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Napolitano e Berlusconi fra storia e polemiche

Giorgio Napolitano, come lascia capire chiaramente Gianni Letta, non fu l'uomo del complotto ai danni dell'ultimo governo Berlusconi. La nota di Paola Sacchi.

I funerali sono spesso occasione di bilanci, di messaggi per il futuro e per ristabilire punti di chiarezza. Quelli laici di Giorgio Napolitano, la cui vita ha attraversato quasi un secolo, sono stati l’omaggio a un uomo che abbracciò “la politica come ideale, passione e professione”, che non amava “la demagogia”, “che fece battaglie giuste e sostenne anche cause sbagliate”, come ha detto il figlio Giulio Napolitano.

Ma le esequie sono state anche il bilancio degli anni da presidente della Repubblica, il primo che accettò il sacrificio del secondo mandato, in cui si trovò a confrontarsi con un uomo così profondamente diverso da lui come Silvio Berlusconi. Chi meglio di Gianni Letta, l’amico di una vita del Cavaliere, il sottosegretario plenipotenziario alla presidenza del Consiglio dei governi Berlusconi e in particolare anche dell’ultimo terminato prima del tempo nel 2011, può ora ristabilire che non ci fu da parte di quel Capo dello Stato, che aveva “così a cuore le istituzioni”, quel complotto, con l’arrivo successivo di Mario Monti, di cui i media di area di destracentro sono tornati a incolparlo anche ora da morto?

Letta non usa certamente il termine “complotto” e si esprime con il suo stile vellutato ma denso di contenuti e messaggi futuri. Invita a quel “bipolarismo mite”, tra maggioranza e opposizione con la diversità ma anche il rispetto reciproco, che tutta la sua opera in politica impersonifica. È molto chiaro quando dice che “il fortissimo senso dello Stato, delle istituzioni non è mai venuto meno da parte di Napolitano, uomo dalla storia di parte, che ha amato l’Italia, nelle prove più difficili per lui, come il confronto con i governi Berlusconi”.

Prosegue Gianni Letta: “Nel rapporto tra Napolitano e Berlusconi non è mai venuta meno la volontà e la forza di mantenere il rapporto nei binari della correttezza istituzionale e così fu: lo posso dire in coscienza perché ne sono personalmente testimone. Questo consentì di affrontare ogni questione, anche le più difficili, di comporre le divergenze”. Conclusione da credente quale il dottor Letta, come lo chiamano, da sempre è: “Berlusconi e Napolitano sono scomparsi a tre mesi l’uno dall’altro. Mi piace immaginare che incontrandosi lassù possano dirsi forse quello che non si dissero quaggiù e, placata ogni polemica, possano anche chiarirsi e ritrovarsi nella luce”.

Ma l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, che molti e non solo di centrodestra da sempre hanno visto nella rosa dei papabili per il Colle – il cui messaggio oggettivamente contrasta seccamente con le forti critiche al presidente emerito da parte di alcuni giornali considerati vicini all’attuale maggioranza di governo di destracentro – invita, tratteggiando la figura di Napolitano, a quel confronto “tra maggioranza e opposizione che non dovrebbe mai essere distruttivo”. Nel “rispetto della volontà popolare”. Quest’ultimo suona come un messaggio implicito alle opposizioni di sinistra. La necessità di fare le riforme, cosa alla quale spronò anche con energia Napolitano accettando il sacrificio, prima di Sergio Mattarella, del secondo mandato, viene sottolineata dall’intervento commosso della ex senatrice Anna Finocchiaro, proveniente dal Pci come Napolitano.

Resta il ricordo di quell’ex comunista migliorista, purtroppo mai ricordato in questi giorni nei TG e sui media, che cercò, come gli ha dato atto la stessa senatrice di FI, presidente della commissione Esteri e Difesa, Stefania Craxi, “di ricomporre la frattura a sinistra”, come il suo papà Bettino. Napolitano non solo riconobbe nel 2010 che per Craxi si usò negli anni di Tangentopoli “una durezza senza eguali”, ma nel 2013 partecipò a sorpresa, restando in silenzio, da Capo dello Stato, a un convegno in Senato della Fondazione Craxi per il trentesimo anniversario del governo Craxi, come la cronista riportò in un articolo per Panorama, allora del Gruppo Mondadori.

E Napolitano, come lascia capire chiaramente Letta, non fu l’uomo del complotto ai danni dell’ultimo governo Berlusconi. Maurizio Gasparri, big di Forza Italia, a quei tempi presidente del Pdl in Senato, ora vicepresidente di Palazzo Madama – che nella cerimonia siede con l’omologo azzurro alla Camera, Giorgio Mulè, vicino agli oratori, ai presidenti Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa, mentre sui banchi del governo ci sono il premier Giorgia Meloni con i vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani – in Transatlantico, conclusi i funerali laici, con i cronisti è più che esplicito. Facendo paragoni calcistici sulla Roma e la Lazio, afferma: “Napolitano? Da lui mi dividevano la diversità politica, alcune posizioni, ma, per favore, andare a chiedere a Gianfranco Fini e ad altri parlamentari del Pdl come finì. La verità va detta”.

La stessa obiettiva ricostruzione storica l’ha ricordata in questi giorni Gianfranco Rotondi, storico parlamentare dc, eletto nel centrodestra da FdI. La spallata contro il governo Berlusconi, capeggiata da Fini e da altri parlamentari di destra e non solo nel Pdl, fallì per soli 14 voti. Napolitano fu persino accusato di aver fatto in modo che la votazione fosse ritardata per permettere a Berlusconi di stabilizzare il suo governo. Fatti, non opinioni. E le divergenze di Fini rispetto a Berlusconi erano di antica origine, iniziarono a nascere da quando Napolitano non era ancora presidente della Repubblica.

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