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Che cosa sta cambiando nei rapporti fra Germania e Russia

L’analisi di Pierluigi Mennitti da Berlino Attorno al caso dell’avvelenamento a Londra dell’ex spia del Kgb Sergei Skripal si stanno giocando molte partite. Una di esse riguarda la posizione della Germania nei confronti della Russia. Berlino ha risposto alla chiamata di Usa e Ue, espellendo quattro diplomatici russi: meno degli Stati Uniti ma più di…

Attorno al caso dell’avvelenamento a Londra dell’ex spia del Kgb Sergei Skripal si stanno giocando molte partite. Una di esse riguarda la posizione della Germania nei confronti della Russia. Berlino ha risposto alla chiamata di Usa e Ue, espellendo quattro diplomatici russi: meno degli Stati Uniti ma più di altri paesi europei come l’Italia, che ne ha messi alla porta solo due, o l’Austria, che invece non ne ha espulso nessuno. Un segnale importante per un paese che dalla caduta del Muro di Berlino e nel rimescolamento degli equilibri globali e continentali a esso seguiti, aveva interpretato un ruolo di cerniera verso Mosca, consolidato da crescenti interessi economici e strategici, come quello di legare un’ampia porzione della propria sicurezza energetica al gas russo attraverso nuove pipeline dirette sotto le acque del Baltico (Nord Stream 1 e 2). Il 40% del 90% di combustibile che la Germania importa arriva da Mosca.

In due occasioni, negli ultimi 15 anni, Berlino si era distanziata in maniera plateale dalla solidarietà occidentale, alimentando sospetti di inseguire un suo particolare Sonderweg nel mondo post-Muro: nel 2002-2003, quando Gerhard Schröder realizzò un asse con Parigi e Mosca contro la scelta dell’America di Bush di invadere l’Iraq e nel 2011 quando Angela Merkel si astenne nel voto del Consiglio di sicurezza dell’Onu sull’attacco alla Libia. Ora invece nessun tentennamento a schierarsi al fianco della Gran Bretagna (e degli Usa) nel caso Skripal. Ma quel che più sorprende è che tale scelta sia arrivata dopo che il nuovo ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, aveva già lanciato chiari segnali di scollamento rispetto alla lunga tradizione di comprensione verso Mosca. Presentando al Bundestag le linee guida dell’Auswärtiges Amt (la Farnesina tedesca), Maas aveva espresso un duro giudizio sulla politica di Vladimir Putin, sostenendo che il suo annuncio di un nuovo sistema di armi nucleari “mette in dubbio l’architettura internazionale di controllo degli armamenti costruita all’indomani della Guerra Fredda”. E ancora qualche giorno prima, in occasione della cerimonia del passaggio di consegne con l’ex ministro Sigmar Gabriel, Maas aveva detto che “la realtà della nostra politica estera cambierà” se la Russia “si caratterizzerà per un crescente isolamento e in ostilità a molti paesi dell’Occidente”.

Gli osservatori avevano immediatamente sottolineato come nel felpato gergo diplomatico l’utilizzo del termine “ostilità” verso Mosca costituisse una novità rispetto alla lunga tradizione della politica estera tedesca, votata al dialogo con la Russia anche nei tempi difficili della guerra fredda, quando l’Ostpolitik di Willy Brandt aprì canali di dialogo e collaborazione con l’Unione Sovietica e con l’intero blocco dell’est. Ma anche rispetto alle mille spinte lobbistiche del mondo imprenditoriale tedesco, che nella Russia di Putin ha investito risorse e denari e che da quasi un lustro soffre le conseguenze delle sanzioni economiche per la crisi ucraina.

All’indomani della prima ondata di misure contro Putin, nel 2014, l’export tedesco era crollato del 18% rispetto all’anno precedente, continuando a perdere quota anche dopo. Solo nel 2017 si è registrata un’inversione, la prima dopo cinque anni, con un’impennata delle esportazioni del 20% per un totale di 25,9 miliardi di euro e delle importazioni del 19%, pari a 31,4 miliardi (dati dell’Ufficio di statistica di Wiesbaden). Dalla Germania alla Russia hanno ripreso a muoversi macchinari, auto e prodotti chimici, in direzione inversa sono arrivati petrolio, gas e metalli. Una boccata d’ossigeno, salutata con previsioni ottimistiche per l’anno in corso: stime di crescita dell’export fra l’8 e il 10% per la potente Ost-Ausschuss (Commissione Est) degli industriali tedeschi e addirittura del 15% per la Camera di commercio russo-tedesca.

