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Achille K

Il Processo di Achille K. di Riccardo Ruggeri. La storia di un colpevole d’innocenza

La recensione del secondo romanzo di Riccardo Ruggeri "Il Processo di Achille K." a cura di Michele Magno

Diceva Bertrand Russel che ci sono due motivi per leggere un bel libro: il primo è che puoi godertelo; l’altro è che puoi vantarti di averlo letto. Un aforisma, quello del logico britannico, che calza a pennello per il secondo romanzo di Riccardo Ruggeri Il Processo di Achille K. (Grantorino Libri, collana Zafferano). L’autore lo dedica a Franz Kafka, la sua fonte d’ispirazione. A lato di ogni pagina del testo c’è infatti un pensiero, una frase di uno dei sommi geni della parola scritta. È come “se Joseph K. portasse per mano Achille K. nel suo viaggio nei meandri del potere, della giustizia, della libertà”. Le pagine dispari sono di Joseph K., il protagonista del “Processo” del grande boemo, quelle pari di Achille K. A sinistra siamo nel primo Novecento, a destra nel passaggio di secolo, in quel mondo del “Ceo Capitalism” (copyright di Ruggeri) che ha trasformato il cittadino e il lavoratore in consumatore passivo. È un sistema dove si produce poco e si parla molto, dove un piccolo gruppo di supermanager guadagna cifre astronomiche mentre la maggior parte delle persone guadagna poco o pochissimo, ma pur sempre abbastanza per restare consumatrice seriale di cibo, oggetti e servizi che diventano via via più scadenti.

Diverse ma speculari le storie dei due K. Il reato di cui è accusato Joseph è sconosciuto a tutti, imputato e giudice compresi, mentre l’altro viene confezionato a tavolino dai Quattro (viene in mente la “Banda dei Quattro” che spadroneggiò nella Cina della rivoluzione culturale), sempre all’insaputa, sia del presunto imputato, sia del suo futuro giudice. Il lettore si trova subito spiazzato dal comportamento di Achille K. Costui dichiara essere assolutamente innocente, però sceglie di apparire colpevole per non andare in galera, rifiutando al contempo una montagna di denaro, offerta dai Quattro, per rendergli dolce il ruolo di capro espiatorio. Infatti, studiato freddamente il “suo” caso, come fosse quello d’un altro, decide di dichiararsi colpevole, perché, così facendo ha la ragionevole certezza di non andare in galera.

Qui il talento narrativo di Ruggeri dà il meglio di sé, affrontando i temi della giustizia e del potere lungo il confine – sottile, impalpabile, ma ben presente- che separa la verità dalla menzogna, il suo manifestarsi allegorico e enigmatico, allo stesso tempo inafferrabile e possente, reale al punto da risultare soffocante eppure evanescente come un sogno, o per meglio dire come un incubo. Lo stile limpido e rigoroso dell’autore scivola sul suo racconto come l’occhio di un testimone che descrive una realtà nella quale il “senso comune” perde il proprio primato a favore di un caos senza nome né volto, silenzioso ma onnipresente (e onnipotente). Una specie di cortocircuito individuale e collettivo che distrugge ogni regola sociale e contrattuale, sostituendola con sosia oscenamente deformati, mostruosi organismi di controllo e di indirizzo etico che soltanto in apparenza hanno il volto rassicurante di istituzioni riconosciute e rispettate, ma che invece sembrano obbedire a un arbitrio folle e incontrollato.

Il Processo di Achille K. è la storia di un “colpevole d’innocenza”, che sceglie di dichiararsi colpevole pur di restare libero. Come spiega l’editore -che è lo stesso autore- recensendo il romanzo nella prefazione (superba invenzione letteraria), preferisce essere condannato per un reato non commesso, piuttosto che urlare sua innocenza. Era certo che non sarebbe stato ascoltato, perché la sentenza su di lui era già stata confezionata a tavolino, da uomini a cui ciò era permesso dal sistema. Si è convinto che “il mondo sia governato da un accrocchio di burocrati e di algoritmi che interpretano codici, contratti, protocolli, resi algidi per compromessi successivi dalla totale assenza di umanità”.

Sono passati quasi quarant’anni da quando ebbe inizio l’inchiesta, il processo e la successiva sua condanna. Pochi mesi, invece, da quando Achille K. ha deciso di non chiedere la riapertura del processo, e riabilitarsi agli occhi dell’opinione pubblica. Così preferisce uscire di scena da colpevole certificato, ma vivere lontano dai riti osceni “del politicamente corretto”. Avvicinandosi al fine vita, può permettersi queste scelte libertarie per età, status, censo. E lui ne è giustamente fiero. Perché “Sapersi liberare non è niente: il difficile è saper essere liberi (André Gide).

 

Articolo pubblicato su ItaliaOggi

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