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Salvini

La crisi d’identità del Pd garantisce la durata del governo Meloni

Mentre Giorgia Meloni "inizia la sfida per risollevare l'Italia", Enrico Letta annuncia l'obiettivo di lanciare "un nuovo Pd" senza però una vera analisi dei motivi della sconfitta. La nota di Paola Sacchi

 

Se la partita dei viceministri e sottosegretari in fase di completamento servirà a stabilizzare ancora di più la compattezza del governo Meloni, se gli allarmi lanciati da sinistra sul “pericolo” della vittoria del centrodestra si infrangono via via tutti sulla realtà (colloquio del premier ieri con il segretario generale della Nato Stoltenberg dopo quello con Biden; Berlusconi che ribadisce l’asse euro-atlantico), niente di nuovo sul fronte Pd.

Tornati all’opposizione dopo quasi 11 anni, i dem, che ieri hanno riunito la segreteria e oggi riuniranno la direzione, pensano a congresso e primarie a marzo, un tempo infinito in politica, con l’obiettivo, annuncia Enrico Letta di “un nuovo Pd”. Senza però una vera analisi dei motivi della sconfitta, proseguendo con temi e approcci della campagna elettorale, come se non fosse finita.

Mentre Giorgia Meloni “inizia la sfida per risollevare l’Italia”, come scrive sui social, il Pd ricorda i 100 anni della Marcia su Roma, con l’appello che recita “per non perdere mai più la libertà”. Appello sacrosanto, ma con il rischio di reagire alla sconfitta agitando contro il nuovo governo di centrodestra lo spettro di un fascismo che non c’è più. Uno spettro sul quale il premier alla Camera ha pronunciato parole chiare, definitive, dopo peraltro le svolte fatte da Gianfranco Fini, che la volle leader di Azione giovani in An, dopo le parole di riconciliazione da parte di importanti esponenti della sinistra come Luciano Violante.

Questo non significa, ovviamente, che la perdita della libertà con la dittatura fascista vada dimenticata. Uno storico esponente della destra come Ignazio La Russa, presidente del Senato, seconda carica dello Stato, dà ragione a Letta: “Mai più perdita della libertà… io per la libertà sarei disposto a dare la vita”.

Ma, il Pd appare voltato all’indietro. E questo peraltro in un clima in cui all’Università La Sapienza di Roma sono avvenuti gravi incidenti contro un convegno dei giovani di FdI e si è dato del “fascista” a un oratore come Daniele Capezzone, ex radicale, liberale di destra, autore del libro “Per una nuova Destra” (Piemme), in cui la coalizione al governo viene anche invitata ad avere un approccio migliore, sul modello anglosassone, al tema dei diritti coniugati ai doveri della responsabilità individuale.

Il punto è che il Pd sembra non avere più altri strumenti di analisi se non il ricorso ai drammi di un passato che non c’è più per reagire alle proprie sconfitte. Matteo Renzi l’altro ieri in Senato, per il voto di fiducia al governo, ha avuto gioco facile a schiaffeggiare i suoi ex “compagni” di una sinistra che da anni non affronta il suo problema numero uno: l’identità. Ma l’identità non può non andare di pari passo con i temi dell’agenda del Paese.

Un’agenda che ha in mano il centrodestra e il Pd non riesce a declinare con un suo vero progetto. Da qui la demonizzazione dell’avversario trattato da nemico che dura da 28 anni, da Silvio Berlusconi a Matteo Salvini a Giorgia Meloni. Toni roboanti, accuse, “sconcerto” sull’innalzamento del tetto del contante, proposto dall’economista leghista Alberto Bagnai, accolto da Meloni, rilanciato ieri da Matteo Salvini, che lo vuole già nella prossima Manovra. Anche se l’azzurro Giorgio Mulè dice che non è una priorità.

Il leader leghista, intanto, procede spedito al lavoro nel suo nuovo ruolo da ministro delle Infrastrutture e Mobilità sostenibili. Sta accelerando sul nuovo codice degli appalti e si è complimentato con il nuovo ministro dell’Interno, il prefetto Matteo Piantedosi, già suo capo di gabinetto e da lui proposto per il Viminale, per l’applicazione della linea dei suoi decreti sicurezza contro gli sbarchi dell’immigrazione clandestina.

Insomma, se il governo dopo la fiducia del parlamento incomincia il suo cammino, con al primo posto l’emergenza del caro bollette sul tavolo di Meloni, se il centrodestra sta perfezionando la sua compattezza, del resto già consolidata da quattro governi insieme e dalla guida di 14 Regioni su 20, la sinistra appare paralizzata. Pungolata e spiazzata da Renzi, che cerca di fare da ago della bilancia in un quadro però diverso da quello al quale aveva puntato. Renzi ha perso anche lui l’eterna scommessa di prendere i voti di Forza Italia e soprattutto quella di provocare la non vittoria del centrodestra per andare a un Draghi bis. Ma dall’altro lato a stringere il Pd a tenaglia c’è Giuseppe Conte. Guai e divisioni a sinistra e dintorni sono una garanzia per la durata del governo Meloni.

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