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Tunisia

La strategia di Draghi con Gabrielli, Curcio e Figliuolo

Le prime mosse di Draghi e le critiche di Le Monde al presidente del Consiglio italiano commentate da Gianfranco Polillo

Le prime mosse di Mario Draghi non solo non hanno deluso, ma indicano, in qualche modo, una direzione di marcia più complessiva. La sostituzione di Domenico Arcuri, più che una sanzione nei confronti dell’uomo di Giuseppe Conte, rappresenta un cambiamento di filosofia. Si passa da una dimensione artigianale ad una di carattere strutturale. Una nuova linea di comando, che ha assunto la forma del tridente, coinvolgendo non solo gli uomini che ne sono alla testa, ma le organizzazioni che da questi dipendono.

La presenza di Franco Gabrielli garantirà il supporto dei Servizi. La cui attività di intelligence dovrebbe evitare errori come quelli commessi negli acquisti delle mascherine dai cinesi, sui quali sta indagando la magistratura. Al di là di ogni altra considerazione, quegli episodi hanno messo in evidenza il pressappochismo di chi era preposto all’incetta. Nelle migliori delle ipotesi un acquisto incauto, che avrebbe richiesto ben altre misure di sicurezza.

Francesco Paolo Figliuolo è un Generale di corpo d’armata. Posizione di vertice nelle forze armate. Sopra di lui, solo un Generale di corpo d’armata con incarichi speciali ed il Generale capo di stato maggiore della Difesa. Dal novembre 2018 è inoltre il Comandante logistico dell’esercito. L’uomo giusto al posto giusto: si potrebbe dire, considerando quanto complessa sia la partita della vaccinazione contro il Covid-19. Il diretto intervento delle forze armate renderà possibile il massimo della razionalizzazione degli sforzi. Durante le varie fasi della pandemia il loro apporto era stato episodico: dal triste utilizzo degli autocarri per il trasporto delle salme, alla fornitura di assistenza ospedaliera. Sia mobile che nel Celio. D’ora in poi questo rapporto diverrà permanente. Creando una forte sinergia con gli altri corpi dello Stato, a partire dalla Protezione civile.

Per Fabrizio Curcio, il nuovo Capo della Protezione civile, si tratta, invece, di un ritorno. Aveva occupato quella stessa posizione, nel periodo 2015 -02017. Alla Protezione civile, dai Vigili del fuoco, era arrivato nel 2007, chiamato da Guido Bertolaso, in qualità di responsabile della sua segreteria. Per poi divenire Capo ufficio Gestione emergenze. Vi era rimasto anche con Franco Gabrielli, per prenderne il posto, quando quest’ultimo era stato nominato Prefetto di Roma. Due anni di grande attività ed infine le dimissioni, motivate per ragioni personali. Ora Curcio torna, per così dire, sul luogo del delitto, chiamato a quel ruolo per far recuperare alla Protezione un ruolo che, durante la gestione Arcuri della pandemia, aveva, in parte, perso.

Ma quali sono stati i motivi che hanno spinto Mario Draghi a rivoluzionare l’intera linea di comando, a favore di una soluzione più strutturata? Una prima evidenza è data dalla recrudescenza della pandemia. I dati più recenti lasciano intuire l’ipotesi, ancora da verificare completamente, di una terza ondata. Da una decina di giorni, il numero dei contagi cresce in modo vorticoso. Per fortuna crescono anche le guarigioni, ma non in modo adeguato. Sui casi accertati, giorno dopo giorno, infatti il numero dei guariti tende a decrescere rispetto ai casi positivi. Al tempo stesso aumentano, in percentuale, sia i ricoveri che le terapie intensive. E lo stesso dicasi per i decessi. Insomma, se le tendenze troveranno conferma, ci troveremmo di fronte a quelle varianti che hanno sia una carica contagiosa che una letalità maggiore. Da qui la necessità di fare il massimo sforzo per giungere alla necessaria vaccinazione.

Basterebbe quest’elemento a giustificare la svolta. Ma c’è dell’altro. Nei dati diffusi dalle varie istituzioni internazionali, risulta evidente il rapporto che intercorre tra l’andamento del virus e le sue ricadute sull’andamento della situazione economica. Se si osserva il database del Fondo monetario, ad esempio, l’uniformità del segno meno ai fini della valutazione del tasso di crescita del Pil, per l’anno appena trascorso, risulta pressoché generalizzata. Unica eccezione una ventina di Paesi distribuiti, a macchia di leopardo, tra i diversi continenti. Ma con una forte prevalenza in quella che una volta erano considerate le zone del Terzo mondo.

A parte la Cina, che registra un tasso di crescita pari all’1,9 per cento. La maggior parte di questi Paesi è in Africa e nel Sud est asiatico. Per avere un’idea di quanto possa aver pesato il rapporto con la pandemia, si consideri, ad esempio, il caso dell’Egitto. Il suo tasso di crescita è valutato essere pari al 3,5 per cento, il numero dei contagi, allo 0,18 per cento della popolazione, ed i morti: 10,86 per ogni centomila abitanti. In Italia il tasso di decrescita è stato pari all’8,9 per cento, il numero dei contagiati al 4,85 per cento della popolazione e 161,67 il numero dei morti per ogni 100 mila abitanti. Rapporti da 1 a 15 o 1 a 26. Questa costante si ripete, anche se in modo variabile, per tutti i Paesi considerati.

Ma visto che ci stiamo, conviene rispondere, con la necessaria energia, a quel mostro sacro del progressismo d’Oltralpe, che risponde al nome di Le Monde. Il giornale parigino si è lanciato contro Mario Draghi, accusandolo di essersi opposto alla proposta di Angela Merkel ed Emmanuel Macron di utilizzare una parte delle dosi acquistate dall’Ue (che al momento sono ben minori di quelle previste dai contratti) per aiutare i Paesi africani. Si tratterebbe, in particolare, di 13 milioni di dosi da destinare, appunto, alla bisogna. “L’ex Presidente della Banca centrale europea” – tuona Le Monde – non ne ha voluto “sentir parlare”. Anche se altri Paesi “come Belgio, Svezia, Paesi Bassi e Spagna” si erano “detti piuttosto favorevoli”.

Si tratta di una giusta reprimenda? Ne dubitiamo. In Africa, il numero dei contagiati e dei morti, secondo le statistiche della Johns Hopkins University, è pari al 4 per cento del totale dei casi accertati, in Europa questa percentuale sale al 26,3 per cento per i contagi ed al 28,8 per cento per i decessi. Questo significa che il numero dei casi, in Europa, è pari a circa 7 volte la pandemia africana. Se c’è quindi un’urgenza a provvedere, dati i limiti che si riscontrano nella produzione e disponibilità dei vaccini, è facile vedere quale debba essere la relativa priorità, a prescindere dalle forme di un “buonismo” un po’ stantio. Non abbiamo la pretesa di considerare gli europei migliori degli africani. Ma non è nemmeno possibile considerare il caso inverso. Ed allora gli sforzi maggiori devono essere compiuti dove il male è più diffuso e le sofferenze sono maggiori. Con buona pace delle varie anime pie.

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