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Renzi

Le melonate di Matteo Renzi

Che cosa ha detto Matteo Renzi in Senato in occasione del voto di fiducia al governo Meloni. Estratto dell'intervento del leader di Italia Viva

 

Signor Presidente del Senato, signora Presidente del Consiglio dei ministri, membri del Governo, onorevoli colleghi, il Gruppo di Azione-Italia Viva-RenewEurope voterà no alla fiducia al Governo.

Le ragioni programmatiche sono state esposte molto chiaramente dalle colleghe che mi hanno preceduto e dai colleghi ieri alla Camera. Io mi limiterò a una considerazione politica, perché sbaglieremmo, cari colleghi delle due opposizioni, a non considerare il valore politico di ciò che accade oggi: un Governo di destra, legittimato dal successo elettorale, con la prima donna alla guida e con una generazione di politici che scommette sulla politica, diversa dalla nostra, ma sempre politica.

Il discorso di ieri della presidente Giorgia Meloni è stato un discorso molto politico; aspettiamo lì, dove la sfidiamo. Siamo una generazione di nati negli anni Settanta. La presidente Meloni è più giovane di tutti noi, ma siamo l’ultima generazione che ha fatto politica divisa tra le sezioni e i social; abbiamo fatto in tempo a ricordarci ancora l’odore della colla dei manifesti l’ultimo venerdì della campagna elettorale, però contemporaneamente siamo quelli che andiamo su TikTok, sui social, siamo dunque una generazione strana, divisa fra l’analogico e il digitale e questa nostra generazione ci ha visto combattere in politica su fronti totalmente diversi.

Oggi voi avete vinto e avete il dovere di governare, ma dovete partire dal presupposto che la crisi della democrazia è esattamente l’opposto di quello che alla nostra generazione avevano raccontato. Quante volte ci avevano detto che era finita la storia e non era un finito un bel niente? Quante volte ci avevano detto che avremmo dovuto esportare la democrazia? Un grande presidente degli Stati Uniti, il presidente Berlusconi lo ha conosciuto meglio di tutti, il presidente Bush, raccontava di esportare la democrazia. Quel disegno, che era ambizioso, non ha funzionato in tanti Paesi del mondo. Oggi il paradosso è che la segretaria di Stato, cioè la ministra degli Esteri del presidente Bush, Condoleezza Rice, dieci giorni fa a Stanford in un dibattito ha spiegato come in tutti i Paesi democratici si stia andando verso l’invidia dell’autoritarismo, cioè si stia guardando ai Paesi non democratici come modelli. Il Giappone del dopo Abe è in crisi; la Germania del Governo di super coalizione è in crisi; il Regno Unito ci ha fatto tante volte le lezioni e ha avuto un Governo che è durato 45 giorni (sono stati sereni, serenissimi direi); gli Stati Uniti d’America hanno una democrazia, che è il pilastro e il punto di riferimento per tutti noi, che oggi vedi le difficoltà dei democratici e dei repubblicani, del Presidente e dei suoi oppositori. Allora, cara Presidente del Consiglio, facendo opposizione – e di questo parlerò – noi cerchiamo di dare una mano alla nostra democrazia, esattamente come devono fare le persone che riconoscono e legittimano con il proprio comportamento coloro i quali escono vincenti dalle elezioni. Certo, poi, si può stare a discutere. Ieri, ad esempio, lei ha fatto un’apertura importante sulle riforme costituzionali: se la Presidente del Consiglio, se i Vice Presidenti, se il Governo, se la maggioranza parlamentare vorrà davvero sfidarci in positivo, ad esempio, sull’elezione diretta del Presidente del Consiglio, su quello che noi nel nostro programma elettorale abbiamo chiamato il sindaco d’Italia, noi ci saremo.

Lei, Presidente, ieri ha detto che eventualmente andrete avanti da soli; per esperienza personale non glielo suggerirei, ma questo è un altro argomento. Il punto fondamentale è che comunque, se c’è un’apertura sulle riforme costituzionali, un no a prescindere per me è sbagliato. Vedete, dalle opposizioni ci sono giudizi diversi. Io sono accusato di essere sempre quello che per un Ministero chissà che cosa fa e abbiamo visto per un Ministero in più al governo Conte ter che cosa avremmo dovuto fare; poi è arrivato Draghi, altro che Conte ter. Il punto fondamentale è che noi rivendichiamo la nostra diversità rispetto a voi. In quei banchi c’è chi ha fatto Quota 100; in questi banchi chi ha fatto Industria 4.0. Nessuno toccherà i diritti in questo Paese, smettiamola di credere a queste cose, ma in quei banchi c’è chi ha votato – quasi tutti – contro la legge sulle unioni civili; non solo in quei banchi lì, ma anche in altri. Noi avevamo la mano che tremava quando abbiamo firmato quella legge, perché due persone che si amano e possono dirsi di sì davanti a un pubblico ufficiale e alla comunità sono un valore. (…) Abbiamo tanti argomenti di divisione. Mi piacerebbe discutere culturalmente con voi, ad esempio sull’immigrazione.

