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È giusto fare la guerra agli atleti russi?

Il taccuino di Federico Guiglia

Lui è il tennista più forte al mondo dopo il serbo Novak Djokovic. Eppure, Daniil Medvedev non potrà giocare a Wimbledon, il torneo più antico e prestigioso che il 27 giugno prenderà il via a Londra. Divieto di partecipazione perché il campione è russo, al pari di altri connazionali e bielorussi anch’essi banditi a causa della guerra scatenata da Putin. Gli inglesi non vogliono rischiare di dover premiare, proprio nell’anno in cui la regina Elisabetta festeggia 96 anni di vita e ben 70 di regno, un simbolo del Paese che da due mesi bombarda l’Ucraina e minaccia l’Europa.

Che smacco sarebbe per il governo di Sua Maestà, il più determinato nel contrastare l’aggressione di Mosca. E così Medvedev e tutti i suoi colleghi diventano le vittime collaterali più illustri del conflitto. Non hanno responsabilità alcuna: gli unici colpi che sparano sono quelli con la racchetta (servizio sopra i 200 km orari). Sono sì dei bombardieri, ma dello sport. E poi quasi tutti questi atleti vivono e s’allenano da anni all’estero, spesso in quell’Occidente che ora li punisce per interposta persona: Vladimir Putin è il vero obiettivo. “Decisione folle”, polemizza Djokovic.

Dure le associazioni di categoria: “Precedente pericoloso”, contesta l’Atp, “discriminazione ingiusta e ingiustificata”, per la Wta. La politica che entra nello sport è un’altra delle tante e nefaste conseguenze della guerra. Già alle Paralimpiadi invernali di Pechino l’iscrizione di atleti russi e bielorussi è stata rifiutata all’ultimo momento. Nel calcio la Russia è sospesa da tutte le competizioni e dal Mondiale. Ma il caso di singoli sportivi è diverso da quello della Nazionale, che rappresenta ed evoca la Nazione sanzionata con misure economiche per aver violato con le armi ogni norma di diritto.

Si è anche discusso sull’ipotesi, a sua volta molto controversa, di chiedere agli atleti russi in gara nelle varie discipline di dissociarsi dal loro governo con una dichiarazione forte e chiara per evitare ostracismi. Qualcosa del genere è stato richiesto anche ai grandi artisti russi, per esempio nel mondo della lirica. Piccoli espedienti o doveroso invito a condannare con le parole e con l’esempio sul campo -quello sportivo- i crimini di Putin in Ucraina? Certo è che la colpa di tutto, anche di queste polemiche, è solo della guerra.

(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi)

Federico Guiglia

www.federicoguiglia.com

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