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Non solo Leonardo. Ecco fini e sfide della missione di Meloni in India ed Emirati Arabi Uniti

Ecco obiettivi e dossier economici al centro della missione del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in India ed Emirati arabi uniti. L'analisi di Francesco Galietti, analista esperto di scenari strategici

 

Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è in procinto di imbarcarsi su un volo che la condurrà nelle capitali degli Emirati Arabi Uniti e lndia. Un viaggio complesso dove si troverà a interagire con attori e scenari che vedono il suo governo tentare di ritagliarsi u ruolo da protagonista.

Per capirne qualcosa di più, Start Magazine ha interpellato Francesco Galietti, analista esperto di scenari strategici e fondatore di Policy Sonar, la cui analisi mette a fuoco il ruolo del nostro Paese in contesti quali il Mediterraneo allargato e l’Indopacifico.

Giorgia Meloni si accinge a visitare gli Emirati Arabi Uniti e l’India in quello che appare in tutta evidenza come uno dei viaggi più ambiziosi presenti nella sua agenda. E’ esatto? E perché?

Giorgia Meloni percorrerà la vecchia rotta delle carovane dei mercanti veneziani; nel gergo degli analisti è il ponte indo-arabo-mediterraneo, un tracciato ricco di storia. L’itinerario naturalmente è dettato anche dalle contingenze, dall’agenda internazionale dei vertici, dalle grandi conferenze, nel caso specifico il Raisina Dialogue a cui la premier è stata invitata a partecipare come ospite d’onore.

Sia con gli Emirati che con l’India ci sono state in passato delle frizioni. È l’opportunità giusta per superarle oppure la strada è lunga?

Quei fatti sono ormai acqua passata. C’è stata discontinuità a livello di maggioranze politiche, e i rapporti sono ora più distesi. Il governo Meloni è integrato in un sistema di alleanze che abbraccia il Golfo, l’Egitto, Grecia, Israele e ci sono numerosi indizi di questa sua attenzione verso questo campo di forze. Ricordo a tal proposito che la premier all’ultima edizione della Cop in Egitto è stata molto dinamica: anche se era nelle sue funzioni di Presidente del Consiglio da pochi giorni, ha affrontato in quella sede una serie di incontri serrati incluso il bilaterale col presidente egiziano al-Sisi; e ricordo che in Egitto c’è una forte presenza dell’Eni.

Come sono i rapporti con Israele?

Anche con Israele i rapporti sono ottimi: in questo caso addirittura Meloni può contare sul pregresso, rappresentato dallo storico viaggio di Gianfranco Fini. Poi c’è la Grecia, con cui in questo momento c’è una partita sotto traccia molto importante, che è quella delle commesse navali: la marina militare greca vuole le corvette, Francia e Italia competono per aggiudicarsi gli ordini e c’è un corteggiamento aperto dei governi in questa direzione. Non è escluso che Meloni chiami direttamente il premier greco Mitsotakis per caldeggiare l’offerta di Fincantieri. In definitiva Meloni ha una sua visione che guarda al Mediterraneo allargato.

Oltre al Mediterraneo allargato si intravvede anche un’attenzione verso il teatro indopacifico, confermata dall’apposito documento che Meloni firmerà con il premier indiano Narendra Modi.

Meloni è molto attenta a quello che fanno da quelle parti: uno dei primissimi capi di governo che ha incontrato è stato il giapponese Fumio Kishida, con cui lei dovrà fare la staffetta in quanto Kishida detiene la presidenza di turno del G7 e l’anno prossimo tocca all’Italia. C’è dunque un forte affiatamento, confermato dagli accordi presi in ambito militare sul caccia di sesta generazione Tempest, accordi che si estendono alla Gran Bretagna di Sunak. Il fatto di giocare sullo stesso campo degli inglesi e dei giapponesi vuol dire in qualche maniera collocarsi a ridosso della rete di alleanze nell’Indopacifico, ossia quel club di potenze democratiche che sono in prima linea per contrastare l’assertività cinese in quel quadrante.

Un quadrante che è molto caldo, visti i timori diffusi nei confronti delle possibili mosse della Cina. In questo delicato scacchiere che ruolo può ritagliarsi l’Italia?

Quello che stiamo vedendo dimostra che non c’è solo l’America a fare da collante tra Atlantico e Pacifico. I due blocchi si parlano direttamente tra loro; il caso evidente è proprio quello dell’Italia che si interfaccia direttamente con il Giappone. Adesso che si è creata questa dinamica, l’Italia è chiamata ad integrarsi e lo sta facendo con passi concreti e non con mere dichiarazioni di prammatica. Ma qui c’è un altro aspetto per me importante che va posto in rilievo.

Quale?

Mi riferisco alla necessità di trovare le tonalità giuste nel rapporto con la Cina. Personalmente sono rimasto molto perplesso nell’assistere al viaggio in Europa del satrapo della politica estera cinese Wang Yi. Ricordo che Wang ha fatto tappa a Roma, dove è stato ricevuto da Mattarella e da Tajani.  Non è tanto il formato Mattarella-Tajani a stupirmi; quello che trovo deprecabile è l’appello rivolto da loro ai cinesi di operare per una mediazione di pace in Ucraina. Ci siamo così posti al di fuori del nucleo centrale delle alleanze occidentali, con gli americani che non solo hanno rigettato fortemente l’iniziativa cinese del piano di pace, ma stanno anche dicendo che la Cina è parte attiva del conflitto in quanto rifornisce la Russia con tecnologie critiche. Quindi un’Italia che legittima la Cina si colloca nettamente fuori fase. E questo proprio mentre il governo Meloni sta facendo passi da gigante per integrare l’Italia nell’Indopacifico. C’è dunque un registro semantico che va raddrizzato. Dirò di più.

Prego.

Mi riferisco al famigerato accordo sulle Vie della Seta del 2019, la cui parte più scandalosa è proprio il simbolismo.  L’Italia, ossia un Paese del G7, che legittima la Cina come una potenza dallo status imperiale, con tutta una coreografia romana molto eloquente. Io penso che usciremo con l’opt-out dall’accordo. Tuttavia se continuiamo a legittimare lo status della Cina come superpotenza con un rango imperiale non inferiore a quello americano allora la toppa è peggiore del buco. Se si insiste a tenere il rapporto con la Cina sopra una certa soglia di visibilità, si persevera nell’errore.

Dobbiamo dedurne che Mattarella non ha buoni consiglieri diplomatici?

Penso che Mattarella ragioni con la sua testa. Lui viene da una tradizione cattolica di sinistra che ha sempre avuto una forte simpatia per la Ostpolitik, penso a Vittorino Colombo e a molti altri di quel mondo democristiano. Inoltre ritengo che lui si rifaccia allo stesso atteggiamento ancheggiante del Vaticano. Penso che non si debba avere troppo timore reverenziale nel dire che Mattarella sulla Cina ha sbagliato e continua a sbagliare.

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