La Presidente del Consiglio tra qualche giorno sarà a Bari al G20 a rappresentare tutti, anche noi, perché è la Presidente di tutti, e in quell’incontro, forse per la prima volta – dipenderà dall’agenda della Presidente – incontrerà il nuovo primo ministro inglese. Ma che storia meravigliosa è quella di un immigrato di seconda generazione che partendo da zero diventa Presidente del Consiglio, o meglio, primo ministro in quel Paese? Qual è il punto allora sull’immigrazione? Non giocare la carta della paura, ma giocare la carta della cultura. Su questo punto vorrei sfidarvi. Vi sfideremo in quest’Aula, cara Presidente: non vi lasciamo la parola identità. Non vi lasciamo le parole “identità culturale”; voi tante volte fate riferimento a questa parola. Noi la declineremo sotto il profilo della cultura politica e non soltanto. Del resto, mi permetta una battuta: lei ha portato in Parlamento chi diceva che con la cultura non si mangia. Noi porteremo in Parlamento le istanze di chi invece con la cultura cerca di creare posti di lavoro, ma anche di nutrire l’anima, che è una cosa ancora più importante. Ebbene, le faremo opposizione a viso aperto, ma con la politica, non con il vocabolario.

Ci sono due opposizioni quest’anno, è un problema; lo dico soprattutto agli amici del PD, perché vengo da quell’esperienza. Le prime discussioni proprio non riesco a capirle: com’è possibile che il primo tema di discussione contro il governo Meloni – ce ne sono tanti e ne troveremo molti di più nei prossimi mesi – sia attaccarla per il merito, per il nome “merito” dato a un ministero. (…) Io sono contro il sovranismo, ma non gliela lascio al ministro Lollobrigida l’idea che sia stato lui a inventare la sovranità alimentare. Non perché l’abbiano fatto i francesi, ma perché l’ha fatto Slow Food in questo Paese, l’ha fatto il chilometro zero. Ma vogliamo regalare anche Carlin Petrini alla destra, o almeno siamo in condizione di poter dire che su questi temi disuniremo i risultati?

Ancora, l’ultima e poi vengo a lei, Presidente: “il” o “la” x, y. Per me la Presidente – io la chiamo “la Presidente” – si può chiamare anche con l’asterisco se vuole – non credo – ma il punto fondamentale è che tutto si può dire alla presidente Meloni, tutto, ma non andare ad attaccare proprio sul suo essere donna. Scusate, la trentunesima Presidente del Consiglio, dopo trenta maschietti, è una donna. Ha vinto la sua battaglia dentro il suo partito, ha vinto la sua battaglia dentro la sua coalizione, ha vinto la battaglia alle elezioni. Io la contesto, voto contro la fiducia, ma tra tutti gli argomenti che possiamo trovare andiamo ad attaccare il fatto della rappresentanza femminile? Questo, ragazzi, non è ridicolo, è masochismo. Presidente Meloni, lei si è messa d’accordo con loro, perché altrimenti non si spiega.

Vengo alla conclusione. Presidente Meloni, ne ho anche per lei, con rispetto parlando. Quando lei interviene e dice che estrarre gas è giusto, le dico che sono d’accordo con lei. Lo ricordi alla collega dell’opposizione Meloni, che sei anni fa mi diceva che ero schiavo delle lobby del gas. Presidente Meloni, quando lei dice che non bisogna andare all’attacco quando siamo all’estero, ha ragione: io la prima intervista l’ho fatta alla CNN per dire che la narrazione sul fascismo era una cosa assurda.

Lo ricordi a chi è al suo fianco, il Vice presidente del Consiglio, che durante il referendum costituzionale andava in piazze straniere a scrivere: Renzi a casa. Bastava restare in Italia e il risultato sarebbe stato lo stesso. Presidente Meloni, lo dica a quelli del suo partito: noi siamo all’opposizione sua e del suo Governo, non della sua famiglia. Il ministro della Difesa, qualche settimana fa, prima di diventare ministro, ha fatto una bellissima intervista e ha detto una cosa fantastica: sarà bello vedere Ginevra, la figlia della Presidente del Consiglio, camminare al terzo piano di Palazzo Chigi. Io ho delle foto dei miei figli in quei giorni e so che cosa si prova nell’essere genitore con il rischio di sentire su di sé la responsabilità di rovinare la vita ai figli. In questo caso c’è una mamma Presidente del Consiglio e bisognerebbe fare un accordo tutti, anche voi della stampa, per difendere la libertà educativa e la funzione educativa della Presidente del Consiglio, del suo compagno e di Ginevra.

E diciamo allo staff della Presidente di lasciare del tempo alla Presidente per poter giocare sul divano e per poter scherzare con sua figlia. Però c’è un punto. Presidente Meloni, lo dica a quelli del suo partito: non si attaccano gli avversari sulla famiglia, intanto perché fa male (e quando fa male se ne paga il conto), e poi perché non è un problema giudiziario. Lei ha scelto il migliore per fare il ministro della Giustizia, le faccio i complimenti e rivolgo gli auguri di buon lavoro al ministro Nordio. Ma il problema non è giudiziario, perché prima o poi la verità viene fuori, il tempo è galantuomo. È un problema umano: recuperiamo civiltà. Ho finito.

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