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Afghanistan Terrorismo

L’America tornerà in Afghanistan contro il terrorismo?

Cosa dicono (e a cosa alludono) i generali Battisti e Petraeus sulla situazione in Afghanistan. Il punto di Giuseppe Gagliano.

 

Se mettiamo a confronto le dichiarazioni rilasciate al Corsera dal generale Battisti intervistato da Andrea Nicastro e dal generale americano Petraeus, intervistato da Viviana Mazza, emergono alcune considerazioni interessanti.

Da un lato le dichiarazioni di Giorgio Battisti, per il quale il 15 agosto afgano deve essere assimilato all’8 settembre italiano. Un paragone, questo, che Battisti considera legittimo visto che la maggioranza degli alti comandi e dei governatori hanno barattato la propria salvezza con la resa. Secondo quanto dichiarato dal generale, persino il presidente Ghani avrebbe ordinato di non resistere.

Al di là della vergogna espressa esplicitamente dagli ex allievi dell’Accademia che Battisti nell’intervista al Corsera riporta per questa resa, dall’altro lato vi sono le dichiarazioni del generale David Petraeus il quale compie un altro interessante paragone storico con la resa degli alleati a Dunkerque nel giugno del 1940 nel contesto della Operazione Dynamo.

Ora, al di là dei frequenti paragoni storici che in questi ultimi giorni si stanno facendo, le osservazioni del generale meritano di essere sottolineate non tanto per l’assenza di buon senso che li ispira, quanto per l’arroganza che queste riflessioni esplicitano nonostante la cocente sconfitta americana.

Da un lato, infatti, afferma che i talebani andrebbero informati che ogni tentativo di impedire l’evacuazione riceverà una risposta decisa; dall’altro lato sottolinea che i talebani devono stare molto attenti a non costringere gli Stati Uniti a esercitare la loro forza militare e li esorta quindi a comprendere il valore della cautela e ad assumere un atteggiamento di umiltà. Valutando con distacco e serenità l’epilogo della guerra poste in essere dagli Stati Uniti e della Nato, siamo persuasi che la cautela e l’umiltà dovrebbero essere usate e fatte proprie da parte americana.

Infine, dall’intervista emerge un’altra osservazione che è di una evidente paradossalità considerando lo scopo iniziale per il quale questa lunga missione sorse e cioè la necessità di sconfiggere il terrorismo: il generale ammette che la minaccia del terrorismo potrebbe certamente aumentare in Afghanistan e che quindi in futuro potrebbe essere ipotizzabile un ulteriore intervento militare la cui riuscita però sarebbe concretizzabile a patto di realizzare infrastrutture militari in Afghanistan per rendere più rapide e più agevole la gestione delle operazioni antiterrorismo.

Insomma, il generale sta alludendo a un nuovo intervento da parte americana in Afghanistan!

A tale riguardo sarebbe opportuno andarsi a rileggere da un lato le utilissime pagine del saggio di Gordon Corera dal titolo “Life and Death in the British secret service“ su come gli anglo-americani aprirono in Afghanistan – pur di combattere i russi – il vaso di Pandora dell’attuale terrorismo, e dall’altro lato le osservazioni sul sostegno americano al fondamentalismo islamico in funzione anticomunista da parte dell’ex direttore della Dgse Alain Chouet.

Grazie infatti alla lettura di questi preziosi saggi, non potremmo che giungere alla conclusione che gli errori anglo-americani in Afghanistan sono molto più antichi del 2001, poiché risalgono proprio all’intervento che fu fatto in funzione antisovietica durante la guerra fredda.

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