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Repubblica

La Stampa contro Repubblica sul premierato?

Differenti valutazioni giornalistiche fra i due quotidiani del gruppo Gedi - ossia Repubblica e La Stampa - sulla riforma istituzionale annunciata dal governo Meloni. I Graffi di Damato

I partiti di opposizione al governo, così divisi fra di loro e pasticciati anche all’interno da essere considerati non a torto i principali alleati del “Gabinetto” di Giorgia Meloni, per chiamarlo con l’ironia pungente di Davide Giacalone sulla Ragione per il modo col quale ha preparato la legge di bilancio, zigzagando fra un’infinità di bozze, hanno finalmente trovato chi sta messo peggio di loro. Sono i giornaloni, come li chiama da qualche tempo anche la premier: quelli di maggiore diffusione e pretese di rappresentare o influenzare, come preferite, l’opinione pubblica che diventa ogni cinque anni, salvo anticipi, l’elettorato nazionale chiamato alle urne.

LE DIFFERENZE TRA REPUBBLICA E STAMPA SULLA GUERRA A GAZA E NON SOLO

Pur posseduti di fatto dallo stesso proprietario, un nipote del compianto Gianni Agnelli che però non ne porta neppure il cognome, né ha pensato di farselo almeno aggiungere come qualcuno fa assumendo anche quello della mamma, i due maggiori giornali italiani – la Repubblica e La Stampa – si sono divisi oggi nella lettura, valutazione e quant’altro delle emergenze in cui ci troviamo.

Per La Stampa, fresca peraltro di un cambio di direzione, a fare paura è “l’urlo degli ostaggi” arrivato dal sottosuolo di Gaza, dove i terroristi di Hamas ne hanno selezionati tre, tutte donne israeliane, per fare intimare a quel boia che è già diventato nelle piazze anche italiane Netanyahu, la cui stella di David è stata affiancata alla svastica di Hitler, di smetterla di reagire agli eccidi di ebrei del 7 ottobre e di liberare piuttosto tutte le migliaia di detenuti palestinesi nelle carceri d’Israele per scambiarli, come reclama Hamas, con i duecento e rotti sventurati catturati in quell’infame pogrom.

Per la Repubblica – il cui direttore Maurizio Molinari scrive da o su Israele non tanto o non solo commenti tutti giustamente favorevoli al suo diritto di esistere, ma saggi di decine di migliaia di parole l’uno per descrivere nei più piccoli particolari le drammatiche condizioni in cui quello Stato è costretto a vivere dalla sua fondazione – sull’urlo degli ostaggi trattenuti nel sottosuolo di Gaza prevalgono come motivo di allarme “le mani sulla Repubblica” italiana, quella vera e non di carta fondata nel 1976 da Eugenio Scalfari. Mani che il governo Meloni ha deciso di mettere con la riforma costituzionale del cosiddetto premierato, inteso come elezione diretta del presidente del Consiglio, come se fosse il sindaco d’Italia. “Le mani sulla Repubblica”, ripeto, con tutto ciò che una formula del genere comporta nell’immaginario collettivo. Una manomissione, appunto, simile se non peggiore di altre inutilmente tentate in passato da Berlusconi prima e da Renzi poi.

Diversamente da Repubblica, quella di carta, La Stampa tuttavia ha titolato in prima pagina, al pari del confratello Secolo XIX, che “Il Colle è pronto al via libera”. Il che sembra smentire la rappresentazione del quotidiano diretto da Molinari perché Sergio Mattarella non mi pare un presidente disposto a far manomettere la “sua” Repubblica.

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