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Conte

Conte barcolla per gli speronamenti di Renzi e Salvini. I Graffi di Damato

Gli incubi di Conte a Palazzo Chigi, fra le ombre di Renzi e di Salvini. Perché il premier appare impaurito secondo il notista politico Francesco Damato

A sentire, anzi a vedere ciò che disegnano e fanno dire al politico di turno i vignettisti, che a volte arrivano al punto meglio dei cronisti cui si ispirano, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte avrebbe l’incubo di Matteo Renzi. Che ha quindi preso il posto, nelle sue paure, che fu di un altro Matteo, il leghista Salvini, nel suo primo governo.

Allora il ministro dell’Interno lo scavalcava nei rapporti con le cosiddette parti sociali, per esempio, e lo costringeva a trascorrere penosamente al telefono i suoi week end per chiedere agli omologhi europei la “cortesia personale” – sono parole dello stesso Conte, usate in pubblico – di prendersi in carico qualcuno dei migranti che il Viminale ostinatamente tratteneva fuori e negli stessi porti italiani impedendone lo sbarco da navi straniere e persino della nostra marina, che li avevano soccorsi in mare.

Emilio Giannelli sulla prima pagina del Corriere della Sera ci ha appena offerto Conte, col suo naso e col suo ciuffetto inconfondibile, seduto fra i ministri degli Esteri e dell’Economia, liquidare l’offerta di consigli di Matteo Renzi, nuovo e alquanto ingombrante socio della maggioranza, dicendogli: “Grazie, ma so sbagliare da solo”.

Così temo, sbagliando cioè da solo, che Conte abbia fatto in agosto, durante la crisi attivata da Salvini sulle spiagge alternando comizi e bagni di sole e di acqua, quando si è fatto prendere la mano dall’amicizia col presidente americano Donald Trump – quello che lo chiama affettuosamente Giuseppi – mettendo personalmente a disposizione del suo ministro della Giustizia, appositamente mandato a Roma, uomini e risorse dei servizi segreti italiani. Il problema era di farlo uscire il meglio possibile dalle grane che aveva, e continua ad avere, alla Casa Bianca per il cosiddetto Russiagate. Che non è da confondere naturalmente con quello, dello stesso nome, che hanno in Italia a livello giudiziario uomini, amici e quant’altri dell’allora ministro Salvini in cerca d’affari l’anno scorso a Mosca anche per la Lega, secondo i sospetti degli inquirenti.

Fra i consigli di Renzi non richiesti e non graditi da Conte, oltre a quelli su tasse e contorni che hanno infastidito non poco pure il ministro dell’Economia e il capo della delegazione del Pd al governo, c’è stato quello di non occuparsi più così direttamente e pienamente proprio dei servizi segreti, avendo il presidente del Consiglio la possibilità di alleggerirsi con qualche delega.

La coincidenza con le polemiche ormai internazionali sulla pretesa, abitudine e quant’altro di Trump di allargarsi, diciamo così, con gli alleati nella richiesta di aiuti a risolvere i suoi problemi personali in patria, non ha naturalmente incoraggiato Conte a fidarsi del consiglio di Renzi, temendo che fosse dettato da tutt’altro desiderio che quello di procurargli quella serenità già inutilmente assicurata a suo tempo ad Enrico Letta, prima di prenderne il posto a Palazzo Chigi. Dai cui dintorni ancora adesso l’interessato, frequentemente impegnato a Parigi come insegnante di politica, si tiene lontano nei soggiorni romani per scaramanzia.

Prenotatosi col Copasir, l’acronimo del comitato parlamentare di sostanziale controllo dei servizi segreti, per chiarire la faccenda degli aiuti chiesti ed eventualmente ottenuti dal presidente americano alle prese col suo Russiagate, Conte non deve avere molto gradito le distanze, a dir poco, che è sembrato prendere da lui il presidente appena eletto dell’organismo bicamerale: l’ex sottosegretario leghista alla Difesa Raffaele Volpi. “Non è lui a decidere i nostri tempi”, ha avvertito Volpi parlando appunto di Conte e delle fretta che sembra avere.

Nella votazione al Copasir, resasi necessaria col passaggio del precedente presidente al governo come ministro della Difesa, Volpi è prevalso sugli altri candidati dell’opposizione, cui spetta quel ruolo molto delicato di garanzia. In particolare, egli è stato preferito al “fratello d’Italia”, cioè al meloniano Adolfo Urso, ritiratosi alla fine dalla gara per cercare di conservare almeno la carica che ha di vice presidente, e al forzista, cioè berlusconiano, Elio Vito.

Già messo così, cioè con l’approdo di un leghista, peraltro molto legato a Salvini, con cui ha condiviso per un po’ l’abitazione a Roma, l’avvicendamento al vertice del Copasir non deve avere procurato molta serenità a Conte. Che con Savini ha notoriamente rotto di brutto, processandolo a suo modo nell’aula del Senato quando ancora gli sedeva accanto, al banco del governo, come vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno. Ma ancor meno debbono essere piaciute a Conte e al suo entourage le voci che corrono dietro le quinte, a torto o a ragione, su un aiutino che Volpi avrebbe avuto nell’elezione a presidente del Copasir dalla componente renziana della nuova maggioranza: quella che si chiama Italia Viva.

Pur di origini notoriamente e orgogliosamente pugliesi, il presidente del Consiglio è ormai un quasi toscano di adozione per il suo insegnamento di diritto a Firenze. Dove è sepolto, nella storica Basilica di Santa Croce, anche Vittorio Alfieri. Il quale raccontò di avere imparato che “la vicendevole paura è quella che governa il mondo”.

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