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Salvini

Huawei, F-35, Germania e non solo. Tutti i dossier geopolitici che dividono Lega e M5S. L’analisi di Salerno Aletta

C’è tutto un contesto di posizionamento internazionale dell’Italia che va messo in chiaro, dal 5G alle alleanze strategiche nel campo della industria militare (non solo F35). L’asse franco-tedesco punta ad un esercito europeo e alla realizzazione congiunta di sistemi d’arma, in modo autonomo rispetto a Usa e GB. L'analisi dell'editorialista Guido Salerno Aletta

 

Il Parlamento non è un inutile orpello, neppure per la Lega. La presentazione che ha fatto al Senato di una mozione di sfiducia al governo, e che si riferisce in particolare alla azione svolta dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, rappresenta una cesura difficilmente rimediabile rispetto alla prosecuzione della legislatura.

Le sponde che hanno retto gli equilibri globali, europei ed a maggior ragione quelli italiani negli scorsi trent’anni, stanno cambiando rapidamente.

Il mutamento di rotta avvenuto nelle settimane scorse in Gran Bretagna è stato netto e brusco: i Brexiter sono in sella al governo. Alla estromissione di Theresa May, incapace di farsi approvare da Westminster il Withdrawal Agreement concordato a Bruxelles, che creava le condizioni per un limbo perenne quanto alla partecipazione dell’Inghilterra al mercato interno, è seguita la nomina di Boris Johnson che ha promesso una uscita comunque dall’Unione, entro la fine di ottobre, con o senza accordo. Anche la City sembra rassegnata. L’asse con l’America di Donald Trump si è fortemente rinsaldato, e caratterizzerà le rispettive strategie nei prossimi mesi, con forti implicazioni anche per l’Italia.

Le tensioni commerciali, ed ora anche valutarie, tra Usa e Cina si sono fatte più aspre, ed i disordini di Hong Kong fanno temere il ripetersi di una dura repressione della protesta, sul modello di quella di trent’anni fa, a piazza Tienanmen. A quel tempo non cadeva solo il Muro di Berlino: anche altri regimi erano sotto assedio.

La vicende italiane possono essere lette con chiarezza solo se si considerano i due schieramenti ormai contrapposti. Da una parte, c’è quello che punta sulla conservazione degli schemi consueti, e che trova nell’ancoraggio all’Unione europea la speranza di sopravvivere: il M5S vi si è recentemente allineato sotto la guida del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che se ne è pubblicamente vantato, sostenendo con i propri voti determinanti al Parlamento europeo la candidatura della neo Presidente della Commissione, la tedesca Ursula Von der Leyen, che rappresenta lo schieramento composto da Popolari, S&D e Reniew.

La stessa conclusione della vicenda relativa alla Tav Torino-Lione lo dimostra: il progetto, che tanto era stato osteggiato dal M5S, è stato sbloccato con il contributo di una manciata di miliardi in più concessi da Bruxelles. Anche qui, la ricucitura con l’Unione e con la Francia, è passata dalla Farnesina e da Palazzo Chigi: la mozione parlamentare che puntava a respingere la prosecuzione dei lavori è stata presentata a cose fatte, solo per dare un contentino alla base elettorale: una gherminella.

Nel corso degli ultimi mesi, i motivi di attrito all’interno della coalizione di governo non hanno fatto che aggiungersi, gli uni agli altri: le ripetute campagne elettorali, per le regionali e le europee, ne sono state una chiara amplificazione. Di recente, le ragioni principali di scontro sono state rappresentate da due proposte della Lega: introdurre una sorta di Flat Tax ed attribuire alle Regioni del Nord, cui si è aggiunta la Emilia Romagna, una consistente autonomia differenziata.

Su tutto, però, aleggia la impostazione della legge di bilancio per il 2020, da redigere sulla base della Nota di Aggiornamento del Def: lì si gioca tutto, dagli equilibri di bilancio ai rapporti con la Ue. C’è un asse, che lega Palazzo Chigi al Quirinale, passando per via XX Settembre e via Nazionale: un quadrilatero che finora ha sempre gestito tutti i dossier economici più delicati. Il fronte della conservazione si prepara da tempo ad usare la legge di bilancio per mettere in riga la Lega, per dimostrarne la inconsistenza sotto il profilo della capacità di innovare: usa mediaticamente la clava dello spread per rintuzzare qualsiasi velleità di emanciparsi dalle regole europee. Il Mercato non perdona.

La Lega, sul fronte opposto, ha da spezzare un incantesimo: sfilare la Spada dalla Roccia, capitalizzare il consenso elettorale ottenuto con le europee. Fallì in questo medesimo intento già Silvio Berlusconi, nel ’94: varò il decreto Biondi, soprannominato “salvaladri” e che suscitò una reazione violenta nell’opinione pubblica, anziché la riforma delle pensioni; di lì a pochi mesi, ci fu il Ribaltone della Lega. Accadde lo stesso a Matteo Renzi, cinque anni fa: dopo essere stato accolto a Bruxelles come il Gladiatore avendo sbaragliato ogni avversario, si vide respingere malamente sia la richiesta di modificare le regole sulla flessibilità del Fiscal Compact, sia la proposta di Migration Compact. La flessibilità sul deficit, paradossalmente, fu accordata per sostenere i 5 miliardi annui di maggior costo per provvedere all’assistenza ai migranti: una beffa.

Stavolta, per Matteo Salvini, era già pronta la tagliola della manovra di bilancio, che dà per scontato l’aumento dell’Iva: le clausole di salvaguardia sono in vigore, pronte a scattare il 1° gennaio. Per sterilizzarle e rimanere nell’ambito degli equilibri già definiti, servono una quarantina di miliardi di euro, una correzione di quasi tre punti di pil. Una batosta. E chi immagina un governo diverso, deve prendersi l’onere di approvarla: si accomodi pure.

Al di là di questo nodo, assai stretto, c’è tutto un contesto di posizionamento internazionale dell’Italia che va messo in chiaro, dal 5G alle alleanze strategiche nel campo della industria militare: non si tratta solo degli F35, ma delle future realizzazioni. L’asse franco-tedesco punta ad un esercito europeo e alla realizzazione congiunta di sistemi d’arma, in modo autonomo rispetto agli Usa ed alla GB. L’Italia ha invece intese su quest’ultimo fronte. Basta uno sguardo all’inizio del secolo scorso: fu la Legge Navale tedesca del 1904 a cambiare radicalmente le relazioni con l’Inghilterra. Ora, se pure sotto l’ombrello di Bruxelles, si torna alla politica di potenza.

Se nella Lega spira impetuoso il Vento del Nord che reclama spazio e potere sottraendolo a Roma, il fronte della conservazione è eterogeneo, con i singoli partiti divisi al proprio interno: il Pd, Forza Italia e lo stesso M5S hanno anime profondamente diverse. La scommessa delle elezioni ad ottobre è l’ultima spiaggia, per non sparire.

Inutile negarlo: l’Italia fa parte di un grande schema. Tutto è in movimento, ancora una volta, come trent’anni fa. Allora, l’America appaltò alla Germania il compito di unificare l’Europa, agglutinando i Paesi dell’Est comunista per spostare ancora più ad oriente le frontiere volte a contenere la Russia sovietica. Il paradigma di contenimento ha ora per obiettivo la Cina. L’Europa ha cessato così di essere il luogo fisico, e soprattutto politico, degli scontri e degli equilibri globali: così si conclude il Novecento.

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