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Draghi

Perché Draghi è bideniano

Che cosa lega Draghi a Biden. L'analisi di Stefano Feltri, direttore di Domani Quotidiano.

Le mosse di Draghi però non sono facili da decodificare in questo scenario. All’inizio della crisi, ha suggerito al segretario al Tesoro Janet Yellen di congelare le riserve della Banca centrale russa presso le altre banche centrali: 300 miliardi in valuta estera che non sono più sotto la disponibilità di Putin e che potrebbero, un domani, essere usate per la ricostruzione dell’Ucraina (se prevalesse l’approccio “Versailles”, nel senso di far pagare i danni della guerra all’aggressore, anche col rischio di innescare una spirale di povertà, rabbia e revanscismo come nella Germania del primo Dopoguerra).

Il premier italiano poi ha tenuto una linea coerente, ma minimalista: mai una iniziativa diplomatica autonoma, non è andato a Kiev e neppure a Mosca, ha combinato un pasticcio di comunicazione quando ha assicurato, dopo una telefonata, che Putin mai avrebbe imposto il pagamento del gas in rubli (e poi è successo), ha garantito le armi richieste (non sappiamo esattamente quali, è tutto secretato) all’esercito ucraino ma sul fronte europeo ha rinunciato a esercitare una vera leadership

Certo, è visto come una figura autorevole e di riferimento ma, come spiegato più volte in parlamento, la linea dell’Italia sulla guerra è quella dell’Ue: prima si trova il compromesso a Bruxelles, cui Draghi partecipa alla pari degli altri capi di governo, poi Roma si adegua. Le proposte che hanno seguito la direzione negoziale opposta, come l’idea di un prezzo unico di acquisto del gas imposto dall’Ue alla Russia, si sono arenate.

Draghi non è mai stato un protagonista della politica internazionale, non se ne è proprio mai occupato se non dalla prospettiva della politica economica e finanziaria.

E allora è forse sotto questa lente che bisogna interpretare le sue scelte di fronte allo shock esogeno della crisi: dal primo giorno di guerra, Draghi sta provando a costruire soluzioni strutturali per risolvere il problema profondo che ha reso fragile l’Europa nel suo confronto con Putin. Cioè la dipendenza dal gas.

Prima ancora della Germania o di altri grandi paesi, l’Italia ha iniziato a cercare fornitori alternativi di gas per i prossimi decenni: Algeria, Qatar, Mozambico, Egitto, contratti (segreti, chissà a che prezzi) che renderanno più difficile il distacco dalle fonti fossili, con tanti saluti alla transizione ecologica, ma che bruscamente spostano l’Italia fuori dalla sfera di influenza russa. Inoltre, il ministero del Tesoro – all’interno del Documento di economia e finanza – ha presentato stime sul possibile distacco immediato dalle forniture russe già dalla primavera: danni considerevoli per l’economia italiana, ma sostenibili. Il solo fatto di metterlo in un testo ufficiale equivale a dire: il governo italiano è pronto a discuterne.

Tutti segnali che gli Stati Uniti hanno colto, visto che la diagnosi americana sugli ultimi anni è che molti problemi attuali dipendono dalla debolezza della reazione Ue dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014: sanzioni solo simboliche, mentre la dipendenza energetica aumentava.

Draghi, insomma, non ha combattuto battaglie che non poteva vincere in Europa vista la resistenza di Germania e altri (non risultano sue iniziative di moral suasion sul cancelliere Olaf Scholz, con il quale i contatti sono stati molto inferiori che ai tempi di Angela Merkel).

Ma ha fatto la cosa che nel medio periodo per gli Stati Uniti è più importante: sganciare l’Italia dall’orbita russa, schierare il paese senza ambiguità con l’Occidente, sia in termini di scelte concrete che programmatiche.

Una posizione che oggi pare ovvia, ma che non lo era ai tempi di Giuseppe Conte e neppure in fasi precedenti (basta guardare le scelte dei governi Renzi e Gentiloni, dopo la Crimea).

(Estratto di un articolo pubblicato su Domani)

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