anche i turchi che si sono riavvicinati allo stato ebraico. Senza la Russia – e tanto meno contro la Russia – non è possibile nessuna sicurezza in Europa, Eurasia e Medio oriente “allargato”: questa è l’idea comune della Turchia di Israele, che ovviamente nella non ostilità a Mosca difendono le loro conquiste territoriali.

La posizione della Turchia è significativa perché ancora una volta Ankara si distacca dagli europei e dagli Stati uniti: un’astensione rilevante sulle sanzioni la sua perché parliamo del secondo maggiore esercito dell’Alleanza Atlantica. Oltre tutto Ankara ospita la grande base Nato di Incirlik e 60 testate atomiche americane. Dal 2016, col tentato golpe contro Erdogan, attribuito a un complotto gulenista e agli americani, la Turchia tiene in ostaggio l’Alleanza Atlantica. Allora tagliò la luce a Incirlik e a Istanbul la base Nato venne circondata dalle forze fedeli a Erdogan. Mai vista una cosa simile nella Nato.

I turchi sono stati chiari: “Non siamo disposti a essere coinvolti in sanzioni contro la Russia”, ha affermato il ministro degli esteri Mevlut Cavusoglu. Pur essendo Turchia e Russia in competizione in diversi teatri di crisi – Siria, Libia, Azerbaijan e anche in Ucraina dove Ankara ha fornito armi e droni a Zelensky – Erdogan e Putin hanno una relazione personale che ha portato alla cooperazione in diversi ambiti. Il più importante è quello del gas, visto che la Russia è il primo fornitore della Turchia e l’Azerbaijan il secondo con il gasdotto Tap che approda in Puglia. Il gas russo arriva con due gasdotti sottomarini nel Mar Nero (Blue Stream, costruito da Eni nel 2003 e TurkStream, in funzione nel 2020). Forniture mai interrotte, neppure con la crisi dell’ottobre 2015 seguita all’abbattimento di un jet russo in Siria da parte delle forze turche. Gli Usa, la Nato e l’Europa non possono intervenire per sanzionare la Turchia, altrimenti salta tutto.

Al di là del gas, la cooperazione si è estesa anche al nucleare, con la società russa Rosatom che sta sviluppando la prima centrale nucleare turca. All’energia si aggiunto il comparto della difesa. Nel 2019 Ankara ha acquistato il sistema missilistico russo S-400, per cui la Turchia, membro della Nato, è stata espulsa dal programma degli F-35. La Russia è quindi il terzo partner commerciale della Turchia, dopo Germania e Cina, con un interscambio di 34,7 miliardi di dollari nel 2021.

Nonostante la Turchia non abbia riconosciuto l’annessione russa della Crimea nel 2014 e le armi fornite a Kiev, Ankara si guarda bene dal compromettere i suoi interessi con la Russia. Alla faccia della Nato e degli europei.

(Il post è stato pubblicato sul profilo Facebook di Alberto Negri)

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