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Iran

Perché la classe media farà esplodere l’Iran

Disoccupazione, inflazione, valuta a picco e rabbia della classe media: tutte le ragioni economiche delle proteste (allargate) in Iran.

 

Le proteste in Iran cominciate tre settimane fa per la questione dell’hijab obbligatorio stanno conoscendo una drastica evoluzione. Si sono infatti trasformate, come scrive il Wall Street Journal, “in un più ampio movimento alimentato dalla rabbia della classe media per l’economia al collasso”.

Come ha spiegato a Money Control Sujata Ashwarya, docente al Centre for West Asian Studies, dell’Università Jamia Millia Islamia University, le manifestazioni di questi giorni “illustrano la rabbia della popolazione iraniana, alle prese con problemi che vanno dall’iperinflazione alla massiccia disoccupazione, alla crescente povertà, ai disastri ambientali fino alle infrastrutture in fase di deterioramento”.

Un rapido sguardo ai principali indicatori dell’economia iraniana consente di cogliere con esattezza le dimensioni della crisi.

Inflazione endemica in Iran

L’ultimo dato divulgato dal Centro statistico dell’Iran nell’agosto 2022 pone l’inflazione al 52,2%, un livello non lontano da quelli toccati negli ultimi due anni.

Le conseguenze di questa situazione sono state chiarite in un working paper diffuso lo scorso mese dal Fondo monetario internazionale e citato da Money Control in cui si fa notare come l’elevata inflazione rappresenti “un problema economico e sociale endemico in Iran che ha contribuito alla crescente povertà e all’innalzamento delle tensioni sociali”.

Pubblicato appena una settimana prima dell’inizio del nuovo ciclo di proteste in Iran, il documento del FMI sottolineava anche significativamente come “l’inflazione in ascesa abbinata alla bassa crescita economica e all’alta disoccupazione abbia alimentato diffuse proteste nel Paese”.

Alta disoccupazione

Dopo essere sceso al 9.8% nel 2021, il tasso di disoccupazione quest’anno è tornato a superare i dieci punti percentuali. Il Word Economic Outlook del FMI, pubblicato ad aprile, prevedeva che il tasso avrebbe toccato il 10,2% per salire nel 2023 al 10,3%.

Particolarmente colpita come sempre è la prospettiva dei più giovani di trovare lavoro, visto che, secondo i dati del Centro statistico dell’Iran, il tasso di disoccupazione della classe di età 15-35 anni tocca il 16,6%.

Ma per la Banca Mondiale la situazione sarebbe ancor più drammatica, avendo calcolato per i giovani di età compresa fra i 15 e i 24 anni, un tasso di disoccupazione del 27,2%.

Valuta a picco in Iran

Preoccupa molto la situazione del rial che, come riferisce al Jazeera, ha raggiunto in tempi recenti il suo minimo storico rispetto al dollaro, per cambiare il quale sono necessari 330.000 rial.

Per la valuta iraniana questo è il tasso più basso dall’ottobre del 2020, quando gli Usa vararono un nuovo pacchetto di sanzioni con cui si tagliava fuori l’intero settore bancario del Paese dal sistema finanziario globale.

La sindrome della classe media povera

A pagare il prezzo più alto della difficile situazione economica iraniana è, come si è detto, soprattutto la middle class, ossia l’architrave della stabilità del regime degli ayatollah sin dai tempi della rivoluzione del 1979.

La classe media iraniana aveva fatto passi da gigante negli anni in cui il regime, in cambio di una limitazione delle libertà politiche, assicurava alla popolazione crescita economica e opportunità sociali. Avvantaggiandosene, la classe media aveva rimpolpato i suoi ranghi fino a rappresentare quasi il 60% della popolazione.

Ma, come osserva l’Atlantic Council, da quando, nel 2011, è cominciata la funesta stagione delle sanzioni la classe media ha perso consistenza per almeno il 10% scendendo al 48,8% nel 2019. Al giorno d’oggi, prosegue l’Atlantic Council, può definirsi classe media solo il 35% della popolazione.

Secondo Asef Bayat, dell’Università dell’Illinois, l’Iran soffre in questo momento di una peculiare sindrome da “classe media povera”, caratterizzata da una sensazione di abbandono, dal risentimento per la corruzione e da una assenza di fiducia nel futuro; tutti fattori che per Bayat, rischiano di trasformare la classe media in una fonte di opposizione per il governo.

“In Iran”, ha dichiarato al Wall Street Journal Sanam Vakil, vicedirettore del programma Middle East North Africa al Royal Institute of International Affairs. “non c’è alcuna valvola di sfogo – nessuna opportunità economica, nessuna opportunità sociale, nessuna opportunità politica, solo una nuvola di repressione”.

Si capisce perché, in queste condizioni, sempre più esponenti della classe media intraprendano la via dell’estero, erodendo il capitale sociale in patria: secondo la stima dell’Iran Migration Observatory, citata dall’Atlantic Council, il 71% dei dottori, il 40% delle infermiere e più del 70% dei docenti e dei laureati vogliono lasciare il  Paese.

Per chi rimane la situazione si va facendo via via più drammatica, anche in termini di disuguaglianze economiche. In base ai dati del Ministero del Welfare dell’Iran il 10% delle famiglie più ricche iraniane beneficia del 31% del reddito nazionale lordo, mentre il 10% delle famiglie più povere se ne mette in tasca appena il 2%.

La popolazione iraniana sa benissimo a chi attribuire le responsabilità della crisi. Secondo un sondaggio condotto un anno e mezzo fa dal Center for International and Security Studies dell’Università del Maryland e da Iran Poll, il 63% degli iraniani attribuisce la sofferenza economica del Paese alla mala gestio economica e alla corruzione piuttosto che alle sanzioni.

Situazione senza vie di ritorno?

Tutto sembra indicare dunque come la classe media dell’Iran, economicamente deprivata, socialmente frustrata e politicamente oppressa, abbia colto la palla al balzo della morte di Masha Amini per riversare nelle piazze del Paese il suo malcontento e la propria angoscia per il futuro.

Resta ora da vedere se alle manifestazioni si imporrà una leadership politica in grado di trasformare questo ribollire dei sentimenti in precise rivendicazioni capaci di mettere in difficoltà, se non in ginocchio, la teocrazia iraniana.

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