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Borrell Russia

Le teorie di Borrell su Palestina e Russia

Che cosa ha detto Josep Borrell, Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione, su Palestina, Russia ed elezioni europee al summit de Le Grand Continent 

Josep Borrell, Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione, non ha mollato neppure uno dei tre giorni del summit de Le Grand Continent in Valle d’Aosta, tra il 18 e il 20 dicembre. A Bruxelles sono abituati a vederlo in giro per il mondo ma in fin dei conti qui era a un convegno, con l’agenda che si ritrova.

Nei tre giorni, è apparso più volte e ha detto certo cose importanti, ma note: pieno sostegno all’Ucraina, maggiore capacità industriale-militare, Europa divisa ma capace di trovare soluzioni.

Ha però aggiunto qualcosa in un discorso di una quarantina di minuti al terzo giorno, il 20 dicembre, in una specie di lezione accademica tenuta in una sala di una stazione intermedia dello Skyway sul Monte Bianco. Ha messo in fila una serie di punti che meriterebbero di essere letti con la trascrizione e la pubblicazione del discorso. Di questi, almeno tre vanno riportati subito.

LA RUSSIA È IMPERIALE E IN QUANTO TALE È UNA MINACCIA

Il passaggio va contestualizzato nella premessa, ma a un certo momento Borrell ha detto che non è vero che “la geografia non conta più”: piuttosto, “stiamo parlando ancora di questioni territoriali”. Il conflitto in Europa è tra uno Stato sovrano, l’Ucraina, e “una potenza imperiale, o meglio imperialista”, anche “coloniale, che cerca la sua identità”.

Ha quindi ripreso il binomio Impero/Stato-nazione. “La Russia non è mai stata capace di diventare uno Stato-nazione ed è sempre stata un impero, con gli Zar, con i Soviet e ora con Putin. È una costante dell’esistenza stessa della Russia e della sua identità politica.” E fintanto che “questa identità imperialista non sarà [interrotta], la Russia continuerà a essere una minaccia per i suoi vicini e in particolare per noi”. Fino a quando non avrà superato questa identità, “il suo regime politico resterà autoritario, nazionalista, e violento”.

Per Borrell, che ha richiamato la letteratura russa al riguardo, fino a quando “non abbandonerà il suo progetto imperiale la Russia non potrà democratizzarsi, né riformarsi”. Borrell ha poi collegato la sua posizione di rendita che deriva per la Russia dalle sue risorse petrolifere e alla difficoltà di creare meccanismi di condivisione o di separazione dei poteri.

È una lettura che è circolata in Spagna e in Europa sin dai primi anni 2000. Conferma oggi che la Russia di Putin non si arresterebbe a una pace provvisoria in Ucraina, come già avvenuto nel 2014 o come nel caso della Georgia. È una forza appunto “imperiale” che tende ad espandersi e che costituisce una minaccia per tutta l’Europa, oggi come in passato (e vengono in mente “l’ordine regna a Varsavia” del 1831 e la guerra di Crimea del 1853-1856).

I DUE STATI DEVONO ORMAI ESSERE IMPOSTI DALLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

Anche il secondo punto va inquadrato nel discorso generale di Borrell, che ha ricordato la tragedia del 7 ottobre e quella ancora in corso a Gaza. Nel caso specifico, si tratta “di due popoli che combattono per la stessa terra” da più di un secolo, in un’altra “Guerra dei Cento anni”. O si condivide questa terra oppure, l’uno prevale e l’altro “o parte, o muore o diventa un cittadino di seconda classe”. Sono le stesse parole che ha usato il primo ministro israeliano riferendosi ai palestinesi, ha ricordato Borrell.

Per la soluzione dei “due Stati”, di cui tutti parlano almeno dagli accordi di Oslo del 1993, è stato fatto molto poco; lo stesso governo israeliano dice di essere totalmente contrario. Anche qui vi è una dimensione imperiale, con una “colonizzazione” e dei “coloni”.

Lo status quo era insostenibile, anche se non lo si voleva vedere, nella convinzione che gli accordi di Abramo del 2020 avrebbero creato una stabilità durevole.

Ci sono due lezioni che emergono. La prima è che la soluzione dei due Stati “deve essere imposta dall’esterno” cioè “dalla comunità internazionale” composta da “il mondo arabo, gli Stati Uniti e l’Europa”.

La seconda lezione è che bisogna cambiare il metodo: se a Oslo la soluzione dei due Stati era un approdo “possibile” ma non certo al termine di un negoziato, ora bisogna rovesciare il processo. “Bisogna definire chiaramente il punto di arrivo”. In seguito, dopo che “la comunità internazionale lo ha imposto” si cercano i percorsi per arrivarci, in modo applicativo, senza andare a tentoni.

ELEZIONI EUROPEE? BISOGNA AVER PAURA DELLA PAURA

Non bastasse, finito il discorso con cinquanta persone in sala e 43mila in streaming, Borrell ha risposto ad alcune domande.

Una riguardava le elezioni europee del 2024, che “saranno segnate direttamente dalle due guerre”. Hanno effetto sulle politiche economiche, sulla distribuzione dei redditi, sulle persone. C’è anche una minaccia di sicurezza, nel terrorismo. Ebbene, le elezioni europee che si svolgono come risposta a questa situazione preoccupano Borrell che teme che si voti sulla base della “paura”, che gli europei votino perché hanno paura.

La paura davanti all’incertezza genera naturalmente, biologicamente, una risposta di sicurezza. Siamo avvolti “da un clima mediatico che ci racconta di disastri”, di minacce. Alcuni partiti puntano sulla paura come argomento per attirare il consenso della popolazione europea, con un rafforzamento delle forze di estrema destra.

I partiti politici europei devono essere capaci di parlare dei problemi e di dare risposte, altrimenti le elezioni europee saranno “altrettanto pericolose quanto quelle americane”.

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