La ripresa dell’interscambio che ha riportato nel frattempo la Russia dal sedicesimo al quattordicesimo posto fra i partner commerciali, alimentando le speranze degli imprenditori tedeschi di poter approfittare  da un lato della ripresa economica russa dopo due anni di crisi, dall’altro di un progressivo allentamento del regime di sanzioni. Speranze prudenti, come aveva cautamente sottolineato  poco più di un mese fa il presidente dell’Ost-Ausschuss Wolfgang Büchele (“Ripartiamo da un punto molto basso dell’interscambio”), perché le sanzioni erano comunque costate care alle esportazioni tedesche. I dati di Eurostat hanno certificato un calo delle esportazioni tedesche in Russia dai 36 miliardi di euro del 2013 ai 22 miliardi del 2016 (-14 miliardi). E secondo stime dei ricercatori del Kieler Institut für Weltwirtschaft, uno dei centri di ricerca economica più importanti del Paese, il 40% dei 44 miliardi di euro complessivamente bruciati dall’Ue sull’altare della politica delle sanzioni è stato sopportato dalla Germania, che ha costruito l’enorme surplus degli ultimi anni recuperando sugli altri mercati.

Ma per le tante imprese che all’inizio di questo decennio avevano deciso di giocare il proprio destino puntando sulla stabilità della Russia di Putin, il colpo è stato pesante e molte, specie tra le piccole e medie, rischiano di non reggere ulteriori anni di gelo. Lì non ci sono solo gli 11 colossi tedeschi citati da Forbes, stabilmente collocati fra i primi 50 gruppi internazionali in Russia, ma anche le 5.237 aziende con capitale tedesco registrate dalla  la Camera di commercio russo-tedesca a fine 2016. Già rispetto all’anno precedente se n’erano perse per strada 346. Rispetto all’inizio della crisi, il 2013, avevano chiuso i battenti 930.

Così la preoccupazione è tornata e, invece del disgelo auspicato con i prossimi Mondiali di calcio, il caso Skripal rischia di riportare l’intera Europa nella spirale di una nuova guerra fredda. E gli imprenditori tedeschi si chiedono se davvero le parole di Heiko Maas possano preludere a una svolta strategica nella posizione di Berlino verso Mosca. E se davvero sia sul punto di spezzarsi quel filo rosso che ha legato i due Paesi attraversando regimi, governi e caratteri dei leader, da Kohl a Schröder e Merkel, da Gorbaciov a Eltsin e Putin.

Berlino è in imbarazzo. Da Kiev è arrivata beffarda la richiesta di sanzionare Gerhard Schröder, che si è ritagliato una lucrosa stagione post-politica come lobbista supremo dei legami energetici fra Russia e Germania. L’ex cancelliere è lo sponsor più prestigioso e ingombrante del Nord Stream 2, il raddoppio del gasdotto sotto il Baltico, osteggiato dai Paesi dell’Europa centro-orientale (alleati della Germania nella Nato e nell’Ue). La sua influenza nell’Spd di cui fu capo è ancora molto estesa e il partito ha gestito la diplomazia tedesca in tutti i governi di Grosse Koalition di Angela Merkel, bilanciando l’atteggiamento sospettoso della cancelliera verso Putin. Da Frank-Walter Steinmeier oggi presidente della Repubblica a Sigmar Gabriel, l’Auswärtiges Amt è stato a lungo un feudo Spd. Al suo interno si è infittita la rete dei cosiddetti “Putin-Versteher”, come qui chiamano letteralmente “quelli che comprendono Putin”, una rete che allunga le sue trame anche in altri partiti, fino ai liberali dell’Fdp e, naturalmente, ai nazional-populisti di Afd. In questo nido di “Putin-Versteher” si è calato Heiko Maas. E forse adesso qualcosa cambierà: difficile immaginare una svolta (anche perché esponenti di peso dell’Spd e dell’Fdp hanno già criticato la linea del nuovo ministro e in piedi ci sono troppi interessi energetici ed economici), ma è possibile immaginare un tono diverso, che in diplomazia è segno almeno di un cambio di atteggiamento. Cosa accadrà dopo, dipenderà da troppi fattori in gioco. Gli esperti di Russia che ruotano attorno alle fondazioni tedesche che contano (e che influenzano il governo di Berlino) suggeriscono preoccupate di non sottovalutare il potenziale di escalation del conflitto in atto.

 

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