skip to Main Content

Trattato Quirinale

Perché il Copasir critica il Trattato Italia-Francia

Il Copasir invita le Camere a garantire la "tutela degli asset strategici" dalla Francia, dopo la firma del Trattato del Quirinale. Ecco il parere del Copasir, i confronti con la Cina e il parere degli analisti.

 

Giovedì 10 febbraio, nella sua ultima relazione annuale, il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) scrive che il cosiddetto trattato del Quirinale, ovvero l’accordo di cooperazione rafforzata tra Italia e Francia firmato a Roma il 26 novembre scorso, deve prevedere “un’adeguata tutela degli asset strategici in ambito finanziario e industriale italiani”.

LA PRESENZA FRANCESE IN ITALIA

Nella relazione il Copasir ha sottolineato i rischi per la sicurezza nazionale rappresentati dalla penetrazione economica francese in Italia, per esempio nel settore automobilistico (Stellantis), delle telecomunicazioni (Tim-Vivendi) e bancario (Crédit Agricole).

IL TRATTATO DEL QUIRINALE COME IL MEMORANDUM CON LA CINA?

Sul trattato del Quirinale, innanzitutto, il Comitato lamenta il fatto che il documento verrà sottoposto all’esame delle Camera per la ratifica solo dopo la sua firma da parte del presidente del Consiglio Mario Draghi e del presidente francese Emmanuel Macron.

E lo paragona al memorandum sulla Belt and Road Initiative, l’accordo politico firmato con la Cina dal governo di Giuseppe Conte nel 2019. In quel caso, si legge nella relazione, “il Governo intese preventivamente coinvolgere l’Organo parlamentare in un confronto sui temi della sicurezza nazionale interessati, analogo preventivo coinvolgimento non si è verificato nel caso del Trattato con la Francia”. A differenza di Pechino, tuttavia, Parigi è membro assieme a Roma dell’Unione europea e della NATO. L’Unione europea, inoltre, considera la Cina un concorrente economico e un rivale sistemico.

IL PARERE DEGLI ANALISTI

Tra gli analisti politici, su posizioni particolarmente critiche verso il trattato del Quirinale era stato Carlo Pelanda, professore di Geopolitica economica all’Università degli Studi Guglielmo Marconi. Secondo Pelanda, esisteva la possibilità che l’accordo fosse sbilanciato a favore di Parigi. Inoltre, spiegava, l’obiettivo di Macron è “conquistare l’economia italiana per bilanciare lo strapotere di quella tedesca” e fare Roma il vassallo di Parigi per “aumentare la centralità dell’industria francese della difesa” in Europa.

Diverso è invece il pensiero di Dario Fabbri, analista geopolitico che ha lavorato per anni a Limes. Secondo Fabbri, l’obiettivo di Macron attraverso l’intesa con l’Italia è piuttosto quello di “unire il peso di Parigi e Roma per inibire un possibile ritorno all’austerity” a Bruxelles su spinta del nuovo governo tedesco; al contrario, il presidente francese vorrebbe forzare Berlino a “conservare una politica fiscale di stampo espansivo”.

In un articolo per La Stampa l’analista ha spiegato che la pandemia ha “smascherato” le fragilità strutturali di Italia e Francia; nel 2020 la Germania ha garantito l’emissione di bond da parte della Commissione europea, rendendo possibile il piano di ripresa, per evitare che una crisi profonda del Nord Italia possa compromettere l’industria tedesca, vista la profonda interdipendenza. Tuttavia, precisava, “l’opinione pubblica tedesca è restia a impegnarsi sine die per i propri satelliti, nonostante la partecipazione di questi alla catena del valore nazionale, cronica irrazionalità di matrice astrategica, confermata dalle ultime elezioni”.

All’Italia, dunque, il trattato con la Francia serve sia per evitare il ritorno dell’austerità di matrice tedesca in Europa, sia per proteggersi dalla Turchia, che ha il controllo della Tripolitania libica ed è molto presente (anche militarmente) nei Balcani. Ricapitolando: a Roma conviene stare dalla parte di Parigi per tutelarsi da Berlino e Ankara.

Fabbri specificava che il trattato del Quirinale porta con sé dei rischi per l’Italia. Innanzitutto quello di “cadere definitivamente dentro la sfera d’influenza francese”, sia in politica estera che in campo industriale. “Ma le alternative, austerity di marca tedesca e ingerenza turca nel nostro estero vicino, sono perfino peggiori”, concludeva.

Back To